Oltre 250 mila lavoratori precari nel settore della conoscenza

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Scuola, università, ricerca

Oltre 250 mila lavoratori precari

di Luisella De Filippi
segreteria nazionale Flc

Un accentuato processo di precarizzazione sta investendo tutti i settori del lavoro e la legge 30 del 2003 ne è la massima espressione. Non tutto però si può addebitare a questa normativa. Infatti il pubblico non è ancora interessato da tale legislazione, nondimeno la precarietà dilaga in tutte le sue forme, soprattutto nei settori della formazione e dei lavori della conoscenza. La federazione dei lavoratori della conoscenza (Flc) organizza lavoratori pubblici, della scuola statale, dell’università, della ricerca, dell’Afam (conservatori e accademie), ma anche lavoratori del privato, scuola e formazione professionale.

Tutti questi lavori rispondono a un principio di responsabilità sociale, qualunque funzione svolgano gli operatori: dalle alte professionalità che si connotano per una forte autonomia professionale, ai lavori a carattere prevalentemente o esclusivamente esecutivi. Inoltre le categorie di lavoro pubblico, come scuola, università, ricerca, Afam, svolgono un ruolo istituzionale importante, hanno infatti il compito di realizzare il mandato costituzionale che deriva direttamente dall’articolo 3 della Costituzione, che afferma il principio dell’uguaglianza dei cittadini. Il diritto allo studio si realizza in queste istituzioni se esse sono in grado, per capacità e risorse, di offrire a tutti i cittadini veramente le stesse opportunità, correggendo le disuguaglianza di partenza. Da ciò deriva l’esigenza di garantire alle istituzioni pubbliche, tutta la qualità necessaria a realizzare il mandato costituzionale. Noi pensiamo che il dilagare della precarietà del lavoro in queste istituzioni, sia motivo di impoverimento e di dequalificazione delle istituzioni stesse, oltre che di violazione dei diritti dei lavoratori.

SCUOLA STATALE
È il settore più importante come numero di addetti: sono infatti 995.167 i lavoratori della scuola, di cui 255.595 lavoratori dei servizi, amministrativi, tecnici, ausiliari. Come per tutti i lavori pubblici, il reclutamento avviene rigorosamente per scorrimento di graduatorie concorsuali. I rapporti di lavoro sono in massima parte a tempo indeterminato, ma gli anni del governo di centro destra hanno prodotto un forte aumento dei rapporti di lavoro a tempo determinato.

Siamo passati infatti da una percentuale del 12,82% di tempi determinati docenti del 2001 al 16,60% del 2005, dal 24,50% di tempi determinati nei servizi Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) del 2001, al 29,82% del 2005. La media 8 della precarietà nei due settori, docente e Ata, vede un andamento percentuale che va dal 15,74% del 2001 al 20% del 2005. In valori assoluti, attualmente lavorano nella scuola 122.399 precari docenti su un totale di 737.250 posti docenti e 76.208 precari Ata su un totale di 255.595 posti Ata. Circa 200.000 precari nella scuola sono dunque una quantità ragguardevole, anzi un vero e proprio esercito di persone che ha al suo attivo anni e anni di insicurezza legata alle disponibilità di posti, che il ministro Moratti, con la sua controriforma che taglia orari e servizi, mette ogni anno a rischio, ma legata anche al continuo variare del quadro normativo che regolamenta le graduatorie, frutto dell’azione dissennata e clientelare del governo di centro destra.

Effetto collaterale, la confusione e il disservizio che ogni anno nelle scuole si protrae anche oltre il mese di dicembre, dovuto all’affaticamento burocratico delle procedure che accompagnano ogni anno l’attribuzione di supplenze e all’elefantiasi delle graduatorie. A questo va aggiunta la discontinuità nell’azione educativa dovuta al fatto che il docente precario va dove trova il posto e dunque lascia, nella maggioranza dei casi, la classe seguita l’anno precedente. I precari a tempo determinato non hanno la sicurezza del posto di lavoro, ma godono delle tutele e dei diritti che il ccnl ha fissato per loro, che riguardano le ferie, le malattie, la maternità, i permessi, ma non la progressione economica per anzianità, hanno l’elettorato attivo nell’elezione delle rsu, ma non l’elettorato passivo e naturalmente restano ai margini di tutte le dinamiche lavorative che si sviluppano nella scuola. Infine, anche se non si possono annoverare fra i lavoratori precari, va segnalata la presenza di 16.000 lavoratori lsu (lavoratori socialmente utili) dei servizi ausiliari e una quota di posti corrispondente al 25% del totale dei posti, riservati alle ditte di pulizia esterne, segno evidente del progetto di esternalizzazione delle qualifiche Ata.

