Il Consiglio d’Europa bacchetta l’Italia: «Sulla tortura legge inadatta»

Il Consiglio d’Europa bacchetta l’Italia: «Sulla tortura legge inadatta»

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Così non va. L’attuale testo di legge che introduce il reato di tortura nel nostro ordinamento penale e che dovrebbe (ma già si parla di rinvii) tornare all’esame della Camera il 26 giugno prossimo, in quarta lettura, non rispetta le Convenzioni Onu, né gli obblighi imposti dalla condanna della Corte europea dei diritti dell’Uomo con la sentenza «Cestaro vs Italia» del 2015. A dirlo – anzi, a scriverlo con una lettera indirizzata alle più alte cariche del Parlamento italiano – è il Consiglio d’Europa, che già tre mesi fa aveva sollecitato Roma ad accelerare i tempi.

In particolare è il Commissario Nils Muižnieks che, prendendo sul serio «l’impegno del Parlamento italiano» di varare finalmente una legge attesa dal 1989, e sfuggendo naturalmente alla logica dei veti incrociati, degli opportunismi elettorali e dei diktat delle destre, dentro e fuori i sindacati di polizia, si è preso la briga di comunicare la preoccupazione di Strasburgo sul ddl che è stato licenziato dal Senato il 17 maggio scorso e che dovrebbe tornare all’esame della Camera proprio nella Giornata internazionale contro la tortura.

«Taluni aspetti – scrive il commissario per i diritti umani dell’organizzazione internazionale – sembrano essere disallineati rispetto alla giurisprudenza della Corte (Cedu, ndr), alle raccomandazioni della Commissione europea per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti inumani e degradanti e alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura».

Nella lettera indirizzata ai presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso, e a quelli delle relative commissioni Giustizia, Ferranti e D’Ascola, nonché al senatore Luigi Manconi, presidente della commissione straordinaria Diritti umani, Muižnieks osserva «in particolare che, nell’attuale versione del ddl, perché si possa configurare il reato di tortura, sono necessarie “piú condotte” di violenze o minacce gravi, ovvero crudeltà». Inoltre, «la tortura psicologica è limitata ai casi in cui il trauma psicologico sia verificabile». E, «dato che l’attuale testo sembra divergere dalla definizione di tortura data dall’articolo 1 della Convenzione Onu anche per altri aspetti», il commissario del Consiglio d’Europa esprime la «preoccupazione» che una tale legislazione possa creare «situazioni in cui episodi di tortura o di pene e trattamenti inumani o degradanti restino non normati, dando luogo pertanto a possibili scappatoie di impunità».

Infine, «considerato che il testo adotta una definizione ampia di tortura, che ricomprende anche i comportamenti di privati cittadini – scrive ancora Nils Muižnieks – è importante garantire che tutto questo non indebolisca la garanzia di tutela a chi subisce tortura per mano di pubblici ufficiali, vista la natura particolarmente grave di questo tipo di violazione». Tanto più perché, tocca sottolineare al Commissario, ciò «tutelerebbe la reputazione della stragrande maggioranza dei tutori dell’ordine e di altri organi dello Stato che non commettono tali atti».

Naturalmente quindi per il Consiglio d’Europa le «nuove disposizioni dovrebbero prevedere pene adeguate» e, come impongono tutti gli organismi internazionali e le Convenzioni che l’Italia ha firmato e ratificato ormai 28 anni fa, la nuova fattispecie di reato non deve essere «soggetta a prescrizione», né deve essere «possibile emanare in questi casi misure di clemenza, amnistia, perdono o sospensione della sentenza. Parimenti, non vanno previsti limiti temporali alla facoltà delle vittime di ottenere misure di risarcimento».

Parole accolte con un silenzio di tomba. Unico plauso, quello dell’associazione Antigone e di Amnesty international (che già avevano criticato l’attuale testo), di Sinistra Italiana (che si era astenuta, al Senato) e dei deputati del M5S che ora parlano di «legge inefficace» e chissà perché (i senatori a 5 Stelle hanno votato a favore del testo) esultano: «Il Consiglio d’Europa ci dà ragione».

FONTE: Eleonora Martini, IL MANIFESTO



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