Il piano di Renzi: Election day l’11 giugno

Il piano di Renzi: Election day l’11 giugno

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Quando si dice l’incomunicabilità…. Nel Pd c’è chi, ancora ieri sperava di convincere Renzi a evitare la scissione posticipando il congresso: come Gianni Cuperlo che ha fatto un ultimo disperato tentativo nell’incontro con il capogruppo Rosato e il vicesegretario Guerini. Renzi, invece, ha la testa da tutt’altra parte: più che alla scissione pensa alle possibilità che la stessa offre di votare presto, prima dell’estate. Il progetto è preciso, e senza più la minoranza a ostacolarlo quasi a portata di mano: accorpare le elezioni politiche, le amministrative e il referendum sui voucher in un’unica giornata, l’11 giugno.

Una volta passata l’estate, correre alle urne sarebbe per Matteo Renzi quasi inutile. Indire i comizi subito, in primavera, eviterebbe il rischio di presentarsi alle politiche con sulle spalle una terza mazzata, nelle amministrative che interesseranno 999 comuni, e forse anche una quarta, ancora più esiziale, nel referendum. Impedirebbe anche agli scissionisti di organizzarsi, strutturarsi e acquistare credibilità. Avanti tutta dunque, aspettando l’incidente giusto, tanto clamoroso da “costringere” a indire i comizi anche a congresso in corso.

Che un possibile incidente sia dietro ogni angolo è del tutto evidente. I nuovi gruppi parlamentari si dovrebbero formare non prima di venerdì proprio per evitare la minaccia di debuttare nel modo peggiore quando si tratterà di votare con la fiducia il milleproroghe. Nel Gruppo della Camera entreranno infatti 16 deputati provenienti da Sel, incluso il capogruppo Arturo Scotto. Si tratta inoltre di un provvedimento che comprende contenuti difficilmente definibili come «di sinistra». Meglio evitare il dilemma fra tradire subito l’identità e esordire con un voto di sfiducia.

Il nuovo partito parte infatti deciso a sostenere il governo a spada tratta, allo stesso tempo però deve per forza qualificarsi come forza di sinistra. Coniugare le due esigenze potrebbe rivelarsi impossibile, soprattutto qualora il governo presentasse misure incompatibili con la fisionomia di un partito alla sinistra del Pd. Il calendario non presenta al momento grandi occasioni di minaccia. Il terreno più scivoloso è per ora la legge sulla cittadinanza, dove però il problema riguarda l’ala destra della maggioranza, l’Ncd, che non ha alcuna intenzione di forzare i tempi. Qualche guaio potrebbe però arrivare con i voucher, se il governo presenterà una legge fatta apposta per evitare il referendum ma osteggiata dalla Cgil. E subito dopo si profila un appuntamento ancora più a rischio: quello del Def, che potrebbe contenere misure per la sinistra inaccettabili. Ma in questo caso la corsa sarebbe davvero sul filo di lana. Il Def deve infatti essere presentato a metà aprile, e i tempi per sciogliere le Camere sarebbero pertanto ridotti all’osso.

C’è un secondo motivo di possibile tensione. Al Senato, dove la minoranza è proporzionalmente più forte, dovrebbero uscire tra i 13 e i 15 senatori, comunque sufficienti per formare un gruppo con tutto quel che ciò comporta in termini di modifiche degli equilibri soprattutto nelle commissioni. Il fronte più nevralgico è la prima commissione, gli Affari costituzionali, dalla quale passa ogni provvedimento, che dovrà occuparsi della legge elettorale e nella quale la presidenza è vacante sin dalla promozione di Anna Finocchiaro al ministero. Per ora maggioranza e opposizione sono in parità. Sulla carta la scissione non dovrebbe cambiare niente: anche il nuovo gruppo di Uguaglianza e Libertà farà parte della maggioranza. Ma non c’è dubbio che, al momento di votare sui singoli provvedimenti e tanto più quando si tratterà di eleggere il nuovo presidente, gli equilibri della maggioranza stessa si riveleranno profondamente cambiati.
Il rischio di precipitazione c’è e non lo nega nessuno. Che Renzi non veda l’ora di coglierlo è molto più che probabile. Molto dipenderà dal governo e dalla sua determinazione nel tentare di tenere unita una maggioranza che ricorderà quella proverbiale dell’Unione prodiana. Ma se Gentiloni e i ministri sceglieranno di essere più fedeli a Renzi o a se stessi è un’incognita che solo i fatti potranno chiarire.

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