SPIONAGGIO. Come la politica usa l`intelligence

Loading

NULL

(da La Repubblica, MARTEDÌ, 14 MARZO 2006, Pagina 46 – Varie)

LE TAPPE

LA PAURA DEL TERRORISMO HA APERTO LA STRADA A DISTORSIONI E ABUSI

COME LA POLITICA USA L´INTELLIGENCE

dopo l´11 settembre In una guerra asimmetrica, dichiarata a un nemico che non ha Stato né eserciti, le informazioni sono una merce di inestimabile valore

CARLO BONINI
________________________________________
Normalmente liquidata con una tautologia, “l´intelligence è l´intelligence“, la politicizzazione degli apparati dello Stato, la manipolazione e l´uso politicamente distorto delle informazioni che dovrebbero garantire la sicurezza dei cittadini, vengono consegnate al dibattito pubblico come un´innocua ovvietà. Nel cortile domestico, si preferisce coglierne ora gli aspetti farseschi, ora la dimensione “necessariamente opaca“. Nell´uno e nell´altro caso, neutralizzando la questione cruciale che l´11 settembre ha consegnato alle democrazie occidentali sotto il capitolo intelligence.
La premessa è nota. O, almeno, dovrebbe esserlo. Il martedì di sangue delle Torri gemelle spalanca l´orrore di una minaccia terroristica sottovalutata, denuncia un´insufficienza degli strumenti di comprensione e contrasto, colloca al centro della scena l´intelligence. In una guerra asimmetrica, dichiarata ad un nemico che non ha Stato né eserciti convenzionali, le informazioni sono merce di inestimabile valore, lo strumento per eccellenza della politica. Di fronte a opinioni pubbliche impaurite, smarrite, appare tollerabile uno sbilanciamento dei meccanismi di controllo, una sospensione delle garanzie, una concentrazione dei poteri dell´esecutivo. L´intelligence non è più soltanto arnese “preventivo“, ma offensivo, perché capace di condizionare le opinioni pubbliche, orientare le decisioni politiche offrendone una giustificazione fattuale.
La Paura per il nuovo nemico, l´urgenza di anticiparne le mosse, è un affare e un´opportunità che nel segnare una regressione autoritaria sul piano delle garanzie apre improvvisamente un terreno inesplorato alla politica e all´intelligence modificandone radicalmente il rapporto. La raccolta di informazioni perde ogni connotazione di “neutralità“. Ai tecnici non viene chiesto più un giudizio probabilistico su fatti e circostanze che aiutino il formarsi della decisione politica, ma, al contrario, il sostegno, la giustificazione a posteriori, di decisioni altrimenti già prese. Gli Stati Uniti e l´Inghilterra sono il laboratorio di questa nuova stagione e la vigilia di guerra in Iraq la sua prova generale. Con un esito non solo fattuale (la manipolazione delle informazioni che vogliono il regime iracheno in possesso di armi di distruzione di massa) ma genetico. Nel Rapporto conclusivo del luglio 2004, il “Select Committee on intelligence“, il Comitato di controllo sui Servizi del senato degli Stati Uniti, scrive: «Il pregiudizio che si radica nella comunità di intelligence all´indomani dell´11 settembre è figlio di un “pensiero di gruppo“, termine che si deve allo psicologo Irving Janis. Ciascun membro del gruppo uniforma le proprie opinioni e dunque il proprio agire a quello che ritiene il pensiero maggioritario della comunità cui appartiene. Il risultato è l´irrazionalità o, peggio, l´erroneità della decisione finale».
