I partigiani dello yogurt

I partigiani dello yogurt

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A Rosarno erano sfruttati. Oggi lavorano in cooperativa. La storia di sette giovani africani che danno lavoro a ragazzi italiani con la sindrome di Asperger

Barikamà, in lingua bambara (Mali), significa «Resistente». È la parola che Cheikh Diop e i sei compagni di lavoro – Suleman, Ismael, Aboubakar, Sidiki, Modibo, Saydou – provenienti da cinque paesi dell’Africa– Mali, Senegal, Gambia, Guinea, Benin – hanno scelto per chiamare la loro cooperativa sociale Barikamà nel Casale di Martignano a 35 chilometri da Roma. Nata nel 2011 grazie a un progetto di micro-reddito, oggi produce e vende yogurt e ortaggi biologici. «Ho studiato due anni biologia in Senegal, ma avrei voluto fare il calciatore, così sono volato alla volta del Portogallo – racconta Cheikh – Ero irregolare, però. E nessuno ti fa giocare senza i documenti. Mi avevano detto che tra il Portogallo e l’Africa c’era una terra di salvezza: l’Italia. Ho cominciato a lavorare nelle campagne, come tutti noi. Nel 2010 sono arrivato a Rosarno».

CHEIKH E ALTRI QUATTRO SOCI di Barikamà hanno vissuto la rivolta dei braccianti africani contro ‘ndrangheta e sfruttatori. «I lavoratori bianchi bevevano in tazzine di ceramica, noi dovevamo bere nei bicchieri di plastica – racconta Ismael, del Benin – altrimenti l’avremmo sporcata, dicevano.

Lavoravamo nei campi 12 ore al giorno, a volte per raccogliere una cassetta di pomodori ci davano solo un euro. Vivevamo dentro le fabbriche abbandonate, o dentro baracche di plastica e di cartone. Una notte spararono a tre migranti, noi ci rivoltammo ma il giorno dopo arrivò la polizia e ci disse di andarcene. Se fossimo rimasti, ci avrebbero ammazzato». Sidiki ricorda quanto guadagnava e quanto pesava la merce raccolta nei campi. «Ho lavorato nelle campagne di Foggia dove per 350 chili di pomodoro raccolti avevo 3 euro di guadagno – racconta – A Rosarno avevo 25 euro al giorno, a Nardò 3.50 euro per 350 chili. Oltre a questo devi pagare 5 euro di trasporto al giorno».

SULEMAN È STATO IL PRIMO a trasferirsi a Roma, per amore. Cheikh e gli altri lo hanno raggiunto. «Barikama è partita dopo l’iniziativa cittadina di preparazione collettiva di marmellate realizzate con gli agrumi raccolti nei parchi romani. Il ricavato ha sostenuto la cassa di mutuo soccorso creata da noi lavoratori di Rosarno a Roma. – racconta Suleman – Un’amica ci ha proposto l’idea di fare lo yogurt e allora ci siamo detti: “Se ha funzionato con la marmellata, perché non dovrebbe funzionare con lo yogurt?”». La ricerca del terreno è iniziata dagli annunci sui giornali e con il passaparola. Poi l’incontro con i 140 ettari a Martignano. «I proprietari del Casale hanno avuto fiducia in noi – dice Ismael- è stata la molla di tutto. Ci hanno aiutati a credere in noi stessi». «In Africa tutti noi coltivavamo la terra e alcuni già producevano yogurt – continua Ismael- Cinquant’anni fa il latte si lavorava come facciamo noi adesso, lo yogurt aveva questo sapore, questo profumo».

Da questo antico retaggio, trasmesso in famiglia e nelle comunità di provenienza, è nata l’idea di cosa produrre: lo yogurt. «Noi siamo tutti figli di contadini. Sappiamo cosa vuol dire rispettare la terra, amarne i prodotti, utilizzare metodi sostenibili». Il latte biologico e pastorizzato per lo yogurt e i formaggi arriva dal Casale di Nibbi, nella zona di Amatrice.

