CHI E` MARCO MANCINI. Da brigadiere dei CC a numero 2 del SISMI

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(Corriere della Sera, 6 luglio 2006) Le Br, gli 007 e gli ostaggi in Iraq: l’irresistibile ascesa dell’ex brigadiere amico degli americani della Cia È il 5 marzo 2005. Giuliana Sgrena scende dal jet dei servizi segreti a Ciampino. È finalmente in Italia dopo il lungo sequestro in Iraq. A sorreggerla sulla scaletta compare un uomo dal volto abbronzato – lo è sempre – e con un giubbotto nero. «Guarda, Marco Mancini si è messo a fare l’infermiere», commentano i colleghi del Sismi vedendo il capo della Prima Divisione esporsi alle telecamere. Ma non poteva mancare, era un modo per essere «presente» agli occhi del governo e dell’opposizione. Trasversale, con una grande rete di rapporti e conoscenze che gli ha permesso una incredibile carriera finita ieri a San Vittore. La storia di Mancini, a prima vista, assomiglia a quelle storie americane, con l’agente che diventa sceriffo della città. Lui parte dal basso. Agli inizi degli anni ’80 era un brigadiere dei carabinieri, come il suo «gemello», l’amico Giuliano Tavaroli, poi diventato responsabile della sicurezza Telecom (carica lasciata pochi mesi fa in seguito ad un’indagine sulle intercettazioni). Lavorano nella squadra del famoso Bonaventura nella lotta alle Br. Sono bravi – dicono i colleghi – e vogliono fare carriera in fretta. È Mancini a compiere il primo salto. Entra nel Sismi – attorno all’84, ufficio di Bologna – e ritrova Bonaventura, nel frattempo diventato responsabile della nuova Divisione anti-crimine. All’ombra dell’ufficiale Mancini cresce, smania e non abbandona mai il rapporto di ferro con Tavaroli. L’ex brigadiere attende il momento propizio. Che arriva quando Bonaventura lascia la carica di capo della Prima Divisione, la più importante del Sismi, quella che si occupa del controspionaggio. La carica passa ad un altro ufficiale dei carabinieri, Gustavo Pignero, arrestato nel blitz di ieri, un veterano. Ha partecipato – nel 1974 – all’infiltrazione tra le Br del famoso Frate Mitra. Al Sismi sostengono che da quel momento Mancini crea il suo team eliminando i fedelissimi di Bonaventura e «controllando» Pignero. Di fatto prepara il terreno per un nuovo balzo. È infatti responsabile del centro di Bologna e di tutto il Nord Italia. Una posizione strategica. Mancini rinsalda i rapporti con gli americani della Cia – una cooperazione che va avanti da anni – grazie anche all’emergenza terrorismo post 11 settembre. La sua strada procede in parallelo a quella di Tavaroli. Poco dietro, più discosto, c’è Emanuele Cipriani, amico fidato e titolare di un’agenzia di investigazioni, finito nell’indagine sulle intercettazioni. Girano voci di dossier su personaggi, spionaggio, fiumi di denaro. È questo misterioso mondo che fa da cornice alla preparazione – nella primavera 2002 – del rapimento di Abu Omar. Mancini forse vuole dimostrare agli americani di essere un buon partner. E la Cia gradisce: un coinvolgimento italiano è l’ideale per costringere Roma a tacere. Nell’agosto 2003, pochi mesi dopo il sequestro dell’imam, Mancini conquista la guida della Prima Divisione mentre Pignero diventa capo reparto. A Forte Braschi, la sede dell’intelligence, sostengono che l’ascesa è dovuta all’intercessione della Cia. L’allora capo dell’agenzia Usa, George Tenet, avrebbe scritto una lettera per sostenere la promozione. Verità o leggenda, Mancini è davvero il numero uno. Quando gira per i corridoi del comando lo segue la «formazione a cuneo». Mancini davanti, quasi sempre vestito casual, gli altri dietro. La guerra in Iraq alza le quotazioni della Divisione. Gli 007 vigilano sul contingente, recuperano ostaggi, pagano riscatti generosi, piangono il sacrificio di Calipari. Mancini si prende spazio e potere con il direttore Pollari che lascia fare fino a pochi mesi fa, malgrado la magistratura incalzi. In molti si chiedono perché. Guido Olimpio

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