GAZPROM. La crisi del gas e le ambizioni di Putin

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(da “la Repubblica”, 2 gennaio 2006)

La rappresaglia del Cremlino

di SANDRO VIOLA

FURBI, anzi furbissimi. E patrioti, come si definiscono da sé stessi, vale a dire pronti a tutto pur di restaurare una grandeur russa. Si sono fatti molti discorsi nel tentativo di delineare il ritratto del gruppo dirigente che attornia Vladimir Putin nelle stanze del Cremlino. I liberisti e gli statalisti, i tecnici e gli ex ufficiali del Kgb, i pro e anti-occidentali. Ma arrivati a questo punto, ora che Mosca ha sospeso le forniture del gas naturale all`Ucraina (con conseguenze che potrebbero sentirsi in mezza Europa), la foto di gruppo al Cremlino s`è fatta più nitida. È gente molto furba, e il loro principale obbiettivo è in questa fase un brusco riequilibrio geopolitico: ricollocare la Russia nel ruolo di grande potenza dopo le cadute, il marasma, la perdita di prestigio seguiti alla transizione post-comunista, dopo quattordici anni trascorsi in una posizione di secondo o terzo piano sulla scena mondiale.

Lo s`era più o meno già capito da mesi, man mano che la diplomazia russa aveva assunto atteggiamenti sempre più ruvidi, e a volte addirittura arroganti, nei riguardi dei suoi interlocutori. A Mosca lo dicevano in molti: il modello che viene oggi indicato ai giovani diplomatici che iniziano la carriera, è Andreij Gromyko. Il ministro degli Esteri sovietico del quale non esiste una fotografia, una sola, in cui sorrida ad un collega occidentale. E quel che è accaduto in questi giorni – lo scontro con l`Ucraina proprio mentre Mosca s`accinge a prendere per la prima volta la presidenza del G8 – è la conferma che la consegna data da Putin ai diplomatici russi è chiara e drastica: non sorridere. E anzi, quando fosse necessario, fare la faccia feroce.

Nessuno può essere così ingenuo da credere che la contesa con l`Ucraina sia di natura puramente commerciale, e riguardi quindi il solo prezzo del gas.

La rottura è infatti politica. Una rappresaglia a freddo, trascorso ormai un intero anno, come risposta alla cosiddetta “rivoluzione arancione“: i moti di piazza che misero fuori gioco il candidato di Putin alla presidenza dell`Ucraina, Viktor Yanukovic, portando all`ascesa del pro-occidentale Viktor Yushenko.

La ferita era stata profonda, per la Russia di Putin. Non solo un altro paese uscito dalla dissoluzione dell`Urss s`era scrollata di dosso, dopo la Georgia, la mano di Mosca. Ma il susseguirsi di agitazioni popolari capaci di rovesciare un regime nello spazio ex sovietico, aveva seminato nervosismo e timori all`interno del Cremlino: quella turbolenza politica, quei moti anti-autoritari rischiavano infatti di prodursi, un giorno, anche in Russia.

Perciò s`imponeva come necessaria una ritorsione contro gli ucraini. In quella zona dell`Europa doveva esser chiaro, indiscutibile, chi è il più forte. E ancora più chiaro che nessun paese dell`ex Urss può cambiare campo, zona d`influenza, se non affrontando uno scontro durissimo con Mosca.

La stretta attorno al collo dell`Ucraina è stata preparata lentamente, lucidamente. Per prima cosa s`è capito che Gazprom non sarebbe stato più soltanto una colossale industria energetica. Con la nomina al suo vertice di Dmitrij Medvedev, il capo della potente amministrazione presidenziale e oggi il più probabile successore di Putin, era divenuto evidente già tre mesi fa che Gazprom avrebbe ormai cercato di svolgere un ruolo politico.

Sarebbe divenuto uno strumento qui di lusinghe – in un`Europa affamata di forniture energetiche-, e là di pressioni, ma tutte miranti ad accrescere l`influenza russa.

C`era stato quindi l`inserimento di Gerhard Schroeder nel consiglio d`amministrazione del consorzio tra Gazprom e le tedesche Basf e E. On, così da dare al gigante energetico russo una veste internazionale. Un paio di settimane fa, poi, la Duma aveva votato una legge che consente ai grandi gruppi stranieri d`acquisire quote Gazprom (con la maggioranza, però, allo Stato russo), con l`intento di mimetizzare il ruolo politico dell`azienda, di renderla più appetibile sul mercato, e coinvolgervi in questo modo il maggior numero possibile d`interessi finanziari e industriali euro-americani. E a questo punto, scadendo il 31 dicembre il vecchio contratto, sono state scoperte le carte nella partita con l`Ucraina. Perché ormai, conteso sul mercato, con un suo dirigente ex Cancelliere tedesco, Gazprom è infatti divenuto meno vulnerabile ad eventuali critiche e contestazioni dei governi europei.

Ma è la data del 31 dicembre che fa più impressione.
Perché il giorno dopo, cioè ieri, la Federazione russa ha assunto la presidenza del G8. E la Russia, che pure è lontana dai parametri di industrializzazione, prodotto lordo, libertà di mercato e garanzie democratiche richiesti ai partner dell`ex G7, entra a presiedere il club facendo sentire un rumore di stivali chiodati. Se i paesi del G7 l`avevano infatti accolta nel club, era perché s`aspettavano d`incoraggiare così l`evoluzione democratica e le riforme economiche in Russia. Ma quell`evoluzione, come sappiamo, non c`è stata, e le riforme sono rimaste quasi tutte al punto di partenza.
Ci si poteva perciò attendere che Vladimir Putin si sarebbe mosso come presidente delle nazioni più prospere e libere del mondo, se non in punta di piedi, almeno con una certa discrezione. Lo fa invece nel pieno d`una grave e clamorosa rottura con un paese europeo. In puro stile Gromyko. Senza curarsi minimamente della cattiva impressione che entrare a presiedere il G8 con la mutria di Gromyko, farà ai sette partner del gruppo.

E, certo, la Russia può oggi permettersi di non sorridere a nessuno, in Europa. Il 30 per cento del gas naturale consumato in Europa è infatti russo, e passa nei gasdotti dall`Ucraina. Chi vorrà quindi schierarsi a fianco dell`ucraino Yushenko? Chi vorrà denunciare la protervia del Gazprom manovrato da Vladimir Putin? Quattro anni di continui e vertiginosi aumenti dei prezzi petroliferi hanno messo il suo regime in una botte di ferro. L`economia è cresciuta ad un tasso medio del 7 per cento all`anno, le riserve della Banca centrale di Mosca sfiorano i 170 miliardi di dollari, e altri 50 miliardi stanno in un fondo di stabilizzazione da usare quando i prezzi del petrolio e del gas dovessero scendere. Il suo debito con l`estero si va esaurendo, la spesa militare ha ripreso a correre veloce.

Non essendo più il questuante che era ancora cinque anni fa, la Russia vuole restaurare la sua “grandeur“? È affar suo, nessuno può negarglielo. Ma vedere Vladimir Putin che presiede il G8, questa no, non è una vista gradevole.

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