SPI-CGIL. Il tempo dei legami sociali, intervista a Betty Leone

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(da www.carta.org)

Il tempo dei legami sociali, intervista a Betty Leone

di Gianluca Carmosino

Democrazia partecipativa, pace, autodeterminazione delle donne, Bolkestein, ruolo del sindacato nella globalizzazione liberista, migranti, volontariato: ha fatto un certo effetto ascoltare la relazione di Betty Leone che ha aperto il XVII congresso dello Spi Cgil a Montesilvano, provincia di Pescara, ma anche gli altri interventi di dirigenti dello Spi. Carta ha scelto di seguire il congresso per osservare i cambiamenti sociali da un altro interessante punto di vista. Del resto, i temi scelti dallo Spi, la più grande organizzazione sociale europea con i tre milioni di iscritti, raccontano molto bene alcune importanti trasformazioni che hanno stravolto società e sindacati in questi ultimi anni.
Di quelle trasformazioni ne abbiamo parlato con Betty Leone.

Gli ultimi anni, che coincidono anche con la tua responsabilità alla guida della più grande organizzazione sociale europea, hanno visto un nuovo protagonismo dei movimenti sociali. Pensiamo al movimento altermondialista, al movimento per la pace e ai movimenti ambientalisti. Come è cambiato il rapporto tra sindacati e movimenti sociali?

La relazione tra sindacati e movimenti è nata ed è cresciuta intorno a tre grandi questioni concrete: la giustizia sociale, i diritti e la pace. Diciamolo in modo chiaro: il tema della giustizia sociale, prima delle mobilitazioni del movimento altermondialista, era decaduto. La creatività di linguaggi e persino l`entusiasmo portato dai movimenti sociali hanno improvvisamente riportato quel tema nelle agende dei luoghi nei quali si fa politica, siano questi luoghi di esercizio del potere che spazi sociali per politiche promosse dal basso. Questo è stato il punto di contatto con le organizzazioni sindacali, perché la redistribuzione della ricchezza, attraverso la tutela dei diritti dei lavoratori e dei pensionati, è da sempre al centro dell`azione dei sindacati, che per altro hanno tradizionalmente avuto sempre una dimensione internazionale, In questo il legame con i movimenti è stato più facile. Anche per questo, il congresso dello Spi, è stato aperto con parole come `no alla guerra, non alla povertà`, questioni che riguardano tutto il pianeta: abbiamo voluto affermare che non sarà possibile costruire un progetto alternativo a quello di Berlusconi, Blair e Bush senza ripartire da quelli che molti chiamano `sviluppo umano`, che non si misura certo solo con la crescita del Pil. Di fronte alla globalizzazione liberista governata dalle multinazionali, in una competizione internazionale senza limiti, sindacati e movimenti hanno capito di avere l`opportunità di cooperare per una nuova stagione dei diritti. E questa è la seconda questione: da tempo, dall`epoca di Trentin, la Cgil ha scelto addirittura di chiamarsi il `sindacato dei diritti`, perché i diritti unificano cittadini e lavoratori. La tutela dei diritti cioè significa perseguire quella dignità umana che non può conoscere confini di alcun tipo e che ci chiama a ragionare sulle nuove forme dei diritti di cittadinanza. Si è aperto così un confronto interessante tra movimenti sociali, organizzazioni sindacali e politica tradizionale: un confronto su come espandere i diritti. Certo la scelta che gli Usa chiamano esportazione di democrazia non rientra tra questi obiettivi. La pace, infatti, è il terzo tema, forse il più importante, intorno al quale sono nati nuovi legami sociali, pur tra molte difficoltà e contraddizioni. Però, non dimentichiamo che il sindacato su questo tema è stato capace di fare grandi passi avanti, non scontati per una organizzazione così grande: dopo la guerra nei Balcani ha avuto la capacità di mantenere aperta la discussione al suo interno, nella sua base, ed è stato inevitabile un graduale l`abbraccio a un pacifismo radicale, in questo sollecitato anche dai movimenti sociali. Del resto, i sindacati sono sempre contro la guerra perché questa distrugge il lavoro: di nuovo è indicativo quanto accaduto nell`ex Jugoslavia, dove oltre a migliaia di vittime civili sono state devastate tutte le reti industriali. L`economia distributiva, quella che invece propone un sindacato in diverse forme, è inevitabilmente un`economia di pace e si oppone all`economia di accumulo, che è di guerra perché accumula potere per usarlo contro altri. Per questo, credo che la questione della pace sia innanzitutto una questione di democrazia da costruire dal basso: un ambito nel quale le organizzazioni sindacali possono giocare un ruolo rilevante insieme ai movimenti sociali. Perché i sindacati sono oggi uno dei pochi spazi sociali chiamati a tutelare servizi pubblici che riguardano tutti i cittadini, soprattutto nel rapporto con le amministrazioni locali. L`esperienza dei bilanci partecipativi, che anche alcune città europee hanno cominciato a sperimentare, è quindi un modello intorno al quale i sindacati possono, anzi devono essere coinvolti. Credo anche che le forme di democrazia partecipativa non debbano esaurirsi nel coinvolgimento dei singoli cittadini, ma anche di soggetti collettivi, come associazioni, comitati e sindacati, che possono portare il proprio contributo per ripensare il rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa. E se la democrazia richiede tempi adeguati per essere costruita e valorizzata, allora, il ruolo delle persone avanti in età nei movimenti sociali, soprattutto nelle esperienze che maturano nei quartieri e nelle città, può essere molto utile: loro possono mettere a frutto la risorsa più grande che hanno, il tempo. La scarsità di tempo è uno dei segni che caratterizzano la società liberista nella quale la ricerca di sempre maggior produttività, riduce il tempo a variabile dell`impresa. Gli anziani invece si riprendono il governo del proprio tempo e possono utilizzarlo per creare quella ricchezza che si chiama legami sociali, si chiama democrazia. Le sedi locali dei sindacati, le cosiddette leghe, hanno oggi un`importanza decisiva nell`allargare la partecipazione dei nostri iscritti e nella costruzione di nuovi patti territoriali. Si tratta di un esercizio di democrazia partecipativa al quale non possiamo sottrarci se vogliamo ricostruire un ruolo tra amministrazione e cittadini, contribuendo in questo modo alla ridefinizione di un`etica pubblica.

