DIRITTI. Rapporto Amnesty: «Dopo Abu Ghraib le torture continuano»/

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(dal Corriere della Sera, 7 marzo 2006)

La forza multinazionale accusata di «chiudere gli occhi o di essere complice». «Migliaia di persone recluse senza processo»

«Dopo Abu Ghraib le torture continuano»

Rapporto di Amnesty International sulle prigioni irachene: «Elettrochoc e frustate»

«Dopo lo scandalo di Abu Ghraib la forza multinazionale – e gli Stati Uniti in particolare – promisero di salvaguardare i detenuti iracheni». E invece «torture e maltrattamenti continuano». È la denuncia dell’ultimo dossier di Amnesty International sull’Iraq. «Oltre Abu Ghraib» (questo il titolo del rapporto) c’è (quasi) la stessa Abu Ghraib. La lezione, dice Amnesty, non è servita. Due anni dopo le inchieste sui prigionieri fotografati al guinzaglio, umiliati e picchiati da soldati americani, l’organizzazione non governativa forse più famosa al mondo parla di carcerati frustati con cavi di plastica, sottoposti a elettrochoc, costretti in piedi in celle allagate dove passa la corrente elettrica. Amnesty – sulla base dei racconti di detenuti e familiari – riconosce che molti degli abusi (impuniti) avvengono nei centri della polizia irachena. Ma spesso «sotto gli occhi della Forza Multinazionale (Mnf)», accusata di essere «negligente se non complice».
I comandi Usa ricordano che 54 militari sono stati giudicati per maltrattamenti. Amnesty avanza dubbi sull’imparzialità di certe sentenze. La più recente riguarda l’ufficiale Lewis E. Welshofer, responsabile degli interrogatori in una base vicino a Bagdad. Nell’autunno 2003 fece morire un ex generale di Saddam che non voleva collaborare. Gli applicò il «metodo sacco a pelo», fresco brevetto di un suo collaboratore. Lo ha spiegato un soldato che fu testimone. Si fa sdraiare il prigioniero nel sacco, di testa, in modo da rendergli difficile la respirazione. Non solo: Welshofer si sedette sul petto del generale Mawoush, 57 anni, gli mise la mano sul volto. Il generale ebbe un collasso e morì. L’ufficiale Usa è stato condannato un mese fa: seimila dollari di multa e 60 giorni da passare tra casa, base e chiesa. E’ andata meglio a un tenente che buttò giù dal ponte un iracheno 19enne a Samarra. La sentenza datata 2005: 45 giorni di isolamento.
È questa la lezione di Abu Ghraib? Sorprende che un generale Usa abbia appena definito la prigione di Bagdad «una scuola» di insurrezione? Amnesty accusa la forza multinazionale di detenzioni arbitrarie «che violano i diritti umani». Migliaia di iracheni incarcerati dal marzo 2003 senza processo. I comandi Usa replicano che lo status dei prigionieri (ce ne sarebbero 14mila nei quattro campi sotto il controllo della Mnf) è rivisto ogni 90-120 giorni. Non basta, dice Amnesty: le procedure in atto «ledono i diritti umani» dei detenuti, anche se si tratta di «security detainees», sospetti terroristi e guerriglieri, non «criminali comuni». Anche se una volta in libertà potrebbero riprendere il loro posto nei gruppi armati che – riconosce Amnesty all’inizio del rapporto – sono responsabili di molte delle violenze perpetrate in Iraq. Il bilancio di ieri: 16 morti, sei autobombe solo a Bagdad, una al mercato di Baquba, sei vittime tra cui due bambini.
Anche se, anzi proprio perché l’Iraq ogni sera fa zapping su un palinsesto di sangue, «oltre Abu Ghraib» non ci può essere ancora Abu Ghraib. I diritti umani non sono un optional, un’invenzione da brevettare come «il metodo del sacco a pelo».

Michele Farina

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