DIRITTI UMANI. Usa, la battaglia della pena di morte

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(La Repubblica, GIOVEDÌ, 23 FEBBRAIO 2006, Pagina 25 – Esteri)

Usa, la battaglia della pena di morte

In California rinviata a tempo indeterminato l´esecuzione di Morales

Stop dal giudice perché lo Stato non è in grado di rendere meno doloroso il cocktail letale

Alberto Flores d´Arcais

NEW YORK – Michael Morales era ancora nella cella, pronto ad incamminarsi verso la stanza della morte del penitenziario di San Quintino (California) quando – mancavano circa novanta minuti all´esecuzione – un giudice federale ha fermato il boia: e per la seconda volta nel giro della stessa giornata quello che nel gergo carcerario viene chiamato il dead man walking ha tirato un sospiro di sollievo.
Se poche ore prima erano stati due medici anestesisti a impedire – rifiutandosi di assistere all´esecuzione e di somministrare al condannato a morte una dose di pentothal per evitargli «una inutile e crudele sofferenza» – l´esecuzione, alle 18 di martedí pomeriggio (le tre del mattino di ieri in Italia) la decisione di fermare tutto è stata presa dal giudice della Corte d´Appello Federale di San José, Jeremy Fogel, lo stesso che aveva ingiunto alla direzione del carcere la presenza dei due anestesisti. La presenza dei due medici era stata ordinata da Fogel a causa delle ultime due condanne eseguite in California che avevano fatto emergere forti dubbi sul dolore provocato dalle iniezioni. In alternativa il giudice federale aveva lasciato la direzione del carcere libera di uccidere Morales con una massiccia iniezione di barbiturici, una sorta di “eutanasia“, per cui sarebbe stato però necessario un tempo decisamente maggiore: circa 45 minuti contro i 10-15 che servono con la iniezione letale.
Fogel ha deciso di fermare l´esecuzione della condanna quando lo Stato della California (nella persona del direttore del carcere Steven Ornosky) ha precisato, su richiesta della Corte, di non essere in grado di modificare il “cocktail di tre veleni“ per garantire che Morales non avrebbe sofferto. Secondo le disposizioni del giudice una o più persone – riconosciute dallo Stato della California – avrebbero dovuto iniettare, prima del veleno, cinque grammi di pentothal (un potente barbiturico) e una soluzione salina. Avrebbero inoltre dovuto farlo direttamente nella stanza della morte e non dal “centro di controllo“ delle esecuzioni, una stanza laterale; il che avrebbe coinvolto medici e infermieri in modo diretto.
Per mantenere il diritto alla privacy il giudice aveva stabilito che gli incaricati dovessero «portare vestiti appropriati in modo da proteggere il loro anonimato». Ma anche con questa precauzione trovare qualcuno – in poche ore – che rispondesse all´identikit fatto da Fogel e che accettasse di partecipare volontariamente all´esecuzione è stato impossibile.
Tutte le organizzazione mediche californiane hanno giudicato «non etica» la richiesta – per Michael Sexton, presidente di uno degli ordini dei medici della California «si tratta di un lavoro per il boia, non per un medico. Sono contento che tutti abbiano scelto di non essere coinvolti» – e visto che per la legge della California lo Stato non può obbligare medici ed infermieri a partecipare ad esecuzioni, Morales ha avuto, per il momento, salva la vita.
A Michael Morales – omicida reo confesso, condannato a morte nel 1983 per avere stuprato e ucciso due anni prima una ragazza di 17 anni – la notizia dello stop all´esecuzione è stata data da Venell Crittendon, il portavoce del penitenziario di San Quintino. «Mi è apparso piuttosto sollevato, mi ha sorriso e mi ha ringraziato», ha raccontato Crittendon al reporter del San Francisco Chronicle. Il condannato, che aveva trascorso quella che doveva essere la sua ultima giornata di vita nella sua cella, aveva parlato al telefono varie volte con i propri familiari – «per favore non venite a vedere l´esecuzione» – e con i suoi avvocati; uno di costoro, David Senior, gli aveva dovuto dare la brutta (ma attesa) notizia che il governatore della California Arnold Schwarzenegger aveva nel giro di pochi giorni respinto la grazia per la seconda volta.
Il rinvio a tempo indeterminato dell´esecuzione di Michael Morales potrebbe aprire nuove prospettive per i condannati a morte e per le lunghe procedure legali che i loro avvocati usano per salvargli la vita. Il giudice Fogerl ha programmato due udienze sull´argomento per il 2 e per il 3 maggio – e quindi sicuramente fino a quella data la condanna a morte di Morales non verrà eseguita – ma sullo stesso tema (la costituzionalità o meno delle iniezioni letali, praticate in 37 Stati sui 38 che prevedono la death penalty) dovrà pronunciarsi anche la Corte Suprema degli Stati Uniti. Dove adesso c´è una maggioranza di cattolici, cinque su nove.

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GIOVEDÌ, 23 FEBBRAIO 2006, Pagina 25 – Esteri

“NESSUNO TOCCHI CAINO“

L´opinione di Sergio D´Elia

“Ora si sgretolano le certezze Usa sul boia di Stato“

GIAMPAOLO CADALANU
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ROMA – «È il primo caso in cui un atto di disobbedienza civile manda in crisi il sistema delle esecuzioni». Sergio D´Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino“, non nasconde la soddisfazione per il rinvio sine die dell´esecuzione di Michael Morales.
Che cosa vuol dire questo rinvio?
«Vuol dire che le convinzioni granitiche sulla pena di morte si stanno sgretolando sotto i colpi, da un lato, della Corte suprema, e ora anche dal mondo delle professioni, dalla società civile».
Quale sarà la prossima tappa?
«Il riconoscimento del carattere “razzista“ della pena di morte. Dopo il “no“ alle esecuzioni di minori e di disabili, è il momento che l´America riconosca il pregiudizio razzista del suo sistema di morte»
I fatti della California sono la fine dell´iniezione letale come metodo “umano“?
«Sì, crolla anche questo mito. Ma al di là del metodo dell´esecuzione, ciò che è in crisi in Usa è proprio la pena capitale in quanto tale».
È un buon segno per il Paese?
«Una cosa come questa può avvenire solo in una democrazia come gli Usa dove le decisioni della politica sono sottoposte al giudizio inappellabile dell´opinione pubblica. Quello che è accaduto è il frutto di un cambiamento nell´opinione che gli americani hanno della pena di morte».
Ma secondo lei ha influito anche la pressione internazionale?
«Sì. L´opinione pubblica non è solo quella dei sondaggi, ma anche quella dei grandi organismi internazionali. Sarà decisivo il ruolo che l´assemblea dell´Onu assumerà quando “Nessuno tocchi Caino“ presenterà al Palazzo di Vetro la risoluzione per una moratoria universale delle esecuzioni».
E se passerà?
«Speriamo che possa avere un impatto sugli Usa, ma anche sui “paesi boia“ come Cina, Iran e Arabia Saudita, nei quali i condannati muoiono nell´indifferenza generale».

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