ECONOMIA SOMMERSA. Crescono lavoro nero ed evasione fiscale

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Economia sommersa<7em>

Crescono lavoro nero ed evasione fiscale

Due recenti rapporti (rispettivamente del Censis e dell’Agenzia delle entrate) confermano la crescita sia del lavoro nero che dell’evasione fiscale. Se, infatti, tra 2002 e 2005 l’incidenza delle imprese irregolari (da quelle totalmente sommerse a quelle che ricorrono sistematicamente all’evasione fiscale e contributiva) è passata, secondo le stime del Censis (Rapporto annuale per il 2005) dal 66% al 53%, quello che più conta e che si è registrata una crescita complessiva dei livelli di irregolarità del lavoro, particolarmente significativa al Sud, che ha portato l’incidenza del lavoro autonomo irregolare dal 15,7% al 16,2%, e di quello dipendente totalmente irregolare, dal 26% al 27,9%. La contraddizione dei dati è quindi semplicemente apparente in quanto – spiega il Censis – la diminuzione delle imprese a nero è imputabile esclusivamente alla netta contrazione del saldo tra nascita e morte di imprese presenti nei settori più maturi, dove neanche il “nero” basta più.
Cresce inoltre anche la quota di lavoratori, regolarmente assunti, ma verso cui vengono poste in essere pratiche al limite della regolarità (mancato rispetto dei contratti collettivi, doppia busta paga, dichiarazione numero di ore o giornate inferiori a quelle realmente svolte, ecc.), passata dal 21,3% al 22,5%. E questo senza considerare le diverse forme elusive (falsi contratti di collaborazione) del lavoro subordinato, che per l’Istat (dati 2005) potrebbero riguardare più della metà della platea di riferimento (54% dei co.co.co/co.co.pro svolge infatti – secondo l’Istituto Nazionale di Statistica – mansioni ripetitive, senza autonomia organizzativa e temporale, per un unico committente e presso la sede di questo).
Coerentemente con questa rilevazione, anche l’Agenzia delle entrate stima una crescita dell’evasione pari a più del 6% tra il 2002 e il 2004 (Annuario 2005), per una mancata denuncia complessiva di circa 200 miliardi di euro l’anno. In sostanza, tenendo conto delle imposte che graverebbero sull’imponibile (ovvero Irpef, Iva, Irpeg…) ogni anno alle casse dello Stato sfuggono circa 80-100 miliardi di euro. Si tratta di un importo pari al 6-7% circa del Pil (Prodotto interno lordo), cioè quasi l’equivalente della spesa sanitaria nazionale (dati ministero della Salute, rapporto 2005). Una buona fetta di quest’enorme flusso di denaro (il 45%) – il dato è quanto mai interessante e significativo, anche perché è la prima volta che, seppur in maniera campionaria, viene accertata la destinazione d’uso delle risorse evase – sarebbe indirizzata verso prodotti di lusso e beni rifugio (auto di grossa cilindrata, acquisti di case in montagna o al mare, gioielli griffati, opere d’arte, prodotti di consumo ad alta tecnologia ecc.).
Sempre secondo l’Agenzia delle entrate, poi, è da segnalare che la maggior parte dell’evasione si annida nei servizi alle imprese, nel commercio e nei servizi alle famiglie (i settori dove è maggior mente presente il lavoro nero e il “lavoro grigio”). Se le percentuali relative rispetto al versato vedono, infine, il Sud e le Isole costituire l’area geografica ove l’evasione è più intensa, con circa il 34,5% del non denunciato (seguono a ruota il Nord-ovest 26,5%, il Centro 20,1% ed il Nord-est 18,9%), in valori assoluti è proprio nel ricco Nord che si concentrano ben 118 miliardi di evasione complessiva l’anno.

(A.G., www.rassegna.it, Rassegna sindacale n. 6, febbraio 2006)

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Economia sommersa

Tre favori alle imprese irregolari

di Alessandro Genovesi
Dipartimento Politiche attive del lavoro Cgil nazionale

Nell’arco di poche settimane il governo ha emanato tre nuove normative (programmazione fiscale, riforma del diritto fallimentare, riforma dei tempi di prescrizione), che rappresentano un vero e proprio premio alle imprese più scorrette, nonché un “sistematico incoraggiamento” a perpetrare il mal costume (per un’analisi più approfondita si vedano le note del dipartimento Politiche attive e le note della Consulta giuridica della Cgil (su www.cgil.it). Nel dettaglio vengono infatti incentivati comportamenti molto diffusi tra gli imprenditori sommersi e in “grigio”. Vediamo come. Iniziamo dalla programmazione fiscale (legge 266/05 commi 499-520): la nuova norma non è altro che un “accordo agevolato” tra impresa e fisco, basato su un aumento del dichiarato futuro (con aliquote ridotte) e sulla possibilità per il contribuente di godere di un adeguamento fiscale per i periodi d’imposta 2003 e 2004.

