Amnistia: intervista a Pannella

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Pannella: voglio in piazza un milione di persone Non firmerò il programma del centrosinistra

ROMA – La mansarda a un passo dalla fontana di Trevi dove abita da quarant’anni è talmente piccola – i libri, la raccolta di alcuni dei 37 periodici da lui diretti, le ceramiche abruzzesi, l’angolo cottura – che il profumo del caffè zuccherato la invade tutta, come una tentazione. «Stasera non si mangia. Ho già preso i tre cappuccini cui ho diritto». La madeleine evocativa del tempo perduto per Marco Pannella è il digiuno. «Il primo fu contro la guerra d’Algeria, sugli Champs-Elysées, in tandem con un anarchico francese. Credo fosse il 1961». Oggi è per l’amnistia. Più precisamente, «per convincere Romano Prodi, cui ho appena scritto una lettera, e i leader dell’Unione ad appoggiare la grande marcia di Natale. Voglio un milione di persone in piazza, il 25 pomeriggio, per aprire le carceri». Pannella è la follia ragionevole, la sana malattia della politica italiana. Un corteo nel giorno in cui tutti stanno a casa. Per un obiettivo impopolare, in piena campagna elettorale. «Se è per questo, era dal 1878 che si presentavano disegni di legge per il divorzio. Per un secolo, nulla. Poi in un decennio abbiamo avuto divorzio, aborto, chiusura dei manicomi e nuovo diritto di famiglia; senza che la sinistra ufficiale facesse una marcia, un corteo, una manifestazione. Non per i fuorilegge del matrimonio, né per i milioni di donne abbandonate alle mammane, né per i reclusi nei manicomi-lager. Anche in questi anni, la Cgil e i Ds si sono mossi solo per tutelare i già tutelati. A loro chiedo di battersi ora per la vera grande questione sociale; perché in carcere ci sono solo immigrati, drogati, poveracci. Un’amnistia clandestina e di classe esiste già: le 856.073 persone fornite di un buon avvocato che negli ultimi cinque anni hanno beneficiato della prescrizione. È tempo di un’amnistia vera. Non mi importa se anche la sinistra è in campagna elettorale. Come ha scritto Pierluigi Battista sul Corriere , a ragionare così non è mai il momento».
Questa volta la Chiesa potrebbe essere dalla parte di Pannella. «Ma io non ci conto. Avevo posto il tema nei giorni dell’agonia di Wojtyla, nel ricordo di quando andò in Parlamento a chiedere un gesto di clemenza. Nessuno mi ascoltò, neppure oltretevere. Da quando Giovanni Paolo II è spirato, non solo il suo successore ma (come ha notato Stefano Menichini su Europa ) neppure un vescovo, un parroco, un sacerdote ha pronunciato una sola volta la parola amnistia». Il primo l’ha trovato Pannella: «Ho chiamato don Antonio Mazzi e gli ho offerto la presidenza del comitato. Ha detto sì. Come don Ciotti, Cossiga, Andreotti. E tre presidenti emeriti della Consulta». Dal centrodestra attende una sorpresa. «Da Berlusconi. So che ha detto di non potersi esporre perché lo accuserebbero di lavorare per Previti e per sé. Mi ha colpito lo spazio che il suo Giornale ha dedicato all’amnistia. Chissà che a Natale con Silvio non ci si possa ritrovare. Ultimamente mi accade di scoprirmi in sintonia con personaggi da tempo lontani; ad esempio Eugenio Scalfari». Chi l’amnistia proprio non la vuole, teme Pannella, sono i Ds. «L’hanno riconosciuto sia Realacci, sia Lerner, sia lo stesso Manconi, che ora è diessino e appoggia la nostra campagna. Purtroppo è il dna rosso che ritorna. Per un Salvi che si schiera con noi ce ne sono dieci contro. A cominciare da Violante, che bloccò l’atto di clemenza quando sembrava fatta per le condanne fino a cinque anni; lui si impuntò per scendere a quattro, e non se ne fece nulla. Io li conosco bene: sono sempre stati così. Anche per il divorzio. Fino a due mesi prima tutti i dirigenti comunisti, Berlinguer compreso, avevano lavorato per evitare il referendum, a costo di abolire la legge».
