Razzismo made in Trump. Usa sotto shock per il visa-stop day

Razzismo made in Trump. Usa sotto shock per il visa-stop day

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Settimo giorno ma senza riposo per Trump, che nella creazione del disordine mondiale è passato ai fatti. Nella giornata mondiale della memoria il presidentissimo ha bandito 134 milioni di persone dagli Stati Uniti. La proscrizione dei cittadini di Iran Iraq, Siria, Libia, Sudan, Yemen e Somalia è il primo atto su questa scala dal Chinese Exclusion Act che alla fine dell’800 bandì l’immigrazione cinese in California quando ormai la mano d’opera importata dalla Cina era servita a completare la rete ferroviaria intercontinentale.

QUELLO DI TRUMP entra poi negli annali americani come l’editto più xenofobo dai tempi dell’internamento dei giapponesi in campi di prigionia durante la seconda guerra mondiale e subito ha scatenato il caos negli scali americani e di decine di paesi arabi. Cittadini iracheni in viaggio verso gli Usa al momento del provvedimento sono stati detenuti all’aeroporto di New York e di San Francisco. «Abbiamo notizia di numerose persone a cui è stato sommariamente rifiutato l’ingresso», ha dichiarato Abed Ayoub, portavoce del American-Arab Anti Discrimination Committee. «Ha colpito direttamente molte persone».

Due uomini iracheni bloccati all’aeroporto Kennedy, un interprete che aveva lavorato per il governo americano per dieci anni e che ne aveva impiegati altri quattro per un visto speciale e il marito di una cittadina americana che aveva lavorato come contractor in Iraq sono stati i primi ad essere fermati. I due hanno intentato causa nell’ambito di una class action dell’American Civil Liberties Union: la prima azione legale di una presumibile serie destinate ad arrivare al vaglio della Corte suprema.

LA SITUAZIONE rimane caotica, con numerose agenzie governative e ong alle prese con l’interpretazione pratica della direttiva che comprende lo stop di novanta giorni all’ingresso di qualunque rifugiato. Molti di questi che stavano viaggiando verso gli Stati Uniti al termine di estenuanti pratiche che possono durare anni, si sono visti negare sommariamente l’ingresso e il ricongiungimento con parenti. Alcuni sono stati bloccati negli aeroporti di partenza dove attendevano l’imbarco. Altri profughi siriani sono stati fatti scendere da aerei su cui si erano già imbarcati in scali come Dubai con l’unica opzione di tornare nei campi profughi. Episodi che a molti hanno rievocato gli episodi vergognosi degli anni Trenta in cui le autorità americane respinsero profughi come i passeggeri ebrei della nave S. Louis, a cui venne impedito l’attracco a Miami. Costretti a tornare in Europa 254 di loro finirono per perire nei campi di sterminio tedeschi. L’amara variante stavolta è che la guerra da cui i richiedenti asilo chiedono rifugio è in parte di manifattura americana.

IN QUESTE PRIME 24 ORE ci sono state anche altre ricadute: il regista iraniano Asghar Farhadi che il mese prossimo dovrebbe essere a Los Angeles per la nomination all’Oscar del miglior film straniero, è ora tecnicamente bandito. L’attrice protagonista del suo film («Il Cliente»), Taraneh Alidoosti, ha preventivamente annunciato che boicotterà la cerimonia. Un altro regista, l’iracheno Hussein Hassan, ha pubblicamente annunciato che non andrà al festival di Miami dov’era invitato ai primi di marzo. Scienziati, accademici e studenti in trasferta sono le prossime vittime dell’arbitrio di Trump.

La proscrizione è stata motivata dal rischio terrorismo anche se dal 11 settembre non vi è stato alcun attentato su suolo americano commesso da profughi o immigrati. È significativo invece che il bando di Trump non interessi né gli Emirati né l’Arabia saudita, paesi di origine dei terroristi delle Torri gemelle e guarda caso nazioni in cui Trump ha investimenti e affari (come anche Turchia ed Egitto, altri paesi esclusi dal provvedimento).

L’ESPLICITA CLAUSOLA di una corsia preferenziale per «profughi cristiani» avvicina invece una moderna legge razziale e conferma l’anomalia neo fascista del governo Trump. Oltre alla momentanea catarsi revanchista del popolo trumpista (e degli alleati suprematisti della Alt-right) l’iniziativa è destinata ad assicurare ritorsioni e a esacerbare le tensioni internazionali. La stessa arbitraria strategia che d’altronde viene intrapresa col Messico, che sembra calibrata per riaprire ogni ferita mal rimarginata nel difficile rapporto fra di due paesi. Le esternazioni di Trump dissimulano in quel caso temi geopolitici complessi dietro una retorica che banalizza questioni come l’endemica povertà dell’emisfero meridionale, il suo sfruttamento o la smisurata domanda di stupefacenti del mercato nordamericano , che è il motore di una economia sommersa globale.

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