OCSE. La ripresa contagia il mondo ma cresce anche il rischio bolla

OCSE. La ripresa contagia il mondo ma cresce anche il rischio bolla

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Un rialzo dei tassi raffredderebbe la speculazione, ma può colpire anche l’economia reale. Oggi Yellen e Draghi a Jackson Hole Perfino Brasile e Grecia vedono il Pil salire. Sia in Europa che negli Stati Uniti però il lavoro resta precario e sottopagato

NON si nasconde una buona notizia di questa importanza: l’economia mondiale è proprio guarita. È il verdetto unanime tra i poteri che contano. Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, oggi pronuncia al raduno dei banchieri centrali a Jackson Hole un discorso dedicato alla “dinamica economica globale”. Una sua stretta collaboratrice, Lael Brainard della Fed, è stata la prima a sottolineare che «per la prima volta da molti anni vediamo i segni di un’espansione economica sincronizzata, in America e all’estero». Arrivano i dati dell’Ocse a confermarlo e il

Wall Street Journal li evidenzia in prima pagina: “La crescita decolla in tutto il mondo”.

 

I NUMERI dell’istituto parigino in effetti sono euforizzanti. Questa organizzazione riunisce le 35 maggiori economie del pianeta, ma monitora le prime 45 e constatata che per la prima volta dal 2007 crescono tutte simultaneamente. Inoltre in molte di queste la velocità di crescita sta accelerando. Il Fondo monetario internazionale è sulla stessa lunghezza d’onda con la sua previsione di una crescita mondiale del 3,5% quest’anno e leggermente superiore l’anno prossimo, contro il 3,2% del 2016. L’Ocse osserva che in mezzo secolo non sono stati molti i periodi beneficiati da una crescita così sincronizzata.

Il Wall Street Journal, sapendo di sorprendere i suoi lettori americani, passa in rassegna i sintomi di guarigione di quei malati cronici che erano i Paesi dell’Europa latino- mediterranea: la Spagna ha il dato migliore degli ultimi due anni, Francia e Portogallo vanno a gonfie vele, in Italia le esportazioni aumentano dell’8% su base annua, e spunta perfino una piccola crescita (+1%) per la povera Grecia dopo anni di sofferenze. All’estremo opposto del mappamondo, ecco un altro shock positivo, quell’eterna depressa che era l’economia del Giappone sta crescendo del 4% (dati del secondo trimestre). Perfino un Paese affondato dagli scandali politici come il Brasile riesce a rialzare la testa con un lieve aumento del Pil (+0,3%) quest’anno, poca cosa rispetto al boom del passato, ma un altro segnale di guarigione.

Il quadro è talmente positivo che bisogna trovarci qualcosa di storto. Uno dei rischi di questa congiuntura radiosa sarà proprio affrontato dalla Yellen nel suo discorso di oggi: è la probabile bolla speculativa, che in passato fu talvolta all’origine di disastri sistemici, poi trasmessi all’economia reale. Le Borse sono ai massimi storici, non solo i listini di Wall Street. I mercati azionari di alcuni Paesi emergenti (Argentina) o della periferia europea (Grecia, Turchia) hanno guadagnato il 20% dall’inizio dell’anno, sia pure partendo da livelli molto più bassi di Wall Street. Le materie prime registrano una nuova febbre d’iperinflazione con un indice globale dei loro prezzi in aumento del 27% dall’inizio dell’anno scorso (questo spiega il Brasile). In Cina il mercato immobiliare è nuovamente surriscaldato. Tutto ciò pone un problema ai banchieri centrali che oggi si ritrovano sulle Montagne Rocciose del Wyoming. Le due maggiori banche centrali, Fed e Bce, hanno come bussola il tasso d’inflazione misurato sui prezzi al consumo. Sia in America che in Europa l’inflazione al consumo resta bassissima, ben al di sotto di quel 2% che viene giudicato “sano”. Di conseguenza Fed e Bce dovrebbero evitare una stretta monetaria. Ma il quadro è completamente diverso se anziché guardare i prezzi al consumo si osservano gli indici delle materie prime oppure i valori degli attivi finanziari e immobiliari. Le Banche centrali fanno bene a ignorare i rischi di una bolla speculativa? O dovrebbero bucarla con lo spillo di un rialzo dei tassi? A questa domanda ha risposto indirettamente il numero due della Fed, Stanley Fischer. In un lungo colloquio col Financial Times lo scorso weekend, Fischer ha denunciato i tentativi di Donald Trump e dei repubblicani di smantellare le regole anti-speculazione che furono introdotte a Wall Street durante la presidenza Obama. Il messaggio è questo: contro la speculazione il rimedio migliore non è un rincaro del costo del denaro (che colpisce anche l’economia reale) bensì un apparato di regole ad hoc che disciplinano le banche. Resta il rischio che un’amministrazione Usa infarcita di uomini della Goldman Sachs ignori questo avvertimento.

A parte i rischi di bolla, c’è un’altra contraddizione nello scenario idilliaco sulla ripresa globale. I segnali che vengono dalle opinioni pubbliche continuano a confermare disagio, perfino esasperazione. Anche nell’economia americana, la prima a uscire dalla recessione, resta troppa disoccupazione nascosta, troppo precariato sottopagato, e le diseguaglianze sociali sono ai massimi da mezzo secolo. La crescita c’è. La sua qualità è scadente.

Fonte: FEDERICO RAMPINI, LA REPUBBLICA



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