Rapporto annuale dell`Istat: Un paese vulnerabile e frammentario

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Rapporto annuale dell`Istat

Un paese vulnerabile e frammentario

Nei primi mesi del 2006 l`economia italiana ha cominciato a risalire la china ma il sistema resta strutturalmente “vulnerabile“ e “frammentario“. Questo in sintesi è il verdetto del Rapporto annuale del l`Istat sulla situazione del Paese nel 2005.

Il lavoro.Tra il 1995 e il 2005 l`occupazione in Italia e` cresciuta di 2,7 milioni di persone raggiungendo quota 22.563.000 unita` pero` la percentuale di occupati tra i 15 e i 64 anni pur crescendo dal 53% al 57,5% resta molto al di sotto della media europea del 2005 (64,6%). Il tasso di disoccupazione nella media 2005 era del 7,7% in calo rispetto al 9,1% del 2001 ma l`Istat segnala come questa riduzione sia stata possibile anche grazie alla crescita della popolazione inattiva dovuta alla rinuncia alla ricerca di occupazione soprattutto al Sud.

Nel 2005 il mercato del lavoro ha perso una quota di lavoro femminile determinando “un ulteriore ampliamento del divario con l`Unione europea“. Nel 2005 “per la prima volta dalla meta` degli anni Novanta il contributo delle donne all`aumento dell`occupazione – sottolinea l`Istat – e` stato inferiore a quello degli uomini“. La quota delle lavoratrici sul totale degli occupati e` scesa dal 39,2% del 2004 al 39,1% del 2005. Nella Ue a 25 il trend e` invece opposto: “l`incidenza dell`occupazione femminile e` infatti aumentata di due decimi di punto rispetto a un anno prima, portandosi nel 2005 al 44,2%“.
Le donne hanno contribuito alla diminuzione nel 2005 (del 3,7% pari a 72.000 unita`) delle persone in cerca di lavoro. “Il contemporaneo forte incremento del numero di donne inattive residenti nel Sud e nelle Isole e di giovani che proseguono gli studi – evidenzia l`istituto di statistica – indica il diffondersi di fenomeni di rinuncia a intraprendere concrete azioni di ricerca di un impiego“.

Piu` complessivamente “continua a rallentare la crescita dell`occupazione“, che invece era stata sostenuta a partire dal `95. E aumenta il tasso di disoccupazione, soprattutto tra i giovani (nel 2005 al 24%, con un incremento sul 2004 dello 0,4%). Sostanzialmente “le forze di lavoro risultano in crescita grazie agli stranieri regolarizzati“. Sempre piu` italiani lavorano con orari flessibili: l` orario continuato riguarda solo otto milioni di lavoratori, circa un terzo del totale mentre per gli altri sono sempre piu` frequenti i turni, il lavoro nel week end e quello notturno. Grazie alla crescita dell`impiego nei servizi e alla liberalizzazione degli orari nel commercio e` aumentato anche il numero degli addetti impiegati di sabato (il 48,8% del totale) e della domenica (18,8% del totale) mentre il 22,1 e` impegnato di sera e l`11,2% di notte. Il 13,3% degli occupati fa i conti con i turni.

Il lavoro “full time standard“ riguarda quindi il 36,1% della popolazione ed e` piu` alto tra i dipendenti (41%) che tra gli autonomi (22,6%) mentre lavorano full time ma a volte anche nei week end il 26,9% degli italiani (22,8 dei dipendenti e il 38,3 degli autonomi). Gli italiani – sottolinea l`Istat nel suo rapporto – lavorano in media 38,1 ore a settimana, oltre un`ora in piu` della media Ue a 15: ma il dato risente del basso livello del ricorso al part time nel nostro Paese (12,8% contro il 20,2 della media Ue) che alza la media delle ore lavorate.

Nella sostanza invece un lavoratore a tempo pieno in Italia e` impegnato per 40,6 ore, circa mezz`ora in meno della media europea. Il numero medio di ore lavorate e` molto diverso se si considerano i lavoratori dipendenti e quelli indipendenti. Per i primi la media in Italia e` di 36,5 ore a settimana (compresi quelli in part time) a fronte delle 35,6 della media europea. Per i lavoratori indipendenti la media di ore lavorate e` di 42,4 ore contro le 43,5 dei lavoratori autonomi europei. Se il mercato del lavoro italiano avesse la struttura di quello dell`Ue a 15 – sottolinea l`Istituto di statistica – l`orario medio sarebbe del 3,9% inferiore a quello effettivo (per un`ora e 12 minuti). In Italia si lavora piu` ore soprattutto nelle aziende piu` piccole: in quelle con 10-49 addetti i lavoratori sono impegnati per una media di 1.744 ore all`anno (a fronte delle 1.621 dell`Ue a 15) mentre in quelle con una fascia dimensionale tra i 500 e i 999 ddetti i dipendenti sono impegnati per 1.592 ore (1.554 nella media Ue a 15).

