Finanziaria 2006. Una pessima eredità

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Finanziaria 2006
Una pessima eredità

di Beniamino Lapadula
(Responsabile politiche economiche Cgil)

Entro la fine di questa settimana la legge finanziaria 2006 dovrebbe essere licenziata dal Senato e, quindi, passare alla Camera. La Commissione Bilancio di Palazzo Madama ha approvato il testo a tarda notte di venerdì scorso dopo un lungo vertice di maggioranza in cui si è deciso di spostare in aula la battaglia per la spartizione tra i diversi partiti di governo dei 500 milioni messi a disposizione da Tremonti per soddisfare le esigenze elettorali della Casa delle Libertà. Malgrado questa scandalosa lottizzazione delle risorse, i malumori tra i senatori della maggioranza non mancano, ma, alla fine, con il voto di fiducia sul maxiemendamento che verrà presentato in aula, ogni discussione verrà chiusa senza un vero dibattito parlamentare.

Nelle scorse settimane le procedure parlamentari, già devastate dall’andamento delle precedenti sessioni di bilancio di questa legislatura, hanno subito ulteriori, gravi colpi. Non era mai successo fino ad ora che il governo in meno di un mese decidesse ben tre successive correzioni dei conti pubblici: il 30 settembre la Finanziaria del 2006 con il connesso decreto legge, il 17 ottobre la manovrina bis per il 2005 del valore di circa 2 miliardi e, infine, il 28 ottobre l’emendamento alla manovra 2006 per un importo di ben 5 miliardi.
Tenuto conto che il governo deve ancora provvedere al finanziamento dei contratti del pubblico impiego ci sarà bisogno di un’ulteriore manovra correttiva o sui conti del 2005, se il governo rispetterà gli impegni di chiudere i rinnovi entro l’anno, o – come sembra più probabile – sui conti del 2006, se il governo farà slittare i contratti pubblici al prossimo anno.

Questa concitata fase di ripetute manovre correttive non è stata causata da un’improvvisa riscoperta del senso dello Stato da parte del governo Berlusconi: Giulio Tremonti ha eliminato cinque dei sei miliardi di proventi da alienazioni immobiliari iscritti abusivamente nei “tendenziali” 2006 solo dopo un burrascoso confronto con la Missione del Fondo monetario internazionale che ha chiesto un minimo di trasparenza nei nostri conti pubblici. Si è concluso così, nel modo più ignominioso, un incredibile “taroccamento” del Bilancio a legislazione vigente di cui sono stati protagonisti Siniscalco e Tremonti, con la complicità del ragioniere generale dello Stato Canzio e del direttore generale del Tesoro, Grilli.
Il tentativo tragicomico del ministero dell’Economia di scaricare tutte le responsabilità sul suo predecessore ed ex collaboratore Siniscalco si è infranto contro la dura realtà della cronaca: Tremonti aveva confessato l’esistenza dell’iscrizione in bilancio di questa cifra rispondendo ad una precisa domanda del segretario generale della Cgil nell’incontro di Palazzo Chigi del 27 settembre, quindi prima del varo della Finanziaria, ma ha atteso le decisioni del Fmi per cancellarli. Il nostro paese, a causa di questi incredibili comportamenti, ha dovuto subire l’onta di un vero e proprio diktat da parte del Fmi; cosa che, normalmente, si verifica solo nei confronti dei paesi del Terzo Mondo con le finanze dissestate. Purtroppo non è difficile prevedere che nei prossimi mesi l’Italia si troverà, ancora un a volta, di fronte alla necessità di decidere nuove correzioni dei conti pubblici su pressione dell’Unione europea e, soprattutto, per la necessità di tranquillizzare i mercati finanziari.

Come ha rilevato il Cer nel corso della conferenza stampa sulla finanziaria, organizzata la scorsa settimana dall’Ires e dalla Cgil, nel prossimo anno il rapporto deficit/Pil si attesterà a non meno del 4,7 per cento (un punto di Pil in più di quanto concordato con Bruxelles) e, cosa ancora più grave, lo stock del debito raggiungerà il 109,6 per cento del Pil contro il 106,5 del 2004.
L’ultima Finanziaria del governo Berlusconi lascerà, dunque, una pesantissima eredità alla prossima legislatura concludendo nel modo peggiore una stagione di politica economica che ha penalizzato fortemente i ceti più deboli. Lavoratori dipendenti e pensionati in questi anni, non solo hanno subito al pari di tutti gli altri cittadini gli aumenti delle imposte indirette, di quelle locali, dei bolli ecc., ma sono stati penalizzati anche in materia di Irpef. Nel periodo 2001-2005 (con un Pil nominale che è cresciuto del 12,5 per cento e una massa salariale che è aumentata del 12 per cento) lavoratori dipendenti e pensionanti hanno visto crescere il prelievo del 14 per cento, mentre l’Irpef pagata dagli altri contribuenti è calata del 25,4 per cento. È questo il frutto avvelenato della politica dei condoni e degli scudi fiscali adottata dal governo Berlusconi che ha fatto crescere a dismisura l’evasione fiscale. A tutto ciò occorre aggiungere quanto i cittadini hanno perso in termini di minori servizi sociali o maggiori compartecipazioni alla spesa. Il Rapporto Ires presentato la scorsa settimana fornisce un quadro sintetico di quanto la scure della Finanziaria inciderà sulle condizioni di vita dei cittadini italiani, a partire dai più poveri e da coloro che risiedono nelle regioni meridionali. Il taglio dei trasferimenti ai comuni, finirà, infatti, per comprimere spese fondamentali come quelle per l’assistenza sociale, l’istruzione, la viabilità, i trasporti. La permanenza di saldi di finanza pubblica non in linea con il percorso di rientro concordato con la Ue e la compressione dei servizi sociali frenano il recupero della fiducia delle famiglie e il precario rilancio della domanda interna, mentre la riduzione degli oneri contributivi impropri a carico delle imprese, per l’entità modesta che la caratterizza e l’assenza di elementi di selettività, non è in grado di imprimere stimoli di rilievo all’economia.

Tutto ciò rischia di compromettere il recupero della congiuntura che sembra profilarsi in queste settimane. I timidi segnali positivi di ripresa possono essere, infatti, strozzati dai nodi irrisolti della finanza pubblica. Non bisogna poi mai dimenticare che il potenziale di crescita dell’economia italiana resta troppo basso per permettere una dinamica del Pil pari a quella dei nostri principali partner europei. Il miglioramento della congiuntura non può perciò dare per risolti i problemi dell’economia italiana che sono strutturali. Occorrono specifiche politiche economiche e puntuali politiche industriali per spostare in avanti il nostro modello di specializzazione produttiva. È, questa, la motivazione più profonda dello sciopero generale del 25 novembre prossimo e della piattaforma unitaria con cui è stato indetto.

(www.rassegna.it, Rassegna sindacale, n. 41, novembre 2005)

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