Morti di freddo e di fuoco a Milano. E di politiche indifferenti

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(La Repubblica, DOMENICA, 22 GENNAIO 2006, Pagina I – Milano)

La donna intrappolata nel rogo dell´ex area Falk a Sesto. Manca: bisogna smantellare le baraccopoli degli abusivi

Brucia il campo, morta una nomade

Duecento rom senza casa per un altro incendio in via San Dionigi
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È morta tra le fiamme e il fumo sprigionati dall´incendio del capannone dove viveva, in condizioni precarie, con molti suoi connazionali. Una nomade rumena di 53 anni, Maria Carim, è stata trovata dai vigili del fuoco accorsi ieri pomeriggio a Sesto san Giovanni, in una ex area Falck diventata rifugio di stranieri senza dimora e, in molti casi, irregolari. Tra le ipotesi più probabili dell´incendio, la caduta accidentale di una candela, o un falò improvvisato per riscaldarsi. La Croce Rossa ha portato bevande e coperte, mentre il sindaco Oldrini trovava una sistemazione notturna per una ventina di persone. È il secondo incendio in aree occupate da nomadi in meno di un giorno, dopo quello che ha semi distrutto la baraccopoli abusiva di via San Dionigi. È polemica anche per il rifiuto dei rom di accettare la sistemazione offerta dall´assessore Manca, che attacca: «Basta ipocrisie, gli irregolari devono essere mandati via».
hanno trovato il suo cadavere mentre spegnevano le fiamme che devastavano uno dei tanti capannoni delle aree ex Falck a Sesto San Giovanni. Maria Carim, una nomade di 53 anni rimasta intrappolata nell´edificio, è la vittima del secondo incendio scoppiato in meno di ventiquattro ore in due dei tanti rifugi sfruttati da zingari ed extracomunitari alla periferia della città. Venerdì sera, un rogo ha semidistrutto la baraccopoli abusiva di via San Dionigi: nessun ferito, ma circa duecento persone hanno trascorso la notte nell´oratorio di una chiesa vicina. Questo mentre l´assessore comunale alla Sicurezza, Guido Manca, prendeva una posizione netta: «Basta con le ipocrisie, bisogna smantellare i campi degli abusivi per evitare tragedie. Molte di queste persone non hanno titolo per restare nel nostro Paese».
L´incendio di ieri pomeriggio è scoppiato tra gli scheletri di quella che un tempo era l´area “decappaggio“ (ora di proprietà di Caltagirone e accanto al cantiere di un centro commerciale) del grande polo produttivo della Falck, da tempo ricovero di fortuna per decine e decine di stranieri di molte etnie, spesso irregolari. I carabinieri stanno cercando di raccogliere qualche certezza. La prima ipotesi è quella di un incidente dovuto a qualche pericoloso tentativo, da parte degli occupanti, di riscaldarsi forse con una candela. Ma le indagini, per ora, non possono escludere neppure che l´incendio sia stato appiccato da qualcuno. Di certo, mentre sul posto accorrevano pompieri e militari, un uomo non trovava sua moglie. Maria Carim si era ferita a un braccio pochi giorni fa e forse questo, con il fumo, ha rallentato la sua fuga. Mentre l´unità mobile della Croce Rossa arrivava per portare coperte e bevande calde, il Comune si organizzava per sistemare in un centro ricreativo poco lontano la ventina di nomadi rimasti senza tetto.
Per l´incendio avvenuto venerdì sera nel campo nomadi di via San Dionigi, invece, i primi rilievi fanno pensare a una stufa difettosa. Ieri la gente del campo ha cercato di risistemare l´area dopo la notte passata nell´oratorio della chiesa di San Michele e Santa Rita, nonostante il Comune avesse messo a disposizione una struttura allestita per i profughi di via Lecco. Dura la reazione dell´assessore Manca: «Chiediamo il pronto rimpatrio degli irregolari in Romania». Ma Gloria Mari, responsabile dell´associazione di volontariato Nocetum che si è presa cura dei rom, assicura: «Ringraziamo l´assessore per l´offerta del ricovero, ma il rifiuto di trasferirsi nasce da un´incomprensione culturale: per i rom separarsi dalle mogli e dai figli, che restavano qui da noi, era inconcepibile. Abbiamo provato a convincerli ma hanno preferito restare assieme».
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DOMENICA, 22 GENNAIO 2006, Pagina V – Milano