Dominata dal “pensiero di gruppo“, l´intelligence del post 11 settembre si sintonizza con gli umori e le priorità nell´agenda dell´esecutivo, che del “sentire comune“ è appunto espressione maggioritaria. Ne anticipa le richieste, alimenta al proprio interno una competizione infernale che ha in palio rapide carriere e visibilità. La raccolta delle informazioni si sgancia definitivamente da un giudizio tecnico di verosimiglianza e congruità dei fatti, a vantaggio della loro appetibilità politica sul mercato della Paura. L´esecutivo ha gioco facile. In questo nuovo spazio “defattualizzato“, il prodotto di intelligence viene consumato nella logica del “cherry picking“, della raccolta di ciliegie. Si seleziona solo ciò che è funzionale a un disegno politico, a un´operazione di cosmesi della realtà o di manipolazione dell´opinione pubblica, in un circolo perverso in cui la Paura legittima i nuovi strumenti dell´esecutivo e diventa essa stessa strumento di consenso.
La macchina di intelligence che risorge dal cratere di Ground zero è un prodotto ad alta redditività politica e basso costo. Soprattutto è un prodotto fungibile. Perché l´arma concepita per colpire il nuovo nemico può tranquillamente riconvertirsi negli obiettivi. Ad uso interno. Accade in Spagna, l´11 marzo 2004. La responsabilità dei separatisti dell´Eta per la strage sui treni dei pendolari è la menzogna che il Partito Popolare di José Maria Aznar veicola per assicurarsi una vittoria elettorale che appare improvvisamente incerta. Ma per farlo, ha bisogno che qualcuno accrediti l´imbroglio. E lo strumento, appunto, è il “Centro Nacional de Inteligencia“, l´intelligence militare spagnola. In un documento declassificato (nota numero 200400000039127) del Servizio spagnolo consegnato agli atti dell´inchiesta sulle responsabilità della strage, si coglie l´impostura di quelle ore, la forza e la semplicità di un sistema che piega un interesse collettivo (la sicurezza del Paese) a favore di un interesse di parte. E poco importa che quell´imbroglio condannerà nelle urne chi ne è stato l´artefice. «Si ritiene quasi certo che l´organizzazione terroristica Eta sia l´autrice degli attentati. Pur in assenza infatti di risultati peritali, le modalità sono quelle utilizzate dall´Eta in buona parte delle sue azioni. L´Eta intende riprodurre la strategia scelta nel 1997 con l´assassinio di Miguel Angel Blanco ed è persuasa che passerà poco tempo prima che si levino voci maggioritarie a favore di una soluzione negoziata del conflitto basco…».
Come Stati Uniti, Inghilterra e Spagna, anche l´Italia è della partita. L´11 settembre consegna al Paese la centralità del “nuovo Sismi“, il controspionaggio militare cui il governo non lesina denari e uomini. La nostra intelligence militare aggiunge un suffisso alle sue competenze e si trasforma in intelligence politico-militare, in una cornice legislativa vecchia di trent´anni che, a differenza di altre grandi democrazie, rende il controllo parlamentare un pro forma e cui nessuno ritiene di dover mettere mano. Il sistema è lo stesso che abbiamo visto al lavoro altrove: “Pensiero di gruppo“; fungibilità del nemico; manipolazione e manutenzione della paura collettiva; routine operative ispirate a un nuovo concetto di “sicurezza nazionale“ modulato sulle esigenze dell´esecutivo e che il Parlamento non è mai stato chiamato a discutere, in nessuna sede. La modernità della mutazione è evidente, come il tratto autoritario che la qualifica e il senso comune che radica. Investite dall´autorità che a loro consegna un rapporto diretto ed esclusivo con l´esecutivo, libere dal controllo, le burocrazie della sicurezza si costituiscono come attori occulti del gioco politico. Con una differenza sostanziale rispetto agli attori trasparenti: il segreto che ne protegge le routine, gli strumenti, gli obiettivi. Perché “l´intelligence è l´intelligence“.