Destinatari potenziali della programmazione fiscale sono la stragrande maggioranza delle imprese e la quasi totalità dei professionisti operanti in Italia, circa 3,5 milioni di soggetti. A costoro lo Stato proporrà nei prossimi mesi una determinazione preventiva delle basi imponibili ai fini delle imposte sul reddito e dell’Irap per il prossimo triennio, comprensiva di una programmazione valida anche ai fini Iva (applicando alla eventuale maggiore base imponibile l’aliquota media). A chi accetterà, per tre anni, sarà accordata una riduzione di 4 punti percentuali delle aliquote dell’imposta personale per la parte di imponibile che eccede quello programmato, mentre le basi imponibili ai fini dell’Irap e dei contributi saranno invece solo quelle programmate. Ecco allora i primi “trucchi”: la programmazione proposta al contribuente per il triennio 2006-08 prenderà a riferimento quanto dichiarato nel 2004. I valori che saranno calcolati dal fisco nei primi mesi del 2006 per determinare la base imponibile per il triennio 2006-08 non potranno tenere seriamente conto dei futuri effettivi andamenti dei diversi settori economici e si baseranno, per forza di cose, sulla situazione che il contribuente aveva (o, meglio, dichiarava di avere) nel 2004. In definitiva la programmazione fiscale si risolverà, per il contribuente, nell’impegno a pagare nel prossimo triennio le imposte corrispondenti agli imponibili calcolati sulla base degli studi di settore, beneficiando per l’eventuale eccedenza delle riduzioni fiscali e contributive. In altre parole verrà premiata l’impresa che si impegna a rispettare quanto già deve rispettare, svuotando di senso gli studi di settore, con una palese disparità di trattamento a svantaggio di chi ha fatto impresa correttamente.

Per cogliere l’ampia valenza del premio dobbiamo sottolineare come:
1) al nuovo intervento per il futuro segue la proposta di un concordato preventivo biennale per il 2003-2004, cioè la possibilità di un vero e proprio condono, per cui si potranno definire – con una sensibile riduzione di aliquota (sarà applicata un’imposta sostitutiva del 23 per cento) e senza alcuna applicazione di sanzioni e interessi – i suddetti periodi d’imposta;
2) la programmazione e il condono sono validi anche ai fini dell’Iva e, come ben si sa, uno dei “meccanismi” classici per occultare parte della produzione di beni e servizi – e relativo lavoro – sta nella sovra dichiarazione dei costi e/o nella sotto dichiarazione dei ricavi;
3) per i prossimi tre anni sarà preclusa all’ufficio delle imposte la possibilità di accertamenti analitici, analitici deduttivi (anche ai fini Iva), analitici indiretti (cioè tramite confronto tra banche dati) nei confronti dell’impresa che aderisce alla programmazione fiscale.
Stando così le cose è prevedibile che beneficeranno della programmazione fiscale soprattutto i soggetti con attività in crescita, o meglio coloro che, avendo avuto (o avendo tuttora) parte della propria attività a nero e magari qualche intervento in corso, vogliano chiudere ogni contenzioso prima che tutti gli elementi possano emergere.
Vediamo ora la riforma del diritto fallimentare (dlgs 5/06). Prima di tutto (articoli 1 e 13) la nuova norma, che entrerà in vigore, tranne qualche eccezione, per metà luglio, introduce una definizione di “piccolo imprenditore” escluso dalle procedure fallimentari (e relative tutele per i lavoratori ed i creditori in genere) che comprende la maggior parte delle piccole imprese (imprenditori che hanno effettuato investimenti nell’azienda sino a 300.000 ? e che hanno realizzato ricavi lordi di valore non superiore ad una media di 200.000 ? all’anno negli ultimi tre anni). Inoltre – anche qualora l’impresa entrasse nel novero dei soggetti sottoposti a fallimento – un eventuale debito scaduto non superiore a 25.000 euro non darebbe luogo a procedere. Al dipendente del “piccolo imprenditore” non rimarrà, quindi, che procedere con le ordinarie azioni di recupero del credito (che sono individuali, lunghe e assai spesso inconcludenti, anche per piccole cifre).
Occorre poi considerare che, con le nuove norme, si complicano le procedure poste a tutela dei creditori. I nuovi articoli 22 e seguenti, infatti, depotenziano radicalmente il ruolo del magistrato fallimentare e, di riflesso, si sposta la sede di effettivo controllo della procedura concorsuale verso il comitato dei creditori. Peccato che, a fronte di tanta responsabilità, i componenti del comitato dei creditori avranno diritto al solo rimborso delle spese, con l’effetto che saranno disponibili a partecipare a questo organo solo quei creditori in grado di compensare adeguatamente il proprio rappresentante (e tra questi non ci saranno i lavoratori dipendenti). Aggiungiamo poi che sarà proprio il comitato a dover autorizzare il curatore per far continuare o meno l’attività di impresa (o l’affitto all’acquirente, ecc.); con quale conflitto di interessi tra l’avere certo oggi e l’insicuro domani è del tutto evidente
Il quadro appare quindi evidente: non solo si assiste all’indebolimento delle tutele dei dipendenti dell’impresa fallita, ma vengono anche (ampliando la platea degli esclusi alle procedure concorsuali) incentivati i fenomeni di “falsa chiusura”, di spostamento dei macchinari e così via; tutti espedienti assai diffusi nell’economia sommersa.
La legge 251/05 (ex Cirielli), che ha riformato i termini per la prescrizione dei reati, modificando l’articolo 157 del Codice penale ha ridotto i tempi di prescrizione di numerosi delitti fiscali portandoli da 10 anni a 6 (per i non recidivi). In particolare, in base al nuovo principio per cui la prescrizione coincide con il massimo della pena possibile, sono stati ridotti i termini per molti dei delitti fiscali indicati dal dlgs 74/2000 tra cui: la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, cioè l’evasione sui redditi e sull’Iva; la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici anche quando emesse per ostacolare i diversi accertamenti; l’ emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, fenomeno diffuso, soprattutto nei servizi, “tramite false partite di giro” e utile a poter dichiarare più spese di quelle realmente sostenute; l’occultamento o distruzione di documenti contabili, reato molto praticato per impedire l’accertamento della propria o altrui evasione (noti ai più esperti i tanti “furti” o “incendi” che impediscono di accertare la reale consistenza delle imprese). Tanto per essere chiari stiamo parlando di quasi l’80% dei reati contestati nel 2004 dalla guardia di finanza (annuario Gdf 2004) i cui tempi di conclusione processuale (dati Camere penali 2005) sono in media tra i 5 anni e 7 anni. Una durata che varia quindi anche in base al grado di tutela giudiziaria e informazioni valide di cui può disporre l’imprenditore fraudolento. Senza considerare l’ovvio sforzo a cui la macchina giudiziaria sarà sottoposta per evitare prescrizioni di massa (distogliendo le già scarse risorse oggi disponibili), siamo di fronte ad un vero e proprio segnale di incoraggiamento verso chi opera nel sommerso che “oggi ha qualche ragione in più per credere che tale resterà” (Candidi, Il Sole 24 ore del 16 gennaio 2006).

