Russia. La pista ceceno-daghestana per San Pietroburgo

Russia. La pista ceceno-daghestana per San Pietroburgo

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MOSCA. San Pietroburgo non era mai stata colpita da un attacco terroristico così violento. La presenza in città ieri del presidente Vladimir Putin rappresenta certamente una sfida allo «zar», che solleva la questione della paternità dell’attentato e dei suoi obiettivi politici. La Russia del resto è da 15 anni il crocevia di forti tensioni legate alla irrisolta questione caucasica, ma anche di giganteschi interessi economici e flussi finanziari. Nessuna ipotesi può essere esclusa completamente. Gli organi di sicurezza della Federazione Russa aveva recentemente segnalato la possibilità di attentati di matrice estremistica ucraina, ma tecnica e obbiettivi dell’azione fanno escludere nettamente questa ipotesi.

Per ora i più forti sospetti, invece, non possono che cadere sulla guerriglia cecena.
Dopo che tra il 2000 e il 2005 le bande guerrigliere cecene, operanti soprattutto nel territorio del Daghestan, erano state fortemente indebolite dall’offensiva dell’esercito russo in tutta la regione, fino a far affermare alle autorità russe che il conflitto era ufficialmente chiuso, negli ultimi anni e in particolare negli ultimi mesi, sono tornate alla ribalta con attentati e azioni armate in tutto il Caucaso.
Secondo il sito Kazkavzy Uzel’, che monitora costantemente la situazione nel Caucaso russo, dal 1 gennaio scorso al 31 marzo 2017 si sono succeduti ben 21 attentati e scontri a fuoco, con decine di vittime e feriti. La rinnovata intensità delle azioni militari dei ribelli è far risalire a diversi motivi. La leadership del governatore ceceno, Razman Kadyrov, fortemente voluto da Putin, negli ultimi anni si è via via appannata: i risultati economici restano deludenti malgrado gli ingenti investimenti fatti da Mosca mentre corruzione e illegalità continuano ad essere il tratto distintivo della regione caucasica.

A ridare fiato alla guerriglia, inoltre, sono sicuramente gli strascichi dell’impegno assunto dall’esercito russo nella crisi siriana dove si intersecano molteplici labili alleanze tra Stati e gruppi islamici radicali. Del resto, malgrado il ferreo controllo della polizia russa ai confini, attualmente sono presenti oltre 10 milioni di migranti provenienti soprattutto dagli Stati musulmani dell’ex Unione Sovietica dell’Asia centrale come l’Uzbekistan e il Tagikistan, una potenziale manovalanza del terrore di cui già da tempo il Ministero degli Interni russo ha appuntato la sua attenzione.

La scia di sangue che ha attraversato la Russia negli ultimi quindici anni è del resto in gran parte da far risalire indubitabilmente alla guerriglia cecena e islamica. Tutte le tre azioni più micidiali sono state rivendicate o sono state fatte risalire al terrorismo ceceno: gli attentati ai condomini popolari di Mosca del 1999 che provocarono oltre 200 morti, l’azione al Teatro della Dubrovka del 2002 (130 morti) e la strage di Beslan del 2004 che costò la vita a oltre 300 persone in gran parte bambini, ebbero tutte la stigmate del terrorismo islamico-indipendentista.

Inoltre, ad indirizzare i sospetti verso sulla pista islamica, c’è il periodico ricorso di questi gruppi agli attentati alle metropolitane, di Mosca in particolare.

Il 6 febbraio 2002 un musulmano si fece esplodere nella metropolitana di Mosca e l’azione costò la vita a 42 persone. Pochi mesi dopo, il 31 agosto, una militante della guerriglia cecena diretta da Shamil Basaev si fece esplodere alla fermata Rizskya di Mosca provocando 9 morti. Infine nel 2010, nelle fermate Lubjanka e Park Kultury esplosero due bombe che uccisero 42 persone. Anche qui l’attentato fu di marca cecena, rivendicato dai gruppi ribelli diretti da Dokka Umarov fondatore di una fragilissima Repubblica Cecena di Ichkeria nel 2006.

Tuttavia la pista cecena potrebbe sovrapporsi e essere complementare alla vicenda del conflitto in Siria e delle tensioni in Medio Oriente. Si tratta di ipotesi e di sospetti che avevano già trovato conferme a dicembre 2016 nella conferenza stampa di fine anno del Direttore per l’Attività Antiterroristica Igor Kulyagin che dopo aver dichiarato con soddisfazione che gli attentati in Russia si erano ridotti di ben del 50% rispetto all’anno precedente, aveva mostrato molta preoccupazione per la ripresa di azioni terroristiche di matrice islamica anche nella Russia Europea. Alla metà del 2016, per esempio, proprio a San Pietroburgo i servizi di sicurezza avevano individuato e arrestato un gruppo di fuoco di russi di origine musulmana pronti a realizzare attentati con collegamenti in Siria e in altri paesi del Medio Oriente.
Si tratta di una matassa che Putin, a fronte delle crescenti tensioni interne e in vista del grande appuntamento in Russia dei Mondiali di calcio del 2018, dovrà cercare assolutamente di sbrogliare.

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