SPIONCINI. Interrogazioni su intelligence nelle carceri

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(Il manifesto, 31 maggio 2006)

Il carcere delle spie

Tra un governo e l`altro, nei giorni di interregno post- elezioni, il capo dell`amministrazione penitenziaria dà il via a inquietanti disposizioni Una rete di agenti con vasti mezzi tecnici e compiti di controllo su detenuti e personale carcerario che risponde solo al capo dell`ufficio ispettivo del Dap

Matteo Bartocci

Roma
Una rete di intelligence interna alle carceri per controllare e monitorare in modo «continuativo e centralizzato» non solo tutte le attività dietro le sbarre ma anche i collegamenti dei detenuti con il mondo esterno, le attività del personale e degli agenti di polizia. Se ne parla da anni ma forse oggi questa sorta di «super servizio segreto carcerario» è diventato realtà attraverso una serie di inquietanti ordini di servizio riservati che prefigurano una rete segreta che al di là di ogni gerarchia interna opera senza un atto pubblico che ne regoli finalità, modus operandi, organismi di controllo e quantità di forze assegnate. Si tratterebbe di circa 250 poliziotti, suddivisi a livello regionale e per singolo carcere, distratti dai propri compiti istituzionali e scelti personalmente dal capo dell`ufficio ispettivo Salvatore Leopardi, al quale risponderebbero in via assoluta ed esclusiva.
E` questa la lettura che emerge a margine di un`interrogazione parlamentare presentata la settimana scorsa al ministro della Giustizia Clemente Mastella da Graziella Mascia del Prc. «Risulta – chiede Mascia al guardasigilli – che il Dipartimento dell`amministrazione penitenziaria (Dap) abbia istituito in tutti i provveditorati regionali articolazioni operative della polizia penitenziaria espressione diretta dell`ufficio ispettivo preposte a non meglio indicate attività informative». Articolazioni per di più «sottratte alla catena gerarchica» e operanti «nell`assoluta riservatezza degli atti compiuti».
L`ordine di servizio che avvia la rete di intelligence è il numero 2 del 2006 firmato il 9 maggio dallo stesso Leopardi, quando governo e presidente della Repubblica non si erano ancora insediati. Depurandolo del suo linguaggio burocratico si evince che le strutture periferiche possono operare solo dietro «espressa richiesta» del capo, bypassando la catena di comando. Al di là del coinvolgimento formale, infatti, i provveditori non hanno alcun controllo sulle nuove strutture.
In parole povere si tratta di uffici paralleli che, a riprova, non comunicano mai tra loro ma operano in un rapporto esclusivo verticale con l`ufficio di Leopardi, cui trasmettono «prontamente e tempestivamente», anche «per le vie brevi», «ogni dato o notizia anche parziale ritenuta significativa». «Le varie articolazioni provvederanno allo svolgimento delle sole attività delle quali saranno investite secondo le direttive impartite», ordina Leopardi senza aggiungere altro per iscritto. A garantire ulteriormente la riservatezza delle operazioni un altro ordine di servizio, sempre firmato da Leopardi ma senza data (numero 35/2006), che prescrive standard di protocollo per la comunicazione molto rigidi («identici a quelli per le Sezioni III e IV dell`Ufficio»).
Ciò che queste note non dicono esplicitamente si ricostruisce da quanto trapela sugli incontri avuti da Leopardi al Dap con alcuni provveditori regionali nei mesi scorsi. Le attività, a quanto risulta, non si limiterebbero alle indagini sui detenuti in 41bis (come affermato il 26 maggio in forma anonima e difensiva dal Dap dopo l`interrogazione di Mascia) ma si allargherebbero ai detenuti ordinari e perfino, come parrebbe dalla circolare preparatoria firmata dal capo del Dap Giovanni Tinebra, a chiunque operi nelle carceri.
Il 7 febbraio 2006, a camere quasi sciolte, Tinebra getta le basi per l`opera di Leopardi comunicando a tutti i provveditori regionali che «l`ufficio per l`attività ispettiva e di controllo, con la collaborazione di articolazioni periferiche di prossima istituzione sul territorio», avrebbe provveduto sia ad una attività centralizzata di gestione e controllo di dati già acquisiti (come richiesto dalla Direzione Nazionale Antimafia nel 2005), sia ad attività di intelligence e investigazione vere e proprie. Scrive testualmente Tinebra che le future articolazioni si occuperanno di: «1) acquisizione, analisi e monitoraggio, continuativi e centralizzati, di elementi documentali e dei dati informativi di natura fiduciaria riguardanti ciascuna delle persone sottoposte al 41bis; 2) esame comparato, sempre continuativo e centralizzato, di tutti gli elementi e dei dati acquisiti; 3) acquisizione, analisi e monitoraggio, continuativi e centralizzati, di tutti i possibili canali di collegamento, intramurario ed extramurario (corsivo nostro, ndr); 4) approfondimento informativo degli eventuali canali di collegamento, anche extramurario; 5) eventuali sviluppi di indagini preliminari all`esito dell`approfondimento informativo qualora questo evidenzi ipotesi di reato» (come richiesto dalla Dna). L`ordine per Leopardi è di avviare «tempestivamente» i «contatti preliminari».
Coadiuvato da pochi uomini fidati tra cui il direttore del carcere di Sulmona Giacinto Siciliano, a marzo Leopardi inizia a costruire la sua rete, convocando a Roma i vari provveditori, in incontri separati e a piccoli gruppi, per compartimentare ancor meglio l`operazione. E` in queste occasioni che avrebbe esplicitato, sempre a voce, le sue direttive, specificando che i nuovi uffici avrebbero svolto «attività preinvestigative» articolate su quattro temi di contrasto: criminalità organizzata, terrorismo internazionale, terrorismo interno e, perfino, «attività anarco-insurrezionaliste». Maglie tanto larghe, per esempio, da riguardare anche un direttore non allineato, un capo della polizia troppo morbido, debolezze di agenti, oltre a far supporre l`esistenza dei meccanismi tecnologici necessari per vaste intercettazioni ambientali, telefoniche e della corrispondenza.
Se non è un servizio segreto vero e proprio poco ci manca. In ogni caso la nuova struttura conferisce a Leopardi un potere sul dipartimento del tutto sproporzionato rispetto al suo ruolo ufficiale. Senza contare che se le indagini si limitano ai detenuti in 41bis non si capisce perché se ne occupi l`ufficio ispettivo e non quello detenuti di Sebastiano Ardita. Né si capisce perché l`Antimafia richieda al Dap l`avvio di una struttura perentoriamente «centralizzata». Salvatore Leopardi, fin dai tempi di Caltanissetta, è il vero braccio destro di Tinebra. Il suo mandato scade tra un anno e se le voci sono vere per lui sarebbe già assicurato un nuovo incarico presso la procura nazionale antimafia.