L´INTERVISTA

Il sacerdote: dall´assessore polemiche strumentali, i politici trovino una soluzione tutti insieme

La rabbia di don Colmegna “Neppure i topi vivono così“

LUIGI BOLOGNINI
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in Via San Dionigi ha visto il terrore, a Sesto San Giovanni la morte. Per questo don Virgilio Colmegna non fa polemiche: «Ora siamo in un´emergenza. Facciamola passare, poi penseremo a discutere tutti assieme una soluzione strutturale», dice il fondatore della Casa della carità.
Ma ormai è un allarme continuo.
«La situazione è quella che è, anche climaticamente. L´unica cosa positiva è che non dovrebbe esserci niente di doloso. Si tratta di fatalità, credo. Ma certo, se si lascia la gente in condizioni che neanche i topi di fogna, poi certe cose accadono più facilmente».
E allora di chi sono le responsabilità?
«Di nessuno e di tutti. Non buttiamola in politica, questa situazione coinvolge il centrodestra come il centrosinistra. Per questo una soluzione va trovata collettivamente. Parliamo di campi nomadi e immigrazione non solo a livello cittadino, ma metropolitano, coinvolgendo anche le realtà attorno a Milano. E questo problema va risolto a livello di sistema».
Per l´incendio in via San Dionigi l´assessore alla sicurezza di Milano, Guido Manca, accusa: il Comune ha messo a disposizione una struttura dei Servizi sociali che i nomadi non hanno utilizzato, probabilmente perché sprovvisti di documenti.
«Non è vero. Il Comune ha mandato un mezzo per trasportare i nomadi in via Pucci, dall´altra parte della città. Così hanno preferito rifiutare e stare vicini al campo, per poter tentare di recuperare le proprie cose. È stata la parrocchia di San Luca a offrire un aiuto concreto in zona».
Manca dice anche che la maggior parte degli abitanti nei campi nomadi è irregolare e va espulsa.
«Anche su questo ho i miei dubbi. Molti hanno semplicemente perso i documenti. Io non nego affatto che esistano i problemi. Ma li si affronta solo affrontandoli, se mi passa il bisticcio di parole. Ovvero stando in mezzo a queste persone».
Manca la pensa diversamente da lei.
«Ora piangiamo anche una morte. Si aspetti almeno un giorno prima di dire certe cose, prima di fare polemiche strumentali».
E poi?
«Passato questo giorno cominciamo a parlare dei campi nomadi e dell´immigrazione. Ma seriamente. E tutti assieme».

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LUNEDÌ, 23 GENNAIO 2006, Pagina IX – Milano

IL RACCONTO

Il marito della donna bruciata nell´incendio di sabato: ora la voglio riportare a casa dai nostri figli

Nell´ex fabbrica dei disperati “Così Maria è morta tra le fiamme“

i volontari Qui ci sono topi di grandezza inverosimile e ogni notte si fanno dei falò, le coperte non bastano a scaldare questi disperati

