2 giugno in Sardegna: «A Foras» dalle servitù militari

2 giugno in Sardegna: «A Foras» dalle servitù militari

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CAGLIARI. Al grido di «a foras!» («fuori!») nel giorno della festa della Repubblica, per ricordare che le istituzioni nate dal referendum del 2 giugno 1946 hanno unilateralmente imposto alla Sardegna un carico di servitù militari attualmente pari a circa il 60% del totale italiano, a fronte di una popolazione sarda che è circa il 3% di quella italiana. Fuori le basi militari dalla Sardegna: questo il senso della mobilitazione che si è svolta ieri a Cagliari per iniziativa di «A foras», il cartello che raccoglie la galassia pacifista e antimilitarista sarda.
Due i momenti della giornata: al mattino un corteo nel centro della città che è partito alle 11.30 da Marina Piccola per dirigersi verso piazza dei Centomila; al pomeriggio un concerto al parco del Colle San Michele, per una grande festa della musica contro l’occupazione militare della Sardegna. Tra gli artisti sul palco: Patrizio Fariselli degli Area, il premio Tenco Claudia Crabuzza ed Enzo Favata.  C’era anche una mostra delle autoproduzioni locali: un esempio di economie etiche e sostenibili dalle quali ripartire dopo la dismissione di tutti i poligoni. Insieme con i pacifisti hanno sfilato i dipendenti di Tre e di Wind, che temono di perdere il lavoro dopo l’accorpamento delle due compagnie di telefonia mobile: in Sardegna la riorganizzazione coinvolge circa 400 persone.

«È stata – dicono quelli di “A foras” – una grande mobilitazione di tutta la Sardegna contro tutti gli eserciti e contro tutte le multinazionali delle armi che, con la complicità del governo nazionale e di quello regionale in carica e dei suoi predecessori, operano ogni giorno nell’isola, traendo profitto dall’industria bellica e continuando a portare morte e distruzione nel mondo e sempre nuove ondate di profughi disperati verso le nostre coste. Soltanto nel il 2017 sono stati 23 i miliardi di euro destinati alle spese militari, oltre 64 milioni al giorno (oltre l’1,5% del pil). E tutto questo mentre si procede a un drastico ridimensionamento degli stanziamenti per il diritto alla salute e all’istruzione. E alla ricerca sono riservati appena 5 miliardi».

In Sardegna ai 40.000 ettari di territorio occupati stabilmente dai poligoni militari si aggiunge l’occupazione
temporanea durante le esercitazioni che interessano periodicamente un tratto di mare e di spazio aereo enorme, 20.000 chilometri quadrati, grande quasi come l’intera Sardegna. «Nel mese scorso – ricorda “A foras” – abbiamo dovuto assistere all’esercitazione “Mare aperto”, che ha introdotto la novità dell’interdizione di aree non soggette a vincolo militare, con tanto di esibizione nel porto di Cagliari di navi militari provenienti da diversi teatri di guerra».

Tutto questo mentre il sito web di informazione Sardiniapost svela l’esistenza di documenti che dimostrano un ulteriore potenziamento dell’attività della Rwm Italia, industria con sede a Domus Novas, in provincia di Cagliari. «Nei mesi scorsi – scrive Sardiniapost – la fabbrica di bombe made in Sardinia usate dai sauditi nel conflitto in Yemen ha avviato l’iter per l’ampliamento dello stabilimento sardo, mettendo sul piatto 40 milioni in due anni. Nel frattempo i vertici della società, diretta emanazione della tedesca Rheinmetall, si sono mossi anche in altre direzioni, e più precisamente verso Sa Stoia, l’area industriale di Iglesias. È qui che la Rwm vuole allestire un deposito per lo stoccaggio di “materiali di imballaggio vari, quali legno, carta e cartone, contenitori di plastica e componentistica metallica” ». Ma il progetto descritto nei documenti di cui Sardiniapost è venuto in possesso prospetta un’altra attività, ben più preoccupante: all’interno del capannone preso in affitto a Sa Stoia per lo stoccaggio di imballaggi Rwm Italia prevede anche la realizzazione di “deposito di materiale combustibile con una superficie lorda pari a 1.700 metri quadrati».

Insomma, la Sardegna non solo come grande piattaforma militare per le forze armate italiane e per la Nato, ma anche come centro di produzione di armi da esportare verso paesi impegnati in conflitti aperti. A tutto questo ieri da Cagliari è arrivata una risposta forte.

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