I BARATTOLI IN VETRO sterilizzati che contengono lo yogurt sono presi direttamente dai consumatori e riutilizzati nel caseificio in pietra. Il cavolo cappuccio, il broccolo romanesco, la verza e gli altri ortaggi sono coltivati a mano ad eccezione dei grandi lavori realizzati con il trattore dai proprietari del Casale. I prodotti sono distribuiti a domicilio, nei mercati biologici e contadini di Roma o i gruppi di acquisto solidale (Gas).

La distribuzione avviene grazie a una rete commerciale fondata sulla collaborazione, lo scambio e la reciprocità. «La rete è nata in base alla fiducia di molte persone che hanno creduto in noi – aggiunge Suleman – Quando credi in qualcuno, nelle sue capacità, lo aiuti ad essere creativo e a lavorare meglio».

IN SEI ANNI L’ATTIVITÀ si è consolidata. Nel 2014 la cooperativa è stata segnalata tra i finalisti del Moneygram Award, unico premio per l’imprenditoria immigrata in Italia. A dicembre 2016 Barikamà ha vinto il premio da 50 mila euro «Coltiviamo Agricoltura Sociale». Dopo molte difficoltà burocratiche, la cooperativa aprirà un chiosco-bar chiuso nel Parco Nemorense, a Roma con Grandma srl, un bistrot gestito da ragazzi al Quadraro vecchio e dall’Azienda Agricola Eredi Ferrazza di Martignano.

Un altro punto vendita per i prodotti biologici a chilometro zero. Oggi la nuova idea è consegnare in bicicletta ai Gas i prodotti dei piccoli produttori bio che hanno difficoltà a distribuirli a Roma. Il lavoro agricolo e la cooperazione si intrecciano con il lavoro digitale: l’uso della rete e dei social network, oltre al passaparola, sono fondamentali per organizzare le consegne. Insieme formano un sistema integrato con il metodo dell’agricoltura sociale: un modo diverso di produzione e di consumo alimentare fondato sul rapporto diretto produttore e consumatore.


LA COOPERATIVA FAVORISCE
l’inserimento lavorativo dei ragazzi italiani con la sindrome di Asperger, una leggera forma di autismo. «I ragazzi provengono da famiglie, comunità o progetti di recupero. Noi ci occupiamo della manodopera e loro del sito e della burocrazia – spiega Suleman – Volevamo aiutare persone svantaggiate, favorirne l’autodeterminazione».La cooperativa ha iniziato a vincere bandi e a ricevere fondi dalla Regione Lazio. Così hanno acquistato un furgone refrigerato per trasportare i prodotti che conservano in un magazzino al Pigneto dove parcheggiano anche i mezzi elettrici e le biciclette. Nel fine settimana l’appuntamento con i mercatini di quartiere e nei centri sociali è fisso. Barikamà organizza il banco al Casale Podere Rosa, nel quartiere di Monte Sacro, un altro al Quadraro, poi al biomercato della Certosa e così via, a rotazione.

IL PROGETTO RIGUARDA ANCHE GLI ALTRI FRATELLI AFRICANI. «Vorremmo inserire altri ragazzi che cercano di lasciare il lavoro sfruttato in campagna. Possono imparare l’italiano e lavorare – sostiene Cheikh – Riusciamo ad arrivare a fine mese con il giusto che ci serve per sopravvivere – continua Ismael – ma abbiamo vissuto in condizioni pessime. Ora riusciamo a pagarci un affitto condiviso a Roma. Se riuscissimo a lavorare di più, forse potremmo risparmiare per tornare a casa». Nessuno dei sette cooperanti vorrebbe restare in Italia. Il loro sogno è tornare in Africa per aprire progetti di agricoltura sociale. «Ogni tanto – confida Cheikh – tiro qualche calcio al pallone. Poi mi dico: va bene così. Questa vita me la sono conquistata».



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