270 chili, chiuso in carcere appello da Pisa: sta morendo

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(da La Repubblica, MERCOLEDÌ, 14 GIUGNO 2006, Pagina 26 – Cronaca)

Il caso di Aristide Angelillo, 42 anni: ha piaghe da decubito e non riesce più a muoversi

270 chili, chiuso in carcere appello da Pisa: sta morendo

Manconi: si parla di carcere che fa male, possiamo citare questa storia estrema

DAL NOSTRO INVIATO
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LIANA MILELLA
PISA – Ha solo la faccia e le mani di un uomo giovane, quasi piacente. I capelli neri spruzzati di grigio appena un po´ grassi. Gli occhi scuri e vispi dietro le lenti bordate di nero. Sarebbe un uomo, anzi un detenuto normale se non pesasse 268 chilogrammi. Avete letto bene: proprio 268. L´hanno messo sulla bilancia l´ultima volta un anno fa, prima che dal carcere di Secondigliano arrivasse a Pisa. Lì avevano usato la pesa di un cementificio. Da quando è in Toscana calcolano le variazioni con le mutande che indossa. Il direttore della prigione Vittorio Cerri si stringe nelle spalle: «Qui le bilance che abbiamo non sono compatibili con lui». Ad Aristide Angelillo, 42 anni compiuti il 31 gennaio, il carcere non giova per niente. Pesava 140 chili quando c´è entrato per la prima volta cinque anni fa. Ex collaboratore di giustizia, è finito dentro per una storia di traffico di droga. Lui la racconta così: «Lavoravo alla Sme nel settore informativo. Mi hanno accusato di passare notizie a certi amici». Una condanna definitiva a dieci anni già scontata per i due terzi. Poi, quando stava a Perugia da pentito, gli contestano di aver spedito una lettera esplosiva che ferisce un carabiniere. Lui nega, ma sono altri undici anni, coi domiciliari.
Quando era un uomo libero andava in piscina e in barca a vela, adesso confessa come se nulla fosse: «Non riesco neppure a pulirmi quando vado in bagno. Sul gabinetto non mi siedo più da quando mi si è spaccato sotto, la faccio sul pavimento». Quando crollò – era novembre scorso – ci vollero sei vigili del fuoco e un´imbracatura per sollevarlo in piedi. Restò incastrato per ore. Di tutto questo porta i segni. Si vedono. Non indossa pantaloni. Le mutande blu lasciano generosamente intravedere la carne flaccida e debordante. Per lui, da solo, è impossibile lavarsi. Le piaghe da decubito fanno il resto.
Che ci fa in galera un uomo ridotto così? Angelillo vive in una cella di pochi metri, larga tre, lunga neanche quattro. Aspetta da otto mesi che il giudice di sorveglianza di Pisa decida se ha diritto di scontare la pena ai domiciliari. Il medico del carcere Francesco Ceraudo ha scritto una settimana fa (per la quarta volta): «In queste condizioni la dignità e l´umanità della persona si configurano come valori astratti e sono completamente mortificati dalla carcerazione». Ceraudo non esita a dire: «Il ritardo dei magistrati non ha scuse». Il direttore Cerri è più comprensivo: «Se esitano qualche motivo ci sarà. Ma Angellilo è comunque un uomo che non può più stare qui dentro». Oggi c´è una nuova camera di consiglio. Forse sarà la volta buona.
Il suo caso è ormai uno scandalo. Luigi Manconi, sottosegretario diessino alla Giustizia, anni spesi nella battaglia per l´amnistia e i diritti dei detenuti, ieri è andato a verificare di persona che succede a Pisa, convinto che in questo caso «la detenzione è solo una forma efferata di tortura», «un esercizio di irrazionalità». Lo ha spinto un angoscioso precedente: nel carcere di Parma, nove mesi fa, è morto Leone L. Aveva 32 anni, pesava 260 chili. Il cuore non ha retto. Manconi è entrato nel penitenziario all´una. È uscito alle tre. Questa è la cronaca dell´incontro. Angelillo è seduto sul letto. Come sta? «Sono un po´ disperato…». Riesce a dormire? «Mi poggio ai cuscini. Con la pancia in giù. Le mani a reggermi la faccia. Ma dopo due ore mi viene mal di testa. Ho una piaga qua sotto che non mi dà tregua». Che fa tutto il giorno? Legge? «La Bibbia e i manuali giuridici. Sono iscritto a giurisprudenza a Siena. Non posso andare a fare gli esami, ma studio lo stesso». Come si trova qui? «Questo carcere non è la regola». Quando ha chiesto i domiciliari? «Otto mesi fa. Per tre volte la decisione è stata rinviata per raccogliere informazioni sul domicilio che ho dato. Non mi risulta che le abbiano raccolte». La sua vita è peggiorata in cella? «Prima guidavo e camminavo molto. Ora sto sempre fermo, ho preso 130 chili. Ho una grave disfunzione ormonale e i testicoli ritenuti. Volevano operarmi ma mi sono rifiutato. Sono un uomo sposato, mia moglie mi aspetta a Napoli». Da quanto tempo non la vede? «Da 27 mesi, i genitori da quattro anni». Angelillo usa la bombola d´ossigeno. Cammina per pochi metri solo con le stampelle. Non riescono a spostarlo nella sala delle videoconferenze. Quando lo volevano a tutti i costi a Perugia per il processo il direttore Cerri, uomo di buone maniere, s´è infuriato: «Ma che andate cercando? L´autoambulanza non è tarata per un peso come il suo».
Che ci fa un uomo come Angelillo in galera? Manconi la vede così: «Quando parliamo di carcere che fa male possiamo citare una storia come questa. Una storia estrema».

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