«Visti venduti per 10 mila euro»: scandalo al consolato italiano in Iraq

«Visti venduti per 10 mila euro»: scandalo al consolato italiano in Iraq

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Scoppia il «visagate» al consolato italiano nel Kurdistan iracheno. Procedure di visto per l’Italia pagate sino a 10 mila euro al posto dei 90 indicati sui prezziari della Visametric, l’agenzia incaricata di preparare le domande ufficiali.

È ormai quasi un anno che dalla sede della rappresentanza italiana a Erbil giungono voci di bustarelle e soprattutto operazioni poco pulite per ottenere l’agognato visto che permette l’accesso all’area Schengen.

«Si devono versare soldi, tanti soldi in contanti. Altrimenti non riesci neppure a far giungere le tue pratiche agli sportelli del consolato», ci dicevano gli amici curdi già nell’ottobre scorso.

Ma ora i sospetti diventano quasi certezze. Appena prima di Natale la Farnesina ha inviato una commissione d’inchiesta ad Erbil per far luce sulla vicenda.

Sotto la lente d’ingrandimento dei commissari ci sarebbero almeno 152 visti ottenuti pagando cifre esorbitanti e comunque molto più alte delle tariffe ordinarie. «Molti tra coloro che hanno ottenuto il visto in modo irregolare sono cittadini curdi locali. Ma quasi la metà sarebbero arabi iracheni e tra loro anche tanti profughi siriani. La questione si fa delicata. Pare infatti che alcuni di questi ultimi fossero stati rifiutati da altri consolati europei per motivi di sicurezza. Con gli italiani invece è stato sufficiente pagare», rivelano al Corriere fonti locali ben informate.

Non è difficile comprendere la delicatezza della questione. Lo scandalo scoppia mentre in Europa e nel mondo impera l’allarme terrorismo e si dibatte come regolare l’afflusso dei migranti. Inoltre, Erbil per il governo di Roma rappresenta una sede importante: da qui passano gli aiuti europei alle forze militari curde, da qui si guarda con attenzione agli sviluppi dell’offensiva in corso contro Isis trincerato a Mosul e da qui transita la logistica dello sforzo tutto italiano per mettere in sicurezza e riparare la grande diga sul Tigri a pochi chilometri dalle zone dei combattimenti.

«Siamo ben al corrente del problema. E infatti attendiamo i risultati dell’inchiesta organizzata dalla Farnesina. Se i sospetti dovessero venire provati, se ne dovrebbe occupare la Procura di Roma. Va detto che la questione era stata segnalata con urgenza già a fine estate dalla nostra console, Alessandra Di Pippo, che, sebbene fosse arrivata a Erbil da poco tempo, ne aveva subito colto la gravità», spiega il nuovo portavoce del ministero degli Esteri, Marco Peronaci.

La Di Pippo a fine gennaio ha lasciato Erbil a seguito di «gravi problemi familiari» ed è stata spostata al desk Libia a Roma. «La nostra console ha dovuto lasciare l’Iraq per accudire in Italia la mamma malata», chiarisce l’ambasciatore italiano a Bagdad, Marco Carnelos. Al suo posto dovrebbe arrivare a fine aprile Serena Muroni, che al momento sta terminando il suo mandato presso l’ambasciata di Kampala.

Al centro dell’inchiesta italiana, non sono solo le attività della Visametric, che nel frattempo continua ad offrire i suoi servizi presso le sedi diplomatiche italiane di Erbil, Bagdad e Bassora, ma anche il personale del consolato.

In particolare, ormai da alcune settimane non si sta recando al lavoro Claudio Nuccitelli, impiegato italiano dell’ufficio visti di Erbil, e potrebbe essere presto formalmente sospeso dal suo incarico.

Lorenzo Cremonesi



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