Podemos: la divisione tra Pablo e Íñigo

Podemos: la divisione tra Pablo e Íñigo

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Lo scontro. Alla base della crisi interna ci sono gli stessi cinque elementi che hanno permesso l’ascesa del partito: il nucleo fondatore era troppo ristretto per sostenere la costruzione di un partito nazionale, e ora è diviso; pratica elettorale-istituzionale e rapporto con i movimenti sono difficili da coordinare; la logica dei media può assorbire le dinamiche interne di un partito; la distanza tra il contesto latino-americano e quello spagnolo si è rivelata significativa; è difficile mantenere nel tempo un’immagine di novità ed estraneità rispetto agli attori politici tradizionali; il concetto di «populismo», e l’interpretazione che ne va data, sono diventati un terreno di disputa ideologica

Podemos ha segnato la vita politica degli ultimi due anni: è un’invenzione politica che può costituire uno spartiacque tra un «prima» e un «dopo» nell’organizzazione politica della sinistra; anche per questo, per le èlite spagnole ed europee è un esperimento che deve fallire il prima possibile. La sua ascesa è stata velocissima: l’8% dei voti nelle europee del 2014, il 14% nelle regionali del 2015, il 20% nelle elezioni nazionali del 2015, il 21% (con Izquierda Unida) nel 2016, e la conquista del governo delle principali città spagnole.

Podemos si è collocato, piuttosto che lungo l’asse sinistra/destra, nella linea di frattura che divide basso e alto della società, e per questo è stato definito (e a volte si è definito) populista. La sua retorica è incentrata sulla contrapposizione tra «puro popolo» ed élite corrotta, declinata in dicotomie quali gente comune/privilegiati, produttori/parassiti, maggioranza sociale/élites, virtù/corruzione, democrazia/oligarchia.

Alla base della sua costituzione e della sua crescita ci sono cinque elementi precisi. Il nucleo fondatore Il primo è il suo nucleo fondatore, costituito da ricercatori (quasi tutti giovani) dell’Università Complutense di Madrid. Un nucleo molto compatto, di cinque persone, diventati poi massimi dirigenti del partito.

Podemos è l’impresa politica pensata da un gruppo di intellettuali marxisti o ex marxisti, militanti o ex militanti della sinistra radicale e dei movimenti sociali, che hanno pensato che per cogliere la «finestra d’opportunità» offerta dalla concomitanza della crisi economica e della crisi politica in Spagna, a cui si era aggiunta l’emergenza decisiva del più grande movimento sociale europeo degli ultimi 10 anni (gli Indignados), fosse necessario costruire un’organizzazione radicalmente innovativa dal punto di vista del discorso e dell’organizzazione, che non mostrasse traccia delle vecchie esperienze e delle sconfitte storiche della sinistra.

La televisione

Il secondo elemento è la televisione. Iglesias ha fondato nel 2010 una web-Tv, e grazie a questo è diventato, dal 2013, opinionista abituale in canali televisivi nazionali. Se Iglesias non fosse diventato noto grazie ai dibattiti Tv in prime time, Podemos non sarebbe nato, perché il «capitale mediatico» accumulato dal leader è stato la risorsa fondamentale per tentare l’iniziale «blitz» elettorale.

I movimenti

Il terzo elemento sono i movimenti spagnoli del 2011-2013: gli Indignados, le mobilitazioni in difesa di sanità e istruzione, il movimento anti-sfratti della PAH. Questi movimenti sono il luogo simbolico a cui gli esponenti del partito si richiamano come a un’origine, un’epica, un mito fondativo. Hanno adottato le principali parole d’ordine, rivendicazioni ed elaborazioni simboliche di questi movimenti, integrandone attivisti e portavoce. Senza gli Indignados, non ci sarebbe stato il partito.

Teoria politica

C’è poi il ruolo della teoria politica, e nello specifico il ruolo della teoria sul populismo di Ernesto Laclau. Per Laclau il populismo è la politica, perché la politica è sempre la costruzione di un Discorso in cui uno spettro molto ampio di istanze, domande e identità possa riconoscersi, definendo un «popolo» più ampio possibile.

Podemos ha applicato la «ricetta» di Laclau nella sua definizione della frontiera politica (cittadini/élite privilegiata), nella centralità assegnata al discorso e alla comunicazione, e nella rappresentazione della funzione del partito nella società (ristabilire, su nuove basi, un ordine civile e sociale lacerato dalle élite).

Il modello empirico

Infine, Podemos ha come retroterra un modello empirico: i partiti e i governi «bolivariani» dell’America Latina (Ecuador, Venezuela, Bolivia). Il partito è stato anche un tentativo di tradurre quelle esperienze nel contesto spagnolo.