L`impegno orario torna a salire nelle aziende con oltre 1000 dipendenti con un orario medio di 1.634 ore all`anno (1.500 nella media Ue a 15). Uno stesso impegno lavorativo pro capite comunque puo` essere espressione di combinazioni molto diverse di orari e tassi di occupazione: a fronte di bassi tassi di occupazione e poco part time in Italia nei Paesi bassi si rilevano molti occupati e ampia diffusione del tempo parziale. Gli uomini lavorano in media molte ore in piu` delle donne (41 ore a fronte di 33,5) soprattutto a causa dell`utilizzo del tempo parziale dalla parte femminile del mercato. Ma anche se si considera solo il tempo pieno le donne lavorano in azienda circa quattro ore in meno degli uomini con una media di 37,9 a fronte di 41,9 ore.

Un vantaggio immediatamente perso con il lavoro familiare: ogni giorno infatti le donne impiegano nel lavoro di cura in media circa 4,07 ore a fronte di un ora e cinquanta minuti degli uomini. Tra i 3,7 milioni di occupati“sottoinquadrati“ rispetto al titolo di studio di cui dispongo, circa due terzi possiedono il diploma di scuola superiore e il restante terzo la laurea o un titolo superiore. Tuttavia, spiega l`Istat nel suo Rapporto annuale, il “rischio di essere sottoinquadrato e` massimo tra i laureati (33,5%) e per i diplomati delle superiori (31,3%) e minimo per gli occupati con> qualifica professionale“.

L`incidenza dei lavoratori “sottoinquadrati “si attenua progressivamente nel passaggio dalle eta` piu` giovani a quelle meno giovani, con differenze molto marcate: il 38,9 per cento degli occupati con meno di 35 anni e` impiegato in lavori poco qualificati, la percentuale scende al 15,2 per gli occupati di 50 anni in piu“`. Il fenomeno, ricorda l`Istat, assume la maggiore intensita` tra le giovani laureate, le quali piu` della meta` dei casi svolgono un lavoro che richiede una qualifica piu` bassa rispetto a quella posseduta.
Redditi. Poverta` stabile (7,6 milioni gli indigenti) negli ultimi otto anni in Italia che resta pero` fra i paesi europei con piu` alto grado di sperequazione dei redditi. Questo vale soprattutto al Mezzogiorno, dove le famiglie percepiscono circa 3/4 del reddito delle famiglie che vivono al Nord. Pur con molta variabilita`, una famiglia su due ha un reddito mensile netto inferiore a 1.670. Ma ben un milione e mezzo di persone percepisce un reddito mensile basso, mediamente meno 783 euro, e vive in contesti familiari economicamente disagiati.

L`indice di concentrazione dei redditi (pari a 0,30) colloca in basso l`Italia, insieme a Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia. Il mezzogiorno e` il piu` fragile in questo contesto non solo rispetto al nord ma anche all`interno delle proprie regioni. I fattori individuali che influenzano la distribuzione dei redditi sono il livello di istruzione, il genere, l`eta`. Le famiglie del 20% piu` ricco detengono il 40% del reddito totale.

Nel 2003 il reddito medio per famiglia e` stato di 24.950 euro, circa 2.079 euro al mese. Il reddito e` composto per il 43,1% da lavoro dipendente e per il 32,9% da trasferimenti pubblici (il 92% riguarda pensioni). Le famiglie che hanno come fonte principale il reddito da lavoro autonomo possono contare, in media, su entrate maggiori. Al sud di solito c`e` un solo percettore di reddito, mentre al nord due o piu`. Il 28,2% delle donne contro il 12,3% degli uomini; il 36% dei giovani con meno di 25 anni; il 32% di chi ha un basso titolo di studio; il 21% delle persone che lavorano nel settore privato; il 40% dei lavoratori a tempo determinato. Ruolo importante e` assunto anche dal numero di ore lavorate durante la settimana: e` a basso reddito il 46,7% di chi lavora meno di 30 ore contro il 13% di quelli che ne lavorano almeno 30. Le donne con basso reddito vivono spesso in famiglie dove ci sono altri percettori di reddito. Oltre il 50% dei lavoratori a basso reddito opera nell`agricoltura, nella caccia e pesca e il 42% svolte professioni non qualificate

Povertà. Sono povere 2 milioni e 600 mila famiglie, l`11,7% del totale
per complessivi 7,6 milioni di poveri. Si riferisce alla
poverta` relativa, quella misurata sulla base dei consumi, che
dal 1997 al 2004 e` rimasta invariata, pur essendo strettamente
legata alla mancanza di lavoro e registrando negli anni un
minimo del 10,8% ed un massimo del 12,3%. L`emergenza riguarda
il Sud dove una famiglia su 4 e` povera e dove le persone povere
nell`ultimo anno, un record, sono aumentate di circa 900 mila
persone interessando oltre 1.800.000 famiglie. La poverta`
interessa per lo piu` i nuclei con tre o piu` figli minori, le
famiglie dove il riferimento e` pensionato o donna, sia anziana
o comunque sola.

Mobilità sociale Il nostro paese si trova fra i paesi europei con minore mobilita` sociale (Francia, Germania, Irlanda) a differenza di Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. E` difficile passare da una classe sociale all`
altra. Le donne hanno una probabilita` maggiore di quella
maschile di permanere nella classe di origine: e` il caso delle
figlie della classe operaia agricola e della borghesia.
(www.rassegna.it, 24 maggio 2006)

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