Juncker è a un bivio pericoloso, tra linea dura e spiragli all’Italia

Juncker è a un bivio pericoloso, tra linea dura e spiragli all’Italia

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Andrebbe serbato un pensiero di comprensione per la Commissione europea, adesso che realmente dovrà prendere delle decisioni. Di fronte al problema della legge di Stabilità italiana, è praticamente certo non possa vincere qualunque opzione prediliga. Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il suo vice Valdis Dombrovskis e il commissario Pierre Moscovici devono esserne decisamente consapevoli, perché sembra che per questa volta abbiano rinunciato a incarnare approcci un po’ diversi fra loro. Il lettone Dombrovskis, commissario per l’euro, non è più isolato nel ruolo facilmente caricaturabile del «falco». Allo stesso modo il francese Moscovici, commissario agli Affari economici, è diventato una «colomba» dalle mosse decisamente imprevedibili e il suo ruolo per la controparte italiana non appare più rassicurante come prima. Neanche Juncker sembra più catalogabile come il presidente sempre dedito alla mediazione politica a qualunque prezzo.

La Commissione non può vincere, perché la vicenda dell’euro e delle sue regole di bilancio la sta mettendo davanti a una serie di vicoli ciechi. Se decidesse di andare fino in fondo di fronte a un rifiuto dell’Italia di correggere anche di poco il proprio bilancio, rischierebbe potenzialmente un certo numero di conseguenze negative. Una volta già sottoposto a una procedura europea per deficit eccessivo, questo o il prossimo governo di Roma potrebbe decidere che ormai non ha niente da perdere e dunque tanto vale far salire il disavanzo molto oltre il 3% del reddito nazionale (Pil). Suonerà come una prospettiva poco realistica oggi, ma la situazione apparirà comunque molto diversa fra qualche mese quando la campagna elettorale per le elezioni politiche sarà molto più vicina (chiunque vinca il referendum costituzionale).

La scelta di tenere duro e raccomandare ai governi europei di mettere l’Italia sotto procedura esporrebbe l’amministrazione di Bruxelles anche a un’altra conseguenza sgradevole, più immediata: diventare il capro espiatorio con un’intensità mai sperimentata prima. Alcuni nella Commissione Ue temono che le sfuriate di Matteo Renzi contro «la tecnocrazia europea» a quel punto non farebbero che diventare più frequenti e virulente. Il premier rischierebbe di alimentare un sentimento anti-europeo che in Italia negli ultimi tempi è già cresciuto più che in qualunque altro Paese dell’euro. La tenuta e la gestione politica dell’unione monetaria potrebbero uscirne ancora più danneggiate.

Non c’è alcuna prospettiva allettante però neanche in un cedimento di Bruxelles alle richieste dell’Italia. Significherebbe dimostrare di fronte al resto d’Europa che la Commissione Ue si lascia piegare e in fondo intimidire da un Paese in difficoltà che fa la voce grossa. La credibilità delle regole di bilancio europee e della stessa Commissione come arbitro sopra le parti ne uscirebbero a pezzi comunque. La tenuta e la gestione politica dell’euro in futuro sarebbero danneggiate anche così. Dalla Germania arriverebbero più urgenti le richieste di privare la Commissione Juncker dei suoi poteri di vigilanza sui bilanci nazionali, per trasferirli a un arbitro inflessibile e apparentemente apolitico come il fondo salvataggi (Esm). L’area euro avrebbe compiuto un altro passo verso l’ingovernabilità.

Se dunque l’Italia non accetterà almeno l’apparenza di compromesso, Juncker sa già che davanti a sé non ha strade indolori. E non c’è niente di più pericoloso di un vecchio animale politico ferito.

Federico Fubini

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