I fondatori hanno ritenuto – e qui c’è grande parte della loro scommessa politica – che la crisi economica e l’emergere in Spagna di ampi fenomeni di corruzione potessero determinare un processo di latino-americanizzazione della società.

Il 15-M poteva quindi svolgere in Spagna il ruolo che in America Latina è stato giocato dalle grandi mobilitazioni indigene, contadine e urbane. Iglesias poteva svolgere il ruolo di Morales, Chavez e Correa. Podemos quello dei loro rispettivi partiti.

L’unione di questi cinque elementi ha rappresentato il punto di forza del partito, che nel suo primo anno ha goduto di una curva ascendente con pochi precedenti. In un anno è passato dall’8% delle europee al 27% nei sondaggi. In quel momento sono iniziati i problemi.

L’inizio dei problemi

Il suo nucleo fondatore ha iniziato a essere colpito da campagne mediatiche e inchieste giudiziarie (tutte archiviate) molto efficaci nell’incrinarne l’immagine. Monedero, uno dei fondatori e figura tuttora centrale, ne è stato la prima vittima. Accusato di elusione fiscale, si è dimesso dalle cariche esecutive nel marzo 2015, lamentando una scarsa difesa da parte del proprio partito: il «nucleo della Complutense» si rompe. È, questa, una ferita originaria che si trascina a oggi.

Il secondo problema è stato l’ascesa di Ciudadanos (il «Podemos di destra»), sostenuta da èlite e media. Ciudadanos comincia a salire nei sondaggi togliendo a Podemos il ruolo di unico partito rappresentante del cambiamento.

Con le elezioni regionali Andaluse del marzo 2015 si apre poi un ulteriore fronte di disputa interna: un dibattito tra l’area di Errejon, fautrice di un appoggio esterno al governo socialista, e l’area di Iglesias, contraria. Emerge così una frattura che riguarda il modo di intendere la vita istituzionale e il rapporto con il Psoe. Anch’essa arriva fino a oggi.

In quella fase la curva ascendente di Podemos si è già interrotta. Il periodo dell’irruzione nel sistema politico è chiuso, e il partito è ormai percepito come una presenza stabile nel panorama politico. Le elezioni amministrative e regionali del Maggio 2015 hanno esiti ambivalenti. Podemos elegge in coalizione con altre forze i sindaci delle più grandi città spagnole. Dove si presenta da solo, però, i risultati sono meno brillanti. Alle regionali catalane di settembre registra il suo risultato peggiore: solo l’8%, a tre mesi delle elezioni generali.

Il momento più difficile

È questo il momento più difficile nella storia di Podemos, collocato al quarto posto nei sondaggi e descritto dai media come esperienza definitivamente declinante. Per le elezioni nazionali di dicembre, però, il partito si inventa una campagna elettorale eccellente, giocata tutta in attacco. In un mese guadagna 5-6 punti percentuali, arriva a 5 milioni di voti ed elegge 70 deputati.

Si apre una nuova fase e con essa nuove fratture: bisogna preservare la propria immagine di outsider (Iglesias) o interagire in Parlamento con altre forze per ottenere risultati concreti (Errejon)? Bisogna cercare o meno l’intesa con il Psoe per formare un governo, e in che modo? Incalzandolo (Iglesias) o «seducendolo» (Errejon)? Che rapporto mantenere con la società civile?

Per Errejon, le piazze devono essere dei movimenti, mentre il partito deve dare un’immagine di efficacia e affidabilità istituzionale. Per Iglesias il partito deve inventare nuove forme di contropotere sociale.

Il nuovo fronte interno

Nel giugno 2016, come noto, si vota di nuovo. Si apre un nuovo fronte interno: come intendere l’alleanza con Izquierda Unida? È un’episodica e strumentale relazione elettorale (Errejon), o la costruzione di un «blocco storico» gramsciano (Iglesias)?

La perdita di 1 milione di voti rispetto a dicembre fa precipitare le faglie di divisione accumulate nel tempo. Si arriva così al congresso che si apre domani, in cui si confrontano tre candidature principali (Iglesias, Errejon e gli anticapitalisti). Il confronto è durissimo e l’esito del congresso non è affatto scontato.

Alla base della crisi interna ci sono gli stessi cinque elementi che hanno permesso l’ascesa del partito: il nucleo fondatore era troppo ristretto per sostenere la costruzione di un partito nazionale, e ora è diviso; pratica elettorale-istituzionale e rapporto con i movimenti sono difficili da coordinare; la logica dei media può assorbire le dinamiche interne di un partito; la distanza tra il contesto latino-americano e quello spagnolo si è rivelata significativa; è difficile mantenere nel tempo un’immagine di novità ed estraneità rispetto agli attori politici tradizionali; il concetto di «populismo», e l’interpretazione che ne va data, sono diventati un terreno di disputa ideologica.

Al congresso di Vistalegre il compito di trovare un nuovo equilibrio.

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