Ecco la questione politica: il ruolo di Pannella e dei radicali nell’Unione, in cui di fatto attraverso l’alleanza con i socialisti di Boselli sono entrati. «Per il programma non mi hanno neppure consultato; quindi non firmo nulla. Il mio programma è Prodi. Sono per l’alternativa a Berlusconi, faccio della fedeltà a Prodi un punto d’onore. Sarò il suo ultimo giapponese, anche se con lui non riesco a parlare; solo un sms sull’amnistia, inviato quando era a Locri. Con i leader diessini è anche peggio: inavvicinabili. Li conosco da una vita, eppure non si fanno trovare. Forse perché sanno che i loro elettori la pensano come me». Ecco le campagne prossime venture, destinate a dividere l’Unione, ad accendere il Parlamento nel finale di questa legislatura e nella prossima, magari a dar vita a maggioranze variabili, perché «sono questioni che non porremo soltanto al centrosinistra ma a tutti i partiti. Prima, l’amnistia. Poi, la grazia a Sofri, e più in generale il potere di grazia del presidente della Repubblica. Quindi, diritti degli omosessuali. Abrogazione del Concordato. Eutanasia. Riforma del sistema politico in senso anglosassone. Sì alle proposte di Giavazzi: abolizione degli ordini (a cominciare da quello dei giornalisti), del valore legale del titolo di studio, della golden share. No all’abolizione della legge Biagi. Separazione delle carriere dei magistrati. Fedeltà alle alleanze in politica estera». I primi segnali non sembrano incoraggianti. «Se il centrosinistra non riesce neppure a organizzare la marcia per l’amnistia, se rinuncia a battersi per corroborare i poteri del capo dello Stato, se rinnega Sofri per cui non a caso quand’era Guardasigilli Fassino non si mosse, e se si rimangia i Pacs, allora così non va. Io non sono per il matrimonio tra omosessuali, però il progetto licenziato dall’Unione è pessimo: quelli non sono patti, non funzionano, non hanno valore pubblicistico».
Quanto a Sofri, Pannella non si limita a volerlo candidare: «Propongo la sua candidatura a tutti i partiti del centrosinistra. Se ognuno lo mettesse in lista in una circoscrizione diversa, avremmo Adriano candidato in tutta Italia. Ma nessuno mi risponde. Solo giunge un mormorio: mi si obietta che Sofri non è eleggibile. Rispondo: non lo è finché non avrà la grazia». Per la grazia fu il penultimo digiuno di Pannella, e potrebbe essere il prossimo. Questo durerà ancora due giorni. Uno scherzo per uno che nel ’68 minacciò uno sciopero della fame a oltranza «fino a quando i carri russi non lasceranno Praga», e nel ’74 non mangiò per 62 giorni consecutivi solo per ottenere di essere ricevuto da Leone (non si sa con esattezza quanti siano stati i suoi digiuni: ne Lo stomaco della Repubblica Filippo Ceccarelli ne ha contati tra i 18 e i 22, facendo una media tra i biografi Mauro Suttora e Gigi Moncalvo). E se provassero a disinnescare Pannella con un ministero o una carica istituzionale? «Per carità. Io sostengo anzi che noi radicali non dovremmo candidarci alle politiche, visto che la legge impone di raccogliere le firme per liste che ancora non ci sono. In ogni caso, abbiamo un candidato per la presidenza della Repubblica, e in subordine per la Farnesina: Emma Bonino». Ecco un’altra campagna futura: «Sono convinto che il 70% degli italiani la vorrebbe al Quirinale».

Aldo Cazzullo

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