PAOLO BERIZZI
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Riemerge da una montagna di vestiti bruciati, si stringe nella giacca di panno, abbassa lo sguardo e con voce rotta dice: «Mia moglie voglio portarla in Romania. Anch´io tornerò là, nel mio paese, dai nostri figli. Li ho chiamati ieri sera, sono disperati. Questa è una tragedia che ha voluto Dio, ma in Italia, a Milano, non ci voglio più stare». È un rom ma sembra quasi un rabbino Viorel Calin, 55 anni, il marito di Maria, la donna morta bruciata dentro un capannone fatiscente dell´ex Falck a Sesto San Giovanni. Per com´è vestito. Per la barba lunga ma non trascurata. Per il cappello scuro calcato sulla fronte. Assieme al cognato, Gheorghe Vidrascu, il fratello di Maria, alle tre del pomeriggio avanzano come automi tra gli scheletri di questo non luogo tenuto in vita solo dal freddo; un approdo per disperati dove un tempo gli operai eliminavano gli strati di ossido dal metallo e dove oggi vivono un migliaio di rom. Il posto dove dormiva la famiglia Calin è un blocco di cemento annerito dalle fiamme. Al primo piano. Una casa di morte che si staglia dietro le sagome incerte di questi due uomini piegati dal dolore, dai gradi termici, dal sonno non dormito. Viorel si ferma a guardare il capannone. Ci invita ad entrare. Per capire il dramma basta affacciarsi a uno dei tanti ingressi privi di porte. «Maria è rimasta intrappolata là in fondo, in mezzo ai vestiti che hanno preso fuoco in pochi secondi. Abbiamo provato a salvarla – sussurra – ma è stato impossibile». Maria era mutilata ad una gamba, il braccio se lo era rotto dieci giorni fa; se la ricordano bene i volontari della Caritas quella donna con il viso pienotto, il foulard colorato avvolto intorno alla testa, una mantella viola, l´aria sofferta perché le notti in mezzo al gelo, dentro i vecchi stabilimenti sventrati, sono qualcosa di molto simile a uno stillicidio. «L´avevamo soccorsa noi. Come si fosse fatta male non lo sappiamo. Forse era caduta, o forse chissà». Franco, si fa chiamare solo così, è un signore di 70 anni che con la moglie assiste gli zingari dell´ex Falck per conto di Caritas e Casa della carità. Ogni giovedì dalle quattro alle sette è qui con un camper e con medici e infermieri. I rom – in tutto dicono di essere un migliaio, di cui 500 donne – si rivolgono a lui con familiarità, e con riconoscenza. Franco ed altri, anche molti abitanti della zona, «ci portano vestiti, cibo, anche qualche spicciolo per mangiare» dice Angela, una delle donne più anziane della comunità.
Porta anche lei un foulard, le copre i capelli ma lascia intravedere i segni dell´incendio: le orecchie sono ustionate, una bruciatura le percorre il collo e un angolo della fronte. Anche Gheorghe, il fratello di Maria, è stato raggiunto dalle fiamme. Alcune ciocche di capelli, la barba, uno zigomo. «Domani (oggi, ndr) vogliamo andare all´obitorio da Maria. E appena sarà possibile la porteremo nel nostro paese. Il funerale lo faremo là». I Calin vengono da Bacau, una cittadina del sud-est della Romania. Viorel e Maria sono arrivati a Milano un anno fa. Senza permesso di soggiorno. Senza lavoro e senza denaro: «Perché in Romania si muore di fame». I figli – il più piccolo ha 12 anni, il più grande 27 – hanno preferito lasciarli a Bacau. Sapevano che qui nell´ex Falck un posto dove stare non glielo avrebbe negato nessuno. Già, ma che posto? In quali condizioni? Dietro un tramezzo di calcestruzzo, ammassati assieme ad altre venti connazionali, nel primo capannone che si incontra entrando da via Trento. Lì sabato pomeriggio è scoppiato l´incendio. Una candela per illuminare? O uno dei tanti fuochi accesi dentro il fabbricato per riscaldarsi?
Chiederselo rischia di essere un esercizio retorico, anche perché le sole coperte, si sa, nelle notti d´inverno all´aperto non bastano a riscaldare i corpi. «No, il fuoco dentro il capannone non lo accendiamo – dice Ionèl, un giovane del gruppo – . Lo accendiamo solo per cucinare. Però fuori, sullo spiazzo che c´è tra un edificio e l´altro». Gli uomini della vigilanza, che sorvegliano l´area giorno e notte per tutelare il cantiere del centro commerciale costruito dal gruppo Caltagirone – spiegano che i falò nei capannoni sono all´ordine del giorno. Come i topi, di dimensioni notevoli e abbondantemente diffusi in questo ricovero di rom, la stragrande maggioranza clandestini. Stefano, il responsabile della sicurezza dell´area, teme che dopo l´incendio qualcos´altro possa accadere. E anche gli zingari lo temono. Eppure da anni hanno eletto questo luogo a loro quartier generale. Vanno e vengono, in bici, a piedi, in macchina. L´elemosina ai semafori è l´imperitura attività.
Anche Maria faceva la questua. In piazzale Loreto o dalle parti di Cascina Gobba. Usciva al mattino e tornava la sera. Si trascinava sull´asfalto. «Quando riusciamo a raccogliere qualche soldo lo mandavamo in Romani ai nostri figli»: Viorel parla ancora al plurale, dice «quando riuscivamo». Ha visto scomparire sua moglie dietro un muro di fuoco, la madre dei suoi cinque figli, la donna che sorride nella fotografia che stringe in mano e che accarezza con un gesto lieve. Il sole deve ancora tramontare, ma fuori dal vecchio capannone fa un freddo cane. A Maria che venne da Bacau è toccata la morte più brutta: avvolta dalle fiamme dopo un anno al gelo.