(www.rassegna.it, Rassegna sindacale n. 6, febbraio 2006)

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Economia sommersa

Il caso: una truffa combinata

Abbiamo visto come tre nuove leggi varate dal governo (programmazione fiscale, riforma del diritto fallimentare, nuove norme sulle prescrizioni) incoraggino, prese singolarmente, diverse forme di lavoro grigio, di evasione, di impunità. Immaginiamo ora un possibile utilizzo sistematico di queste nuove norme (fiscali, fallimentari e penali), mettendoci nei panni di un imprenditore truffaldino, facendo alcuni esempi.
Prendiamo un’azienda che nel 2004 ha dichiarato solamente 160 mila euro di ricavi lordi (evadendo, senza essere scoperta e/o senza perfezionamento della contestazione, Iva e contributi e utilizzando lavoratori in grigio); decide oggi (2006) di aderire alla programmazione fiscale (adeguandosi ai nuovi indici degli studi di settore, quindi con una media di aumento del dichiarato tra il 10 e il 15% rispetto al 2004). Si vedrà così sanato il passato con un notevole vantaggio, presente e futuro (risparmierà circa 20 mila euro), e si vedrà garantita da uno “scudo” anti controlli per i tre anni successivi (il fisco e la Guardia di Finanza, cioè non potranno procedere a controlli di carattere deduttivo e analitico, nonché incrociando le banche dati fornite per esempio dall’Enel per il consumo elettrico).
A questo punto, nel 2008, l’impresa potrà vendere macchinari e attrezzature (acquistate per un importo inferiore ai 300 mila euro) a qualche prestanome e chiudere i cancelli, senza dover in nessun modo entrare nelle procedure fallimentari, con danno dei lavoratori che potranno agire solo come creditori ordinari senza poter in alcun modo rivendicare titolo su quando ceduto con contratto perfezionato. Quindi, anche in eventuale evidenza di reato e nonostante il tentativo di far sparire le tracce (distruzione dei libri), con una magistratura impegnata nel tentare di condannare simili comportamenti con i pochi mezzi a disposizione, il titolare potrà sperare in una buona difesa che gli permetta di superare i sei anni per la prescrizione.
Nel 2014 l’imprenditore non ha più pendenze; ha frodato il fisco e gli istituti previdenziali e beffato i lavoratori. Ovviamente ci possono essere moltissime altre “combinazioni”.
Potremmo avere un’impresa che ha emesso false fatturazioni in maniera crescente per qualche “compare” (e quindi ha un interesse economico e non solo “di condono” ad aderire alla programmazione fiscale); quindi fallire e trovarsi quest’ultimo “socio” nel comitato dei creditori. Magari proprio il compare – in accordo con il fallito – acquisirà, alla fine, i beni aziendali in cessione (o il ricavato della loro vendita) o avrà rilevato la stessa azienda.
Potremmo poi avere il caso di un’impresa che aderisce al concordato e poi ad un certo punto “smarrisce i libri” per l’ultimo anno, dopo aver venduto beni potenzialmente solvibili in caso di fallimento.E molto altro ancora. La fantasia rappresenta quindi l’unico limite per l’imprenditore truffaldino, grazie a leggi scritte e pensate da “un Presidente imprenditore”.

(www.rassegna.it, Rassegna sindacale n. 6, febbraio 2006)

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