Affari di sangue. 110 mld di armi Usa all’Arabia Saudita

Affari di sangue. 110 mld di armi Usa all’Arabia Saudita

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Donald Trump si appresta a vendere queste armi all’Arabia Saudita, prima tappa del tour che lo porterà anche in Israele, Vaticano, al vertice Nato e al G7

Mentre a Tehran oggi proclameranno il vincitore delle presidenziali, nelle stesse ore a Riyadh srotoleranno il tappeto rosso per accogliere Donald Trump. Il presidente americano che in campagna elettorale aveva fatto dell’avversione all’Islam e ai musulmani la sua bandiera, nelle prossime ore si rivolgerà ad oltre 50 rappresentanti e leader del mondo islamico riuniti in Arabia saudita un discorso di amicizia e alleanza, farcito di appelli alla lotta comune contro il radicalismo religioso. Un discorso che vuole chiudere nel cassetto più dimenticato della storia quello che rivolse il suo predecessore Barack Obama nel 2009 a milioni di musulmani in tutto il mondo parlando dall’università islamica del Cairo. «Il summit tra Stati Uniti, Arabia Saudita, Paesi musulmani è storico – ha commentato il ministro degli esteri saudita Adel al Jubeir, un “falco” fautore della linea del pugno di ferro nei confronti dell’Iran – è un chiaro segnale, entrambe le parti sono interessate a un dialogo positivo e ad allearsi».
Tuttavia in questa prima tappa del lungo viaggio inaugurale all’estero Trump, più di ogni altra cosa, annuncerà uno dei più ampi accordi della storia per la vendita di armi Usa all’Arabia saudita, del valore di 110 miliardi di dollari. Un accordo a cui ha lavorato suo genero e consigliere “speciale” Jared Kushner divenuto, pare, un amico stretto del giovane vice principe ereditario saudita e uomo forte del regno, Mohammed bin Salman. Kushner avrebbe personalmente chiesto all’amministratore delegato di Lockheed Martin, Marillyn Hewson, di abbassare il prezzo di un sistema radar, in modo che il prezzo fosse accettabile per l’Arabia Saudita e potesse essere incluso nell’accordo. È la polizza assicurativa che Trump offre alle petromonarchie del Golfo a garanzia del suo impegno volto a proteggere sempre e comunque gli alleati sunniti e a “contenere” le ambizioni dell’Iran.
Non sorprende che per le strade di Riyadh sventolino le bandiere americane accanto a quelle nazionali e i cartelloni con il volto del tycoon accanto a quello del re Salman in arabo e inglese, inneggianti all’amicizia tra i due Paesi e al comune obiettivo di «sconfiggere il terrorismo». Su di uno si legge «Insieme vinceremo», una vittoria non contro l’Isis, il nemico che Trump sostiene di voler colpire e sconfiggere e che in realtà non è il suo vero obiettivo. Il bersaglio vero è l’Iran e a Tehran lo sanno bene. Ibrahim Raisi, lo sfidante conservatore del presidente uscente Hassan Rohani, ha puntato la sua campagna sulle eccessive aperture del capo dello stato agli americani che, afferma, si preparano a stringere di nuovo la corda intorno al collo dell’Iran, spinti anche dall’Arabia saudita e da Israele dove Trump giungerà tra due giorni.
Terrorismo e sicurezza perciò domineranno gli incontri di Trump con i capi di stato dei Paesi islamici. Spicca, ma non sorprende, l’assenza dei diritti umani dall’agenda di Trump che, lo sottolinea in un comunicato Amnesty International, non farà altro che incoraggiare ulteriori violazioni in una regione in cui i governi violano il diritto umanitario internazionale in conflitti spesso alimentati dai trasferimenti di armi statunitensi. «I diritti umani sono sotto un continuo attacco nel Golfo», denuncia Margaret Huang di AI. «L’Arabia saudita e gli altri Paesi del Golfo – aggiunge – usano il terrorismo come scusa per schiacciare e perseguitare dissidenti pacifici e difensori dei diritti umani…e mentre in Yemen famiglie intere sono uccise all’interno delle loro case con armi vietate a livello internazionale dalla Coalizione a guida saudita in Yemen, l’Amministrazione Trump pianifica la vendita di armi per miliardi di dollari all’Arabia Saudita».

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