*************
( La Repubblica, MARTEDÌ, 14 MARZO 2006, Pagina 47 – Varie)

b>INTERVISTA AL POLITOLOGO BENJAMIN BARBER

L´AMERICA VISTA DA UNA CIMICE


diritti violati Le intercettazioni sono il segno della crisi delle libertà civili nelle nostre democrazie e dello scontro fra poteri
Escalation Oggi tocca a telefonate e mail dirette fuori dai confini, domani sarà la volta di parole e pensieri scambiati all´interno

ROBERTO FESTA
________________________________________
«Le intercettazioni sono il segno della crisi delle libertà civili nelle nostre democrazie, e al tempo stesso il sintomo di uno scontro costituzionale tra poteri dello stato“. Così Benjamin Barber, politologo, autore di Guerra Santa contro Mcmondo e L´impero della paura, consulente di Bill Clinton e Howard Dean, giudica l´ultimo clamoroso caso di intercettazioni Usa, quelle gestite dalla National Security Agency. Dopo l´11 settembre George Bush ha segretamente ordinato alla Nsa di intercettare, senza l´autorizzazione di un tribunale, e-mail, telefonate, comunicazioni scambiate tra gli Stati Uniti e l´estero. Sino a ora la Nsa aveva agito unicamente all´estero. «Le intercettazioni sono essenziali per la sicurezza degli americani», si è giustificato Bush. «Lei è il presidente Bush, non re Bush», gli ha risposto il senatore democratico Russ Feingold.
Benjamin Barber, le conversazioni di migliaia di americani dirette all´estero sono state intercettate. Sorpreso? Indignato?
«Indignato sì, sorpreso non più di tanto. Questo è l´ultimo episodio di una spregiudicata e sistematica violazioni delle libertà civili che il nostro paese ha conosciuto dopo l´11 settembre. Ci sono state le torture di Abu Ghraib, la violazione dei diritti dei prigionieri a Guantanamo, la totale mancanza di trasparenza sui motivi della guerra in Iraq, la nuova legge antiterrorismo, il Patriot Act. Le intercettazioni sono un aspetto della più generale crisi dei diritti».
È un episodio isolato, eccezionale nella storia americana?
«Per niente. Questa vicenda delle intercettazioni ritorna in tutti i momenti di emergenza e di crisi della storia americana. Socialisti, radicali, comunisti furono spiati e limitati nelle loro libertà durante e dopo la prima guerra mondiale. Il maccartismo e la Guerra fredda sono segnati da intercettazioni di ogni tipo. L´Fbi spiò milioni di americani durante la stagione dei movimenti per le libertà civili e il Vietnam. Dopo l´11 settembre la storia si ripete. Si fa appello alla necessità di sicurezza per giustificare progetti autoritari. La limitazione dei diritti in tempi di emergenza del resto è andata anche più in là. Abraham Lincoln sospese l´habeas corpus, migliaia di nippo-americani finirono in campi di detenzione durante la seconda guerra mondiale».
Il giudice della Corte Suprema Louis Brandeis diceva che gli americani sono gelosi delle loro libertà personali, e che furono le ispezioni senza mandato degli inglesi a scatenare la Rivoluzione. Gli americani continuano a essere così gelosi della loro privacy?
«No, perché oggi a dominare è la paura, l´incubo terrorismo, e la gente è disponibile a rinunciare a parte delle proprie libertà in nome di una maggiore sicurezza. Inoltre, molti non si sentono toccati dalle intercettazioni. Pensano: “In fondo Bush spia soltanto quelli che comunicano con l´estero, e noi non mandiamo mai e-mail o telefoniamo all´estero“. Una sorta di sordo provincialismo fa pensare agli americani di non essere toccati da questa massiccia opera di spionaggio. Ma oggi tocca a telefonate e e-mail dirette fuori dai confini, domani sarà la volta di parole e pensieri scambiati all´interno».
È una violazione che trasforma in profondità la democrazia americana?
«È una violazione che segnala anzitutto una ridefinizione di poteri ed equilibri tra i diversi corpi dello Stato. Come nel passato, il potere esecutivo tende ad ampliare le proprie competenze e prerogative, sfuggendo al controllo di Congresso e tribunali. Questa amministrazione pensa di non avere più bisogno della verifica parlamentare, ma tende ad agire libera da qualsiasi controllo. È successo con la storia delle torture ordinate sui prigionieri, con i vari centri di detenzione Cia in giro per il mondo, di cui nessuno sa niente, con una guerra che viene gestita nella più completa segretezza. È un processo simile a quello di altre democrazie nel mondo occidentale. Si adottano le categorie della “guerra permanente al terrore“, dello scontro tra civiltà, per giustificare una limitazione permanente alle libertà. Ogni volta che Congresso o tribunali tentano di riportare l´esecutivo all´interno di un processo di checks and balances, il governo si appella all´emergenza e fa un nuovo passo verso un´autorità sempre più “assoluta“, sciolta da vincoli e controlli».
È un processo senza ritorno?
«Direi di no. Un antidoto allo spropositato ampliamento dei poteri dell´esecutivo c´è, e sta nella Costituzione. I Padri Fondatori non potevano immaginare quello che sta avvenendo oggi, ma avevano ben chiari i rischi di un potere assoluto. Per questo la nostra Costituzione è così ben congegnata quanto a separazione ed equilibrio dei poteri. Quando un potere tende a prendere il sopravvento sugli altri, scatta una sorta di automatico meccanismo di compensazione. Tra il 1934 e il 1936 fu la Corte Suprema e i vari tribunali del paese a smantellare pezzo dopo pezzo le riforme del New Deal rooseveltiano. Allora Roosevelt dominava il Congresso, ma non le corti. Oggi Bush tende a controllare la Corte Suprema, dove è riuscito a imporre due suoi uomini, John Roberts e Samuel Alito. Ma repubblicani e democratici del Congresso sono sempre più insofferenti per i suoi metodi autoritari. Prevedo una reazione proprio al livello di classe politica. C´è un solo strumento che può fermare intercettazioni e deriva autoritaria della democrazia, e si chiama Costituzione degli Stati Uniti».

/wp-contents/uploads/doc/“>


Related Articles

La rabbia monta al casello

Loading

Tra i camion che bloccano l’accesso all’autostrada: «A rischio povertà  è il contadino che produce l’insalata, ma anche l’autista che la trasporta»

La società che esclude – dibattito a Lodi

Loading

NULL All’interno della rassegna “I sette vizi capitali. La superbia“ la Camera del Lavoro di Lodi organizza per: MERCOLEDI` 27

L’apertura del Papa verso le unioni omosessuali

Loading

Chiesa. «Hanno diritto ad avere una famiglia». L’affermazione fatta nel docufilm «Francesco» del regista russo Evgeny Afineevsky, presentato ieri alla Festa del cinema di Roma

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment