POVERTA` GLOBALI. Rapporto della Banca mondiale sull`America Latina

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Un nuovo rapporto sull`America latina

La Banca mondiale scopre la povertà

di Davide Orecchio

La Banca mondiale inverte la rotta sull’America latina. E la boccia. Dopo anni di ricette neoliberiste ispirate al principio economico “prima di tutto crescere e poi, semmai, redistribuire”, l’istituto presieduto dall’ideologo neocon Paul Wolfowitz ha presentato a Washington un rapporto su “Riduzione della povertà e crescita: circoli viziosi e virtuosi” il cui titolo è di per sé esplicito: per crescere di più – questo il succo del rapporto – i paesi dell’area devono diminuire il tasso di povertà tra la popolazione, promuovere politiche di formazione scolastica e, di conseguenza, inclusione sociale. Si dirà: bella scoperta, ma per la Banca mondiale si tratta comunque di un cambiamento. Il segno che anche negli uffici di H Street hanno capito che la dottrina neoliberista dettata dal Washington consensus non convince più nessuno a sud di Los Angeles. Solo che questa premessa dà luogo a una conseguenza paradossale. Il rapporto, infatti, giudica “deludenti” i risultati economici raggiunti dagli stati latinoamericani negli ultimi decenni e accusa i governi di non aver fatto abbastanza per ridurre la povertà. Il “subcontinente” americano – accusa la Bm – è una delle “aree più inique del mondo, con quasi un quarto della popolazione ridotto a vivere con meno di due dollari al giorno”, ossia ampiamente al di sotto della soglia minima di sussistenza. Dov’è il paradosso? Nel fatto che l’istituto, criticando “decenni” di politiche inefficaci, finisce col bocciare le sue stesse ricette insieme a quelle del Fondo monetario internazionale.

Ad ogni modo un giudizio severo, quello dell’istituto. Fondato su dati oggettivi, forse anche addolciti rispetto alla realtà. Ma piuttosto curioso riguardo alla scelta politica dei tempi. Lo studio esce infatti a ridosso di un’epocale cambio di rotta – quasi una palingenesi politica, con sterzata netta a sinistra – in molti paesi del Sudamerica, e a pochi mesi dalle elezioni in Messico (dove il populista-progressista López Obrador potrebbe strappare la presidenza federale a Fox).

Il succo del Bm-pensiero è presto detto: se i paesi latinoamericani non vogliono vedersi superati dalla Cina e da altre economie asiatiche, devono combattere la povertà in modo più aggressivo. È la povertà – ha dichiarato infatti Pamela Cox, vicepresidente della Bm, presentando il rapporto – “che mina la crescita della regione”. Secondo lo studio, un calo del 10% nei livelli di povertà aumenterebbe la crescita economica dell’1%. Viceversa, un aumento della povertà del 10% non solo riduce la crescita dell’1%, ma causa una contrazione degli investimenti fino all’8% del Pil. Lo studio insiste sull’esempio cinese: tra il 1982 e il 2000 Pechino ha realizzato una crescita pro capite annuale dell’8,5%, riducendo la povertà di 42 punti percentuali. Negli anni ottanta, invece, il Pil pro capite in America latina è calato dello 0,7%, mentre nel decennio successivo è cresciuto dell’1,5%, senza cambiamenti significativi nei livelli di povertà. Si è così determinato “un circolo vizioso tra alta povertà e bassa crescita” – insiste il rapporto –, dal momento che le fasce povere della popolazione non possono accedere al credito, né intraprendere attività che generino profitti e investimenti. Più sono i poveri, meno si cresce come insieme: questa l’equazione della Bm. Che poi si traduce in molteplici contesti. Ad esempio più una regione difetta in infrastrutture, meno investimenti attrae. Oppure: se una famiglia è povera, non investirà nella scolarizzazione dei figli, e non cambieranno gli squilibri sociali, con ampie fasce escluse dal benessere.

Per invertire il circolo da vizioso a virtuoso, la ricetta della Bm suggerisce un “attacco su larga scala alla povertà” grazie a investimenti nel sistema scolastico e universitario e in infrastrutture che consentano ad aree più ampie di usufruire di servizi pubblici per i ceti indigenti. Ma i programmi di spesa, sottolinea il rapporto, devono essere maggiormente equi, arrivando davvero a chi ne ha bisogno. Al riguardo lo studio cita gli esempi positivi di Bolsa Familia in Brasile, Oportunidades in Messico, e Familias en Acción in Colombia. “La conversione dello Stato in un soggetto che promuova pari opportunità e pratiche di redistribuzione efficiente è, forse, la sfida più impegnativa”, conclude il rapporto.

I dati
Circa il 25% della popolazione latinoamericana vive con meno di due dollari al giorno.

Negli ultimi 15 anni la povertà è leggermente diminuita nell’America centrale (dal 30 al 29%), è aumentata nelle comunità andine (dal 25 al 31%) mentre è diminuita nell’area del Cono Sud (dal 24 al 19%).

America latina e Caraibi sono la regione più iniqua del mondo, con l’eccezione dell’Africa subsahariana. Un decimo della popolazione detiene il 48% della ricchezza.

All’interno dei singoli paesi il divario economico è altissimo: nel 2000, in Brasile, le entrate pro capite nei comuni più poveri non arrivavano al 10% di quelle nei comuni più ricchi. Le entrate pro capite nella regione messicana del Chiapas ammontano al 18% di quelle di Città del Messico.

Nelle famiglie con a capo persone provviste di un diploma di scuola superiore la povertà è del 25-40% inferiore rispetto ai nuclei dipendenti da persone che non hanno completato l’educazione primaria.

Lavoratori atipici o autonomi occupano dal 25 al 70% del mercato del lavoro nei diversi stati. Le differenze di genere, nei salari, vanno dal 12% del Messico al 47% del Brasile. Ma le differenze etniche sono molto più marcate. In media la popolazione nativa guadagna dal 46% al 60% in meno; in Brasile i meticci e le persone di colore guadagnano esattamente la metà dei bianchi.

(www.rassegna.it, 14 febbraio 2006)

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