Comunicazione versus informazione. “Vespismo“ e par condicio

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(da “La Repubblica”, MERCOLEDÌ, 01 FEBBRAIO 2006, Pagina 1 – Prima Pagina)

L´attore muto della par condicio

GIUSEPPE D´AVANZO
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C´È UN attore silenziosissimo nel rumoroso dibattito sulla par condicio. È il giornalismo. Qual è il suo ruolo nella “partita delle parole“ che deciderà il confronto elettorale? A quali regole deve adeguarsi? A chi dovrà rendere conto? Alla politica o alla società? Agli elettori o ai leader delle due coalizioni in gara, come pare emergere dal dibattito in corso? È convenzionale, se non banale, ricordare che, quale che sia l´idea di democrazia che ciascuno di noi ha in testa, tutti i modelli prevedono l´esistenza di uno spazio (la sfera pubblica) al quale i cittadini accedono, attraverso lo scambio di informazioni e il confronto degli argomenti, per farsi un´opinione delle questioni di interesse generale.
Senza farla tanto lunga, è questo il mestiere del giornalismo: alimentare di informazioni la sfera pubblica, arricchirla di ragioni e argomenti. Se il dibattito pubblico è la carne viva di ogni ordinamento politico democratico, pare di poter dire che il giornalismo ha (avrebbe) filo da tessere, una qualche “missione“ e responsabilità pubblica. E allora perché tace? Perché osserva il dibattito in corso, muto come un pesce, distratto come un estraneo, intimidito come se si sentisse irrilevante o fosse superfluo?
Se si osservano le definizioni di giornalismo in uso nel dibattito sulla par condicio, la ragione l´abbiamo davanti al naso. Il presidente dell´Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Corrado Calabrò, ad esempio, ha recentemente definito “Porta a Porta“, “Matrix“, “Otto e mezzo“ – appuntamenti giornalistici – «programmi di comunicazione politica».
Ora la comunicazione non è informazione. È il peggior nemico dell´informazione. È la sua malattia terminale. La comunicazione (uso una definizione di Jean-Paul Fitoussi, Repubblica, 9 aprile 2003) seleziona i fatti, li deforma, li presenta «con l´aggiunta di allusioni, impressioni, sentimenti e risentimenti, lanciando così un messaggio, non importa quanto lontano dalla realtà, purché svolga il suo compito di convincere gli altri». La comunicazione politica ha sempre la risposta pronta e, se non ha risposte, glissa, emoziona, manipola, mente, dimentica, parla d´altro. Peggio della pubblicità commerciale che, alla fin fine, deve fare i conti con la qualità e il prezzo del bene che promuove, la comunicazione politica è sottratta a ogni verifica o prova. In quell´ambito si può dire quel che si vuole. Si può sostenere che il programma delle grandi opere non ha procurato alcun danno al fabbisogno ordinario di infrastrutture del Paese, che è stato realizzato il primo come è stato soddisfatto il secondo. Si può sostenere che l´insegnamento dell´inglese nella scuola elementare è aumentato (è diminuito del 30 per cento). Che i reati si sono dimezzati (sono aumentati del 6,7 per cento dal 2001 al 2003 e del 3,7 nel 2004). Che i conti pubblici sono in ordine, il Pil cresce impetuoso, la competitività del nostro sistema industriale è rafforzata. Che i finanziamenti pubblici alla ricerca non sono mai stati così sostanziosi. Che l´immigrazione irregolare è un capitolo chiuso, una storia del passato. Si può davvero venire a capo della par condicio senza accennare alla correttezza dell´oggetto del discutere che può essere sbozzato soltanto da chi ha (o dovrebbe avere) il dovere di informare? L´informazione, mutilata del suo oggetto e degradata a comunicazione politica, ha i suoi campioni nel servizio pubblico televisivo e il “campione dei campioni“ in Bruno Vespa. Nel salotto di “Porta a Porta“, si può negare anche che la Terra ruoti intorno al Sole. Il “campione dei campioni“ ascolterà ammirato la stravagante affermazione senza batter ciglio. Perché non ha impegni con chi lo ascolta, che è poi il telespettatore che paga il canone, né con il rispetto dei fatti, che poi dovrebbe essere il mestiere del giornalista. Il suo impegno è con chi è seduto nella poltrona bianca, è con la società politica: il suo lavoro è lasciarla dire, dare spazio alle sue opinioni, quale che siano, anche se storte rispetto alla realtà che tutti hanno sotto gli occhi. Il “vespismo“, il più felice paradigma della comunicazione politica, non offre informazioni né un arrangiamento parziale dei fatti capace di orientare il pubblico. Non offre, intorno a questioni di interesse generale ben definite, le ragioni della politica ai telespettatori. Il vespismo è un gioco “al contrario“: consegna il pubblico televisivo, privato di ogni orientamento, alla “propaganda“ della politica. Ne viene fuori soltanto rumore, nessun fatto, come ha osservato di recente il cardinale Tettamanzi, soltanto un acquazzone di opinioni che cancella la realtà, la confonde, rende ogni cosa incerta e tutto probabile; anzi no, ogni cosa realizzata: l´aumento dei consumi, delle retribuzioni, degli occupati; la ricchezza delle famiglie e delle imprese; la flessione dei precari; l´aumento delle pensioni minime; il taglio dei ticket sanitari. Ne nasce un flusso verbale indistinto e caotico in cui ogni affermazione, allontanata dalla coercizione ostinata dei fatti, può essere vera e falsa. Fa lo stesso. È il compito subalterno, servente che si è autoassegnato l´informazione pubblica. Perché meravigliarsi allora se l´attore, chiamato a recitare la commedia della par condicio, è muto?

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