Nella relazione introduttiva del Congresso del Spi Cgil hai detto: “per i sindacati non esistono governo amici“. Intanto, in alcuni paesi, pensiamo ad esempio all`America latina, con tutte le differenze del caso, governi di sinistra e di centrosinistra sono al potere, ma non mancano le critiche di chi osserva la forte influenze dei poteri forti su quei governi. In Italia potrebbe presentarsi una situazione analoga. Quale ruolo possono avere movimenti sociali e sindacati per evitare il prevalere di governi che al massimo propongono un liberismo soft?
Parlo del sindacato, ma il problema è antico e allo stesso tempo molto attuale anche per i movimenti sociali, e risponde al seguente interrogativo: come è possibile mantenere la propria autonomia? Perché il sindacato ha una sua idea di società, se pur parziale, ma chiara. È dunque un soggetto politico a tutti gli effetti, per altro, con un radicamento territoriale forte e quindi deve salvaguardare la propria autonomia politica. Con un certo orgoglio, possiamo dire che l`esperienza italiana è in questo piuttosto avanzata: non è un caso che negli ultimi mesi grandi sindacati come la Cut brasiliana e la Cta argentina hanno chiamato spesso alcuni dirigenti della Cgil per confrontarsi su come relazionarsi con governi di sinistra al potere. Ci guardano con una certa stima e con curiosità, perché in diverse occasione la Cgil ha saputo smarcarsi da partiti tradizionalmente più vicini. Pensando all`Italia, una cosa è dire il nostro campo di gioco è quello del centrosinistra, un`altra è sperimentare un rapporto vero, dialettico con il governo, ognuno nel proprio ruolo: a noi e ai movimenti sociali spetta sicuramente quello di tutelare i bisogni sociali. E tutelare i bisogni sociali significa anche fare scelte scomode: per questo, ad esempio, al congresso dello Spi abbiamo parlato del no alla Bolkestein, ma anche di ridiscutere il Patto di Maastricht: le conseguenze delle politiche del governo Berlusconi, in parte realizzate anche seguendo alcuni parametri Ue, sono preoccupanti: lo dimostra anche il Rapporto Cer (Centro Europa Ricerche), commissionata dallo Spi, e sull`impatto del governo di centrodestra. Un impatto devastante soprattutto per le famiglie giovani, per i lavoratori con i redditi più bassi e per i pensionati, pensiamo ai tagli alle amministrazioni locali. Per questo, è necessario non solo un nuovo patto fiscale, ma anche lavorare per non aggravare il debito pubblico, più che puntare a una sua riduzione. Insomma, come anche altri paesi hanno cominciato a fare attraverso le cosiddette `deroghe`, è utile ridiscutere alcuni punti del Patto di Maastricht. E lo dobbiamo fare cercando un modello di sviluppo davvero sostenibile, sia dal punto di vista sociale che ambientale. Questo probabilmente significa riaprire conflitti anche con il Fondo monetario internazionale.

