by redazione | 27 Settembre 2006 0:00
Audizione Commissione XII Camera Deputati su indagine conoscitiva sull
ACHILLE PASSONI, Segretario confederale della CGIL
Le vicende legate al tema famiglia attraversano trasversalmente più settori della nostra vita: il
lavoro, le politiche sociali, le politiche fiscali, le politiche demografiche. E’ evidente che districarsi
all’interno di queste problematiche rischia di portare ad una dispersione; occorre pertanto effettuare
una scelta delle priorità che, peraltro, per un sindacato rappresenta il quotidiano, perché scegliere su
cosa intervenire è un nostro compito istituzionale, non potendo sommare tutto, e intendendo
soffermarmi, in questa sede, sulle politiche sociali.
Per quanto riguarda il lavoro, il problema precarietà ha immense proporzioni che incidono in modo
devastante sulle famiglie, trattenendo a casa i giovani disoccupati, sui giovani, non garantendo