Almeno cinquemila morti in Europa per il Dieselgate

Almeno cinquemila morti in Europa per il Dieselgate

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Secondo uno studio appena pubblicato dalla rivista Environmental Research Letters, il Dieselgate è costato cinquemila vite umane  l’anno in più nella sola Europa. Lo studio è firmato dagli scienziati dell’Istituto Meteorologico Norvegese, dell’Istitute for Applied System Analysis di Vienna e della Chalmers University di Göteborg, guidati da Jan Elof Jonson. A questa cifra notevole, i ricercatori sono giunti considerando l’impatto sulla salute delle reali emissioni inquinanti delle auto diesel, risultate molto maggiori rispetto a quelle dichiarate ufficialmente. Gli studiosi, dunque, stimano che dei circa diecimila decessi attribuibili alla pessima qualità dell’aria in Europa (dati 2013), la metà sia dovuta alle emissioni nascoste dai costruttori. Lo scandalo, emerso nel 2015 negli Usa, riguardò inizialmente le auto Volkswagen. Secondo l’Fbi i massimi vertici dell’azienda erano perfettamente consapevoli della frode. Poi lo scandalo si allargò a diversi altri costruttori, da una parte e dall’altra dell’Atlantico. Se alle auto diesel fossero applicati gli stessi limiti di quelle a benzina, come avviene negli Usa, le vite umane risparmiate sarebbero addirittura l’80% del totale.

Per quanto abnorme, la stima di cinquemila morti è persino prudente. È inferiore, ad esempio, ad un’altra del Massachusetts Institute of Technology e pubblicata dalla rivista Nature nel mese di maggio, che arrivava a ben settemila vittime. Il nuovo studio, però, riguarda più in dettaglio il continente europeo, e dovrebbe fornire una fotografia più accurata delle conseguenze del Dieselgate.

Ad esempio, Jonson e colleghi forniscono i dati relativi ai singoli paesi europei, da cui usciamo malissimo. Il paese con il maggior numero di morti imputabili al Dieselgate è proprio l’Italia, in cui 1.250 vite avrebbero potuto essere risparmiate se i costruttori automobilistici non avessero deliberatamente truccato i test. Dietro di noi, Germania e Francia: si tratta degli stati più popolati, ma il dato è influenzato anche dal fatto che in questi paesi il parco auto è dominato dai veicoli diesel. Lo studio punta il dito soprattutto sull’Italia settentrionale uno degli ambienti più nocivi d’Europa per l’elevata densità abitativa e la pessima qualità dell’aria.

La causa principale dell’inquinamento delle auto diesel è l’emissione di ossidi di azoto. Queste molecole sono all’origine del cosiddetto «particolato fine», le particelle di diametro inferiore ai 2.5 micron (PM2.5) che vengono immesse nell’aria dai motori diesel. Sono particelle così sottili da penetrare nei bronchi e causare malattie cardiorespiratorie e tumori. La direttiva europea sulla qualità dell’aria, recepita anche in Italia, prevede limiti stringenti sia per le polveri grossolate che per quelle sottili. Tuttavia, le sanzioni automatiche non puniscono gli sforamenti dei limiti sulle PM2.5, quelle più pericolose.

Come detto, le prime discrepanze tra inquinamento dichiarato e inquinamento reale delle auto diesel Volkswagen sono emerse negli Usa nel 2015. I valori delle emissioni di ossidi di azoto dichiarati sono risultati tra le 4 e le 7 volte inferiori ai valori misurati su strada. Gli organismi di controllo hanno scoperto che la casa automobilistica tedesca aveva installato sui suoi motori un software che, attivandosi solo durante i test, abbassa i consumi e permette di rispettare i limiti previsti dalla legge. Da allora, lo scandalo si è allargato. Ne è emerso che tecnologie simili sono state utilizzate per eludere i controlli anche in Europa e non solo dalla Volkswagen.

Nonostante il pesantissimo costo umano e la responsabilità diretta dei manager, a due anni di distanza le aziende se la stanno cavando meglio del previsto. Nel 2016, la Volkswagen ha persino incrementato le vendite rispetto all’anno dello scandalo. Certo, sul suo bilancio peseranno gli oltre diciotto miliardi di dollari che l’azienda ha accantonato per far fronte alle richieste di risarcimento dei clienti. Sul mercato Usa, infatti, la Volkswagen si è impegnata a ricomprare tutti i veicoli incriminati.

Pure Fiat-Chrysler è rimasta coinvolta nel Dieselgate sia in Europa che negli Usa, dopo test contestati dalla Germania (ma la questione è stata chiusa da un tempestivo accordo tra i governi) e inchieste aperte dalla magistratura francese e dal dipartimento di giustizia statunitense. Nonostante ciò, le vendite in Europa, nei primi mesi del 2017 hanno registrato un +11%. Stessa cosa per Renault e Peugeot-Citroên. Sembra dominare la convinzione che, alla fine, se tutti risulteranno colpevoli, nessuno lo sarà davvero.

Tuttavia, nel silenzio generale, le cause collettive organizzate dalle associazioni dei consumatori proseguono anche in Italia. La procura di Venezia ha recentemente ammesso la class action contro Volkswagen. Analoghe iniziative sono state depositate al tribunale di Torino contro Fiat-Chrysler. Se i giudici terranno conto dell’enorme costo sociale del Dieselgate, per le aziende sarà difficile farla franca.

FONTE: Andrea Capocci, IL MANIFESTO



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