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Prigione indecente, società incivile
Un nuovo servizio segreto «dedicato» a chi è dentro

Andrea Colombo

Che lo stato delle prigioni sia il più fedele indicatore della civiltà di una paese è certamente una delle affermazioni più fuori moda, di quelle che si adoperano per fare bella figura trattenendo a fatica una cinica risata. Il lustro berlusconiano, da questo punto di vista, non ha segnato alcuna inversione di tendenza. L`ingegner Castelli è stato senza dubbio uno dei peggiori ministri della Giustizia immaginabili, ma non è stato certo il primo a capovolgere la nota affermazione di principio e a comportarsi come se giudicasse tanto più civile il paese quanto più stracolme le galere, indecenti le condizioni di vita al loro interno, risibile il dettato costituzionale che assegna alla pena una funzione rieducativa e non vendicativa. Belle parole a parte, da oltre un decennio l`intera classe politica, quando si arriva a discutere di prigione, si dimostra puntualmente paralizzata dalla paura di apparire poco «ferma», incapace di sottrarsi al ricatto di un`opinione pubblica considerata, a torto o a ragione, innamorata della forca. Di fronte a questo ricatto nulla hanno potuto la cultura «progressista» pur diffusa a sinistra e le buone intenzioni proclamate a voce altissima dal partito azzurro. Non ha potuto nulla nemmeno Giovanni Paolo II, nonostante avesse scelto, per chiedere un gesto di clemenza, l`occasione più clamorosa e solenne, il suo discorso al parlamento italiano.
Le conseguenze sono note e sotto gli occhi, purtroppo pervicacemente chiusi, di tutti. Lo stato delle prigioni italiane è al di sotto del livello minimo di civiltà. Il sovraffollamento è al limite delle possibilità di sopravvivenza. I detenuti sono costretti a vivere in condizioni tali da meritare un pubblico encomio per il livello di maturità e responsabilità dimostrato sinora, riducendo al minimo le proteste e matenendole sempre all`interno di confini più che ordinati. Ma non si tratta solo di problemi materiali. Negli ultimi 15 anni si è diffusa, con la complicità dell`intera classe politica, la concezione feroce di una pena ridotta a esclusiva vendetta. E` una concezione che mina alla radice lo spirito che animava la Costituzione del `48, con conseguenze devastanti nella mentalità diffusa del paese, e non solo per quel che riguarda le carceri. Per il primo governo al quale partecipano tutti i partiti della sinistra radicale si tratta pertanto di una delle sfide principali, la cui importanza non è stata sufficientemente considerata nella stesura del famoso «programma». In pochi altri settori si avverte con altrettanta urgenza la necessità di una svolta complessiva. La sinistra radicale ha qui un`occasione senza pari per mostrarsi determinata a ottenere un cambiamento concreto del paese. Nei prossimi mesi, con ogni probabilità, il direttore del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) Giovanni Tinebra passerà ad altro incarico. Il suo successore dovrà garantire massima discontinuità, e non solo rispetto all`ultimo quinquennio. La sinistra dell`Unione ha tutte le carte in regola per reclamare quel ruolo, meno vistoso ma più determinante di moltissimi altri nell`imprimere un indirizzo chiaro alla politica complessiva di governo. Ne ha il diritto, non foss`altro che per l`attenzione puntualmente riservata al pianeta carcere. E forse ne avrebbe anche il dovere.

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