Economia sommersa: parte la campagna della CGIL

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Economia sommersa / Cgil

Parte la campagna “il rosso contro il nero“

di Fulvio Fammoni

L’economia irregolare è il lato più oscuro dell’attuale modello di sviluppo. Condanna all’insicurezza milioni di persone, negando loro diritti e tutele fondamentali, e rappresenta una delle prime cause del declino economico, sociale e civile del paese. Per contrastare il fenomeno la Cgil scommette su una nuova stagione di proposte e mobilitazioni, per coniugare politiche per l’emersione e politiche per la qualità dei sistemi produttivi e sociali.
La campagna che ha come slogan “il Rosso contro il nero” rappresenta la volontà della Cgil (da qui il rosso) contro ogni forma di lavoro irregolare (nero appunto), ed è stata ideata con riferimento alla gravità del fenomeno. Nel manifesto di questa campagna è il messaggio di fondo, duro come la condizione di chi viene sfruttato. Per chi lavora chi è in nero? Per chi prosciuga diritti e speranze (da qui i buchi del vampiro sul collo). Che fare allora? Rivolgersi al sindacato, alla Cgil, agli altri lavoratori organizzati.
Il fenomeno del lavoro nero, per dimensioni e pervasività, rappresenta infatti una componente strutturale del nostro sistema produttivo, con una relazione strettissima e biunivoca tra dinamiche del reddito prodotto, qualità del sistema produttivo ed espansione dello stesso sommerso. E quindi una delle premesse di una più generale azione sindacale volta a indicare le politiche di rilancio del sistema paese. Non c’è lotta al lavoro nero se non si prende atto del legame profondo tra i fenomeni dell’irregolarità economica e le dinamiche generali che animano i grandi processi di riorganizzazione del paese e dell’Europa; e quindi non c’è contrasto all’economia sommersa senza una politica per la crescita dell’occupazione regolare. Qualità, legalità, territorio: sono queste le coordinate entro cui muoversi – in una visione dinamica dei diversi processi – per definire un quadro condiviso e accettato di superamento del fenomeno.
Su queste parole d’ordine la Cgil ha deciso di promuovere nel 2006 (anno del centenario e la coincidenza non è casuale) la campagna “il Rosso contro il Nero”, con uno sforzo straordinario di partecipazione delle categorie e delle strutture territoriali per denunciare un fenomeno indegno di un paese civile (da qui l’idea di un numero verde in più lingue cui tutti potranno rivolgersi e di un sito con materiali utili soprattutto per i lavoratori immigrati: www.nolavoronero.it), ma soprattutto per portare avanti una piattaforma rivendicativa, con cui confrontarsi con il governo, le istituzioni locali e le altre forze sociali, e con l’obiettivo realizzabile di una piattaforma unitaria. La Cgil è consapevole che passi avanti in questi ultimi tre anni sono stati compiuti insieme a Cisl e Uil (si vedano da ultimo la piattaforma pugliese e numerosi accordi locali in Sicilia e Calabria), nei confronti di amministrazioni regionali più sensibili (la Toscana ad esempio) e, più in generale, delle forze politiche (non è un caso che il programma dell’Unione raccoglie tre delle principali proposte della Cgil, presentate a Bari nel 2005: piani locali, indici di congruità, automatismo tra denuncia dell’illegalità e permesso di soggiorno per lavoratori stranieri).
La Cgil è in campo per far vivere una piattaforma basata su un mix di politiche e strumenti, anche autofinanziati, che abbiano come baricentro la capacità del territorio di alimentare percorsi virtuosi, dove l’emersione sia la premessa per rafforzare le capacità competitive più generali dei sistemi locali. Una sorta di “emersione locale per una competizione globale” come strada che sostenga le forze più dinamiche del paese. È chiara, in questa scelta della campagna, la valenza culturale oltre che sociale ed economica: la lotta al lavoro nero deve diventare una priorità per la prossima stagione politica.
Va rovesciata una concezione perdente per cui, dato un primo eccezionale vantaggio all’impresa (intesa come corpo separato dalla società e dal territorio), sarà il mercato nella sua “giustizia regolatrice” a creare le convenienze per mantenersi competitivi e quindi regolari. Occorre passare a una politica di accompagnamento, costante nel tempo e regolata sui risultati, che valorizzi e difenda i percorsi individuali e collettivi dei lavoratori e permetta il recupero e la tutela previdenziale e contributiva dei cittadini coinvolti.

(www.rassegna.it, 3 maggio 2006)

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