Usa/Israele/Territori occupati. Ai palestinesi Trump non offre nulla

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 Prima di partire ha ribadito che gli Usa saranno sempre dalla parte di Israele

BETLEMME. Funzionari della Casa Bianca ieri hanno mantenuto il presidente americano Donald Trump aggiornato in tempo reale sugli sviluppi dell’attentato a Manchester rivendicato dallo Stato islamico. Chissà se gli hanno riferito anche degli spari dei soldati israeliani che hanno ferito gravemente a Silwad (Ramallah) la 17enne Tuqua Hammad che lanciava sassi alle jeep militari. O dell’uccisione del 15enne Raed Radayda di Ubeidiya (Betlemme) che, secondo la versione ufficiale israeliana, lunedì ha tentato di pugnalare un soldato a un posto di blocco dell’Esercito. Ne dubitiamo. E in ogni caso sarebbe servito a ben poco con un presidente americano che, in quell’ora scarsa che ha passato a Betlemme, non ha fatto altro che ripetere frasi vuote di fronte a una popolazione già turbata dalle pressioni fatte dall’Autorità nazionale del presidente Abu Mazen volte a rimuovere, per l’arrivo di Trump, alcuni dei presidi allestiti a sostegno dei prigionieri palestinesi che da quasi 40 giorni fanno lo sciopero della fame nelle carceri israeliane. «Il presidente avrebbe dovuto rifiutare l’incontro con Trump e mettersi invece alla testa di manifestazioni contro gli Stati Uniti e Israele e in appoggio di nostri eroici prigionieri», ci diceva ieri Adel Hourani, uno delle centinaia di palestinesi di Betlemme che hanno manifestato contro la visita del presidente americano. A Gaza il Jihad islamico e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina hanno organizzato una marcia di protesta e bruciato poster con l’immagine di Trump.

Lo sciopero della fame dei detenuti politici resta il tema dominante in Cisgiordania, dove lunedì c’è stata una adesione massiccia allo sciopero generale proclamato da varie organizzazioni politiche palestinesi e ieri è stata proclamata una “Giornata di Rabbia”. Le condizioni di salute dei circa 1.700 detenuti che digiunano – dal 17 aprile su appello del leader di Fatah Marwan Barghouti – stanno peggiorando rapidamente. Due di loro, Mansour Fawaqa e Hafith Sharayaa, sono in condizioni critiche. Accusano perdita di coscienza, vomito, forti dolori oltre alla perdita di 15 chili di peso. Molti altri detenuti mostrano sintomi analoghi. In questo clima Donald Trump ieri ha mostrato un ottimismo fondato sul nulla, a Betlemme e al ritorno a Gerusalemme durante la visita al Memoriale dell’Olocausto (Yad Vashem) e al Museo d’Israele. Gli Stati Uniti, ha ripetuto, faranno tutto quanto è nelle loro disponibilità «per costruire il sogno di una pace possibile» tra Israele e Palestina. «Sono personalmente impegnato a cercare di raggiungere un accordo di pace tra israeliani e palestinesi – ha spiegato – e intendo fare tutto il possibile per raggiungere questo obiettivo…Il presidente Abu Mazen mi ha assicurato di essere pronto a lavorare in buona fede in questa direzione e il primo ministro Netanyahu mi ha promesso lo stesso». Quindi ha aggiunto: «Non sarà facile, ma con un compromesso, israeliani e palestinesi potranno farcela. La pace è possibile, se mettiamo da parte il dolore e il disaccordo del passato». Insomma, il festival del banale.

Aria fritta, frasi vuote, fiducia ingiustificata nella possibilitù di riaprire il negoziato e di raggiungere l’obiettivo mancato dagli altri presidenti Usa. Trump in realtà non ha nulla da offrire, anzi ha già tolto ai palestinesi. Ha evitato accuratamente di fare riferimento alla soluzione dei Due Stati e alla creazione di dello Stato di Palestina, facendo gioire la destra israeliana al potere che ora crede di aver scampato il “pericolo” dell’indipendenza e autodeterminazione dei palestinesi. Il presidente dell’Anp Abu Mazen, particolarmente accondiscendente, ha ribadito che il problema principale sono l`occupazione militare e le colonie israeliane e non come si vuol far credere un conflitto tra religioni. «Ancora una volta intendo ribadire la nostra posizione che riguarda l`esistenza di due Stati all’interno dei confini del 1967», ha spiegato. «Chiediamo – ha proseguito – uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale, in grado di convivere a fianco dello Stato d`Israele in pace e sicurezza per risolvere definitivamente la questione. Il nostro problema riguarda l`occupazione militare, le colonie e il rifiuto israeliano di riconoscere lo Stato di Palestina. Non abbiamo problemi con la religione ebraica».

Trump ha ascoltato senza commentare. Tornato a Gerusalemme ha ripetuto che gli Stati Uniti, con lui, saranno sempre dalla parte di Israele. Poi ha puntato di nuovo l’indice contro l’Iran. Infine ha raggiunto l’aeroporto di Tel Aviv da dove è decollato in direzione dell’Italia. Un viaggio in Medio Oriente privo di risultati politici ma pieno di miliardi di dollari, quelli che l’Arabia saudita spenderà per comprare le armi statunitensi.

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