Trasporti. Londra toglie la licenza alla multinazionale Uber: fermi 40mila autisti

Trasporti. Londra toglie la licenza alla multinazionale Uber: fermi 40mila autisti

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D’accordo il sindaco Khan. Ma per il sindacato degli autonomi Iwgb «più che revocare i permessi si dovrebbe agire per migliorare paghe e diritti di chi guida»

Il 30 settembre la multinazionale Uber perderà la licenza di operare a Londra. L’annuncio è stato dato dall’autorità di regolazione dei trasporti della capitale britannica (Tfl) che ha giudicato il servizio della piattaforma digitale «inadatto e inadeguato» e ha anticipato l’intenzione di non rinnovare la licenza in scadenza. La Tfl sostiene che «l’approccio e il comportamento di Uber evidenziano una mancanza di responsabilità aziendale in merito a una serie di questioni collegate alla sicurezza pubblica» e parla di «reati penali» riguardo l’ottenimento di certificati medici e le fedine penali degli autisti.

L’autorità critica anche l’uso di Greyball, un software che può essere usato per bloccare l’accesso alla App per il controllo delle normative. Per la stessa ragione, dopo un’inchiesta del New York Times del 3 marzo scorso, contro Uber è stata aperta un’inchiesta federale negli Stati Uniti. Questo sistema è stato usato per aggirare i controlli in città come Boston, Parigi e Las Vegas e in paesi come l’Australia, la Cina e la Corea del Sud. Commentando la decisione della authority Tfl – che sostiene «pienamente» – il sindaco di Londra Sadiq Khan ha detto di volere «Londra sul fronte dell’innovazione e delle nuove tecnologie, ma tutte le compagnie devono rispettare le regole».

Per Uber è un colpo durissimo. A Londra raccoglie 3,5 milioni di clienti e la City è l’avamposto sull’Europa, un continente dove l’unicorno americano da quasi 70 miliardi di euro non ha vita facile. Di recente è stato costretto ad abbandonare la Danimarca e l’Ungheria. Sempre a Londra, il 30 ottobre dell’anno scorso, Uber ha subito una condanna in primo grado che la obbliga ad assumere come «workers» i 40 mila autisti britannici inquadrati invece come «contrattisti indipendenti» auto-impiegati.

James Farrar, sindacalista della Independent Workers Union of Great Britain(Iwgb) – il sindacato che si batte contro la politica dell’errata classificazione (misclassification) dei lavoratori nelle aziende del capitalismo delle piattaforme (Deliveroo e le altre della gig economy) – è critico: «Per Uber è un colpo tremendo, ma la Tfl ci ha messo cinque anni di laissez-faire per togliergli la licenza. È una prova del fallimento sistemico della Tfl. Invece di bandire Uber – ha aggiunto – avrebbe dovuto rafforzare la cornice delle regole e proteggere i diritti degli autisti, il salario minimo e le ferie pagate. Il sindaco Khan deve chiedere una riforma della Tfl, identificare le cause del fallimento e prevenire che questo accada ancora».

Tom Elvidge, general manager di Uber a Londra ha attaccato tutti in nome della «libertà dei consumatori» e ha difeso la «uberizzazione» della forza lavoro. «La Tfl e il sindaco hanno assecondato un ridotto numero di persone che vogliono limitare le scelte dei cittadini. Oltre 40 mila autisti nostri partner rimarranno senza lavoro. Londra sta dimostrando di essere una città chiusa, non aperta». Rispetto alle contestazioni Elvidge ha detto: «Abbiamo seguito le regole, lavoriamo a contatto con la polizia locale e un’indagine indipendente ha dimostrato che non abbiamo mai usato Greyball nel Regno Unito».

Uber è una piattaforma che connette solo gli autisti ai passeggeri oppure è un’azienda di trasporto che deve rispettare le leggi del settore ed è un datore di lavoro? Una sentenza della Corte europea di giustizia sta esaminando il problema che riguarda il futuro del capitalismo digitale. Il bando di Uber da Londra è un nuovo episodio di questo conflitto globale.

FONTE: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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