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(La Repubblica, LUNEDÌ, 23 GENNAIO 2006, Pagina IX – Milano)

Da stanotte la temperatura precipiterà e anche in centro si toccheranno i cinque gradi sotto zero di minima

Torna il gelo, è allarme clochard
Cingalese di 57 anni trovato senza vita in strada a Bonola

Le associazioni: i posti nei dormitori non bastano Croce Rossa: segnalateci chi vedete in difficoltà

ORIANA LISO
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Ogni notte passata per strada, anche quando il termometro scende sotto lo zero. E poi l´alcool da pochi spiccioli, il fisico distrutto da una vita all´aperto. Una storia comune a molti senza tetto che vivono in città, che dopo settimane di grande freddo devono prepararsi a un´altra ondata di gelo, prevista per i prossimi giorni. Un´emergenza che non accenna a diminuire, con i bollettini meteo che promettono temperature ancora più rigide in tutta la regione.
Così, al freddo, è morto Uasanta Pereira, 57 anni, originario dello Sri Lanka ma da vent´anni immigrato regolare nel nostro paese. Per strada, in via Ziegler, quartiere Bonola. L´hanno trovato ieri mattina i poliziotti, avvisati da alcuni passanti: forse un infarto, ma bisognerà attendere l´autopsia per avere una certezza. In un angolo riparato da una pensilina, Uasanta – che da anni non vedeva suo figlio, rimasto a Roma quando lui aveva deciso di venire a Milano – e altri tre cingalesi avevano costruito il loro rifugio: materassi, cartoni, coperte. Non si sono accorti, i suoi compagni, che stava male. E ieri avevano poca voglia di parlare del loro amico, che i volontari della Ronda della Carità ricordano per la sua passione per la pittura, ma anche per il vizio del bere, che l´aveva portato più di una volta in ospedale, e che l´ha accompagnato fino alla fine. Di certo, il freddo è stato determinante per la morte del clochard, così come lo è per le condizioni dei tanti altri che con il freddo gelido sono diventati emergenza nell´emergenza. Vittime dell´inverno che non dà tregua. Ma anche, accusano le associazioni, di una città che non aiuta chi è ai margini.
«I posti nei dormitori non bastano, a volte trovarne uno aperto dopo mezzanotte è un´impresa disperata», spiega Rosy Genova dei City Angels. Loro, due o tre volte al mese, portano un senza dimora – l´anziano appena dimesso dall´ospedale, la donna incinta – in un albergo che li accoglie. Il conto lo paga l´associazione. Ci sono anche quelli che al dormitorio non ci vogliono andare. «Hanno paura perché clandestini. O, più semplicemente, sanno che dopo tre o quattro notti al caldo dovranno tornare in strada, e sarà peggio», racconta un´altra volontaria dei City Angels.
«Chiedono coperte, qualcosa di caldo da bere, sacchi a pelo e giacche pesanti – racconta Marco Tozzi della Croce Rossa – ed è quello che possiamo fare per loro. Ma quando scompaiono per qualche notte è sempre difficile capire se hanno solo cambiato zona o se dobbiamo aspettarci una tragedia». La Croce Rossa sta mettendo a punto sul suo sito Internet un modulo da spedire per e-mail, in cui segnalare la presenza di un senza tetto. Ma c´è anche chi non arretra nelle richieste al Comune di farsi carico di un ruolo maggiore nel gestire l´emergenza di queste settimane. «Mancano politiche abitative serie – dice Fabio Parenti del Naga – , ci sono anziani che pur di non finire per strada, con affitti che si mangiano l´intera pensione, fanno la coda all´Opera San Francesco per un piatto di minestra. Figuriamoci in che condizioni vivono gli extra-comunitari, non solo gli irregolari, nelle baraccopoli che il Comune sgombera a pieno ritmo».

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