Hai parlato spesso di democrazia: una democrazia rosa per lo Spi…
Sì, non c`è dubbio. Sono state oltre sei mila le assemblee di base che si sono svolte in tutte le strutture territoriali e alle quali hanno partecipato circa trecentomila iscritti per preparare la parte conclusiva del congresso dello Spi Cgil, intitolato “Protagonisti consapevoli“. Al Palacongressi d`Abruzzo si sono riuniti più di ottocento delegati, poco meno della metà dei quali sono donne. L`aumento del numero di assemblee e soprattutto l`incremento della partecipazione femminile negli organismi dirigenti sono due delle maggiori novità rispetto al precedente congresso. Al raggiungimento della parità numerica tra donne e uomini abbiamo dedicato molta attenzione. In nove direttivi regionali la percentuale delle compagne supera il 40 per cento e sei segretari generali sono donne. Sono convinta che questo nuovo ingresso di donne contribuirà al rinnovamento dei gruppi dirigenti e delle nostre politiche e ci aiuterà a correggere gli errori di gerarchizzazione e burocratizzazione ai quali un`organizzazione grande come la nostra è esposta. Anche su questo tema quindi sarà interessante la relazione con i movimenti sociali. Ci aiuteranno la parole di Luce Irigaray, la filosofa e psiconalista belga che, intervenendo alla tavola rotonda promossa dalla Spi ci ha invitato a mettere in discussione innanzitutto la cultura occidentale, che privilegia da sempre la morte a scapito della vita e per questo l`invecchiamento è considerato per lo più solo in negativo. Ma non è così per altre culture, soprattutto quelle nella quali prevalgono valori femminili, più aperti al pluaralismo delle differenze.

Quali sono le priorità emerse al congresso dello Spi e che cercherete di presentare a quello della Cgil? Infine, cosa rispondete alla proposta della Fiom della “doppia tessera“
Al centro della nostra azione rivendicativa ci sono tre questioni fondamentali: la rivalutazione delle pensioni. Non dimentichiamoci che il 50 per cento delle pensioni pubbliche non supera 500 euro al mese e l`80 per cento è inferiore a 800 euro. La seconda questione è l`integrazione dei servizi territoriali socio-sanitari, strumento indispensabile per sperimentare un nuovo welfare davvero in grado di rispondere alle esigenze di tutti i cittadini, a partire dai meno tutelati. La terza questione è la necessità di predisporre un Fondo nazionale per la non autosufficienza, per tutelare la dignità delle persone non autosufficienti e per sostenere le famiglie che vivono questo problema. Per quella legge sono state già consegnate al parlamento 500 mila firme, raccolte in meno di due mesi, recuperando così uno strumento di democrazia diretta entusiasmante, perché siamo stati in strada a incontrare le persone, a spiegare le nostre ragioni e a raccogliere consensi. Del resto, si tratta di un problema molto sentito: oggi sono circa 2,5 milioni le famiglie italiane che, in assoluta solitudine, devono affrontare la cura di un non autosufficiente, costosa sia dal punto di vista economico che da quello dell`investimento di tempo e di relazioni affettive. Oggi la loro unica prospettiva è ricorrere alle così dette `badanti`, io preferisco chiamarle assistenti familiari per il rispetto dovuto a loro e alle persone che assistono. Si alimenta così un mercato del lavoro spesso al nero, costituito prevalentemente da donne migranti, alle quali a volte viene negato anche un permesso di soggiorno, che lasciano a casa i loro figli e i loro vecchi per venire a curare i nostri anziani. In questi anni le amministrazioni locali più sensibili hanno supplito con le loro risorse all`assenza di qualsiasi intervento nazionale, ma questo non sarà possibile a lungo, e in ogni caso si tratta di misure insufficienti a rispondere all`insieme dei bisogni. Anche su questi temi mi auguro che nascano presto a livello locale inedite alleanze tra sindacati, movimenti sociali e amministrazioni per costruire nuove relazioni sociali. Quanto alla proposta della Fiom, di destrutturate lo Spi trasformandolo in una federazione di ex lavoratori con una doppia tessera, quella dello Spi e quella della categoria di appartenenza. Sarebbe un errore che pagheremmo sul piano politico, sociale, e persino del tesseramento. Se c`è un problema di risorse bisogna parlare di questo: noi siamo consapevoli che la questione del patto tra generazioni riguarda non solo la società ma anche l`organizzazione sociale.

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