CARCERE. Sviluppi del caso sulla morte di Marcello Lonzi

Loading

NULL

(da il manifesto, 17 Gennaio 2006)

Detenuto morto in cella a Livorno, la parola al giudice

Nel 2003 Marcello Lonzi, 29 anni, venne trovato senza vita. Per la famiglia il giovane morì per le conseguenze di un pestaggio

TOMMASO TINTORI
LIVORNO
Dal tribunale di Genova non filtra al momento alcuna indiscrezione. Il gip Roberto Fenizia si è preso, infatti, dieci giorni di tempo per valutare se riaprire o archiviare definitivamente la vicenda di Marcello Lonzi, il ragazzo livornese di 29 anni morto l`11 luglio del 2003 nel carcere di Livorno. Bisogna quindi attendere qualche giorno, una settimana, forse, e poi si saprà se esiste la volontà, anche politica, di fare luce sul caso. L`istanza al tribunale di Genova è stata presentata infatti da Maria Ciuffi, la madre di Marcello, grazie alla controperizia di parte effettuata dal medico legale Marco Salvi. Una relazione che, a differenza dell`esame autoptico eseguito dal medico legale Alessandro Bassi Luciani il giorno dopo il rinvenimento del cadavere, dimostra come le ferite riscontrate sul cadavere di Lonzi non siano compatibili con l`ipotesi di un malore e di una conseguente caduta al suolo, ma piuttosto con una violenta aggressione. L`avvocato Trupiano, il legale di Maria Ciuffi, oltre a produrre la perizia che esclude la possibilità di una morte per cause naturali, ha chiesto spiegazioni sul motivo per cui l`agente penitenziario Nicola Giudice abbia firmato un verbale, il giorno della morte di Lonzi, con il nome di Nicola Nobile (non esiste, nel carcere, alcun agente con questo nome). E non solo: Nicola Nobile, alias Nicola Giudice, secondo gli atti, sarebbe stato in servizio contemporaneamente, nello stesso giorno, alla IV, alla V e alla VI sezione del penitenziario. «Senza contare poi – continua Trupiano – una serie di inadempienze sui soccorsi e le clamorose discordanze di orari». «Sono soddisfatta di questa evoluzione della vicenda – ha detto Maria Ciuffi – peccato non sia possibile mettere agli atti anche un`audiocassetta in cui uno degli addetti al cimitero dove mio figlio fu portato dopo la morte, diceva che erano evidenti sul corpo i segni di manganellate». «Il tempo di questa loro `giustizia` -commenta lo spazio antagonista Newroz di Pisa – l`abbiamo imparato seguendo le tristi vicende della famiglia di Marcello. Non scorre mai allo stesso ritmo di chi, dall`altra parte, con angoscia, aspetta le decisioni di un giudice come una delle poche ragioni per continuare a vivere, a tirare avanti, cercando di compensare con la solidarietà dei tanti compagni di strada e con un incredibile forza interiore, la perdita di un figlio, massacrato a manganellate e a calci in prigione a 29 anni». Di questa vicenda si è personalmente occupata anche Haidi Giuliani: «Ormai, purtroppo, non sono io che vado a cercare le storie ma sono le storie, quelle terribili, come la morte di Marcello o quella più recente di Federico Aldrovandi, il 18enne di Ferrara, che arrivano da me. Io cerco semplicemente di raccogliere tutte le storie passate di morti senza verità (invito a visitare il sito internet www.reti-invisibili.net). Metto in rete i comitati e le associazioni che ricordano ragazzi uccisi in piazza, come Carlo Giuliani». Secondo l`associazione «Dentro e fuori le mura», un gruppo di lavoro permanente sulle tematiche carcerarie, «Marcello potrebbe essere stato ucciso durante un pestaggio come quelli che sistematicamente sono stati effettuati a Sollicciano nei mesi di ottobre e novembre 2005». «Del resto – dicono gli attivisti dell`associazione – il primo elemento di continuità è rappresentato da Oreste Cacurri, direttore del carcere Le Sughere al tempo della morte di Marcello e direttore di Sollicciano. Un atteggiamento che, se può essere `comprensibile` da parte della direzione e degli agenti, lo è molto meno da parte di altri soggetti che in carcere entrano quotidianamente, ci riferiamo a medici, infermieri, educatori ed assistenti sociali».

/wp-contents/uploads/doc/“>


Related Articles

Storia di amore e comunismo

Loading

Lei sartina, lui operaio. Si sposano nel ’26, ma appena un anno dopo la favola finisce: per lui iniziano sedici anni di carcere fascista e di confino, per lei altrettanti di straziante lontananza. Ora un libro raccoglie ciò che resta di quella passione: un diario e tante lettere.

L’ascensore sociale funziona. In giù

Loading

Una storia operaia. Hanno un lavoro, ma fanno fatica a mantenerlo, sottoposti a ricatti, costretti a condizioni iugulatorie. Storia di una famiglia proletaria a Torino

ISTRUZIONE. Rapporto Ocse 2005 boccia la scuola italiana

Loading

NULL (da “La Repubblica”, venerdì 6 gennaio 2006, pagina 21 – Cronaca) L´Ocse boccia la scuola italiana Pochi diplomati e

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment