Banlieue e lotte studentesche, parla Alain Touraine

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Francia / Banlieue e lotte studentesche, parla Alain Touraine

La scuola dei diritti

di Carlo Gnetti

Quali sono le ragioni profonde degli avvenimenti che nelle scorse settimane e nei mesi passati hanno messo in subbuglio la società francese, prima nelle “banlieues” delle grandi città e poi nelle Università in seguito alla proposta – poi ritirata – di introdurre il Cpe (contrat de première embauche) per i giovani al primo impiego? In gioco vi sono ragioni legate alle incertezze del futuro e al rifiuto della precarizzazione, o ciò che è accaduto nasconde un malessere più profondo, che agita la società francese e i giovani in particolare? Abbiamo girato queste domande al sociologo Alain Touraine, docente universitario e attento osservatore della società francese ed europea.

“Gli avvenimenti danno già una risposta a queste domande, esordisce. Il carattere un po’ tecnico, limitato, del problema Cpe non concerneva solo gli studenti ma tutte le persone con un basso livello di educazione e di qualificazione. Ciò non spiega l’ampiezza del movimento ma mette in evidenza due aspetti. Il primo ha a che fare con la situazione concreta e immediata. È vero che in Francia vi è un tasso di disoccupazione tra i giovani ben più elevato di quello che riguarda l’insieme della popolazione. Molti studenti si mantengono agli studi facendo baby sitting, molti passano due o tre anni a fare stage o lavori di durata limitata. Ma al numero di giovani e di studenti molto più elevato rispetto al passato, e con prospettive professionali sempre peggiori, non corrisponde né crescita né mobilità sociale. In uno scenario di questo tipo il governo aveva deciso di sacrificare i giovani, a qualunque costo. Il merito del movimento degli studenti è stato di portare questa politica a conoscenza del grande pubblico e di rivelare un malessere che era presente nella società ma non era sufficientemente percepito dagli stessi politici”.
Il Mese Qual è il secondo aspetto da sottolineare?
Touraine È il metodo seguito dal primo ministro. Il sindacato sa bene che i problemi legati al regime dell’impiego devono essere trasformati lentamente, dopo molte negoziazioni che durano anni piuttosto che giorni. Ed ecco che all’improvviso il governo presenta un testo che, dal punto di vista del diritto del lavoro, è assolutamente scandaloso. Dopo che il sindacato, in decine di anni, era riuscito a creare un contratto di lavoro che offriva garanzie, nel quale il datore di lavoro doveva spiegare i motivi per poter licenziare, tutto d’un colpo tutto ciò scompare. Non si tratta solo di una norma giuridica estrema. C’è il fatto che per due anni, che sono un periodo di discrezionalità molto lungo, il datore di lavoro può licenziare in qualunque momento un giovane senza spiegazione, senza oneri finanziari né nulla. Dunque c’è un secondo motivo che spiega l’ampiezza della reazione, in particolare del sindacato, ed è l’attacco brutale ai diritti del lavoro, che già sono rispettati sempre meno. Un modo di fare che aggiunge scandalo a scandalo.
Il Mese Cosa succederà ora che il governo è stato costretto a fare marcia indietro?
Touraine L’assenza, o il carattere aberrante, delle politiche sociali della Francia non riguarda solo il governo attuale. Una tale riflessione nasce sia dopo ciò che è successo nelle banlieues lo scorso novembre, sia dopo la vicenda del cpe, che stava per provocare una crisi di governo. In tutto questo periodo, se si prende a termine di paragone la solita Gran Bretagna di Tony Blair ma anche la Spagna, il nostro paese si è mostrato incapace di elaborare una politica sociale tanto in materia di impiego, quanto in materia di lavoro in generale, di giovani e di vita nelle città. C’è una sorta di paralisi, di impotenza, che si riflette all’interno dello stesso apparato politico.
Il Mese Ciò che è avvenuto da voi è dunque un fenomeno tipicamente francese o può riguardare in qualsiasi momento qualsiasi altro paese d’Europa?
Touraine Quando sentiamo condannare da più parti l’eccesso di protezione dei lavoratori salariati bisognerebbe chiedersi quale sarà il nostro avvenire. L’orientamento degli economisti europei è di aumentare la precarietà, di abbassare i salari e di aumentare la durata del lavoro per reggere la competizione internazionale. Per salvaguardare la nostra economia sembra dunque che sia necessario limitare la protezione dei lavoratori, introdurre una precarietà sempre maggiore, come è avvenuto in Spagna dove la proporzione dei precari è il doppio rispetto alla Francia, e accettare una visione del mondo nella quale le risorse vanno ripartite in funzione della collocazione dei singoli paesi nell’arena mondiale. Mi chiedo allora, e penso al movimento degli studenti che forse avrà avuto una reazione esagerata e alcuni aspetti discutibili che hanno infastidito qualcuno, ma senza dubbio ha avuto il merito di far riflettere tutti noi europei, e non solo i francesi: ciò di cui abbiamo bisogno, oggi e domani, è più liberismo o non piuttosto l’aumento delle garanzie? Dobbiamo continuare a liberalizzare tutto oppure, dopo 30 anni di liberismo, dobbiamo riprendere un certo controllo sull’economia, che nel frattempo si è modernizzata? Non sarà più conveniente seguire il modello scandinavo piuttosto che quello americano o inglese (che peraltro è molto meno liberale di quanto si crede), discutendo magari di licenziamenti purché siano offerte altre contropartite? In altre parole la flessibilità necessaria in un’economia aperta deve per forza trasformarsi in precarietà o non deve piuttosto essere integrata o compensata da una serie di garanzie a favore dei giovani e dei lavoratori?

(www.rassegna.it, il Mese di Rassegna sindacale, aprile 2006)

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