L’UNIVERSITÀ PUBBLICA
Il governo di centro destra ha penalizzato fortemente il sistema universitario, tagliando progressivamente i fondi, bloccando le assunzioni per tre anni, approvando una legge sullo stato giuridico dei docenti universitari che aumenta a dismisura gli anni di precariato e infine, con l’ultima finanziaria, tagliando del 40% i contratti a tempo determinato e di collaborazione coordinata continuativa in essere.

Questo ha costretto le università a dedicarsi all’affannosa ricerca di fondi di finanziamento privati per pagare, poco e male, i giovani ricercatori, precarizzare il lavoro tecnico e amministrativo e coprire gran parte dei corsi con contratti di insegnamento a termine, e con collaborazioni a lettori di madrelingua precari. I contratti di insegnamento, nati per utilizzare in modo estemporaneo “esperti” dal mondo del lavoro, hanno finito per essere utilizzati in modo improprio per garantire la didattica ordinaria. I dati numerici indicano che, a fronte di 56.480 docenti a tempo indeterminato, ci sono 32.971 docenti a contratto, con una percentuale dunque del 58,38%. A questi vanno aggiunti 9433 precari impegnati in attività di supporto all’insegnamento, 16.499 collaboratori in attività di ricerca, 387 collaboratori linguistici a tempo determinato, 13.842 tecnici/amministrativi precari (25,76% dei tempi indeterminati).

Le forme di lavoro precario utilizzate sono: contratti a tempo determinato, collaborazioni coordinate e continuative, assegni di ricerca, contratti per l’insegnamento. Sono lavori spesso pagati pochissimo segnati da una preoccupante caduta di autonomia professionale, stato che si accompagna alla ricattabilità del lavoro precario.

LA RICERCA
La mancanza di investimento politico ed economico nella ricerca, ha prodotto il fenomeno dei “cervelli in fuga” all’estero. Il taglio dei finanziamenti e il blocco delle assunzioni che si ripete da 4 anni ha fatto salire la quota di precariato oltre il tetto del 50%, con punte di precarietà che toccano l’80% in alcuni enti di ricerca. Le forme di lavoro precario utilizzate sono molte: assegni di ricerca, borse di ricerca pagate su fondi degli enti o da fondazioni, imprese o altri organismi, collaborazioni coordinate continuative, prestazioni professionali, borse di dottorato per studenti che svolgono attività di ricerca.

Mentre il personale a tempo determinato ha un rapporto di lavoro contrattualizzato, gli altri non godono sostanzialmente di nessun diritto. Conseguenze negative sono: la caduta di autonomia professionale, la subalternità degli indirizzi di ricerca ai finanziamenti esterni, l’impossibilità di fare progetti di medio lungo periodo a causa della frammentazione di programmi e progetti, oltre che naturalmente la lesione dei diritti dei lavoratori coinvolti.

L’ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE
In questo settore, vissuto ai confini fra la scuola e l’università, prima della legge di riforma del ’99 con la quale è stato definitivamente equiparato ad un livello universitario, stenta a prender forma definitiva una struttura didattica organizzativa e un quadro di profili professionali. La situazione attuale esprime tutta la transitorietà e l’instabilità di un quadro non definito. Con la legge di riforma 508/99 si dichiarano ad esaurimento i ruoli in essere e le graduatorie nazionali di aspiranti, esaurite le quali verranno attribuiti soltanto contratti di durata quinquennale, rinnovabili. Coloro dunque che non hanno potuto inserirsi nelle graduatorie nazionali, ora ad esaurimento, non hanno alcuna prospettiva di stabilizzazione. I dati indicano una percentuale del 13,65% di docenti precari rispetto ai docenti a tempo indeterminato negli istituti statali e una percentuale del 23,73% negli istituti non statali. Per il personale tecnico e amministrativo, una percentuale dell’88,28% negli istituti statali e una percentuale simile negli istituti privati. Le forme di lavoro precario vanno dai tempi determinati ai collaboratori coordinati e continuativi ai collaboratori a progetto, a retribuzioni una tantum.

(www.rassegna.it, Rassegna sindacale, n. 10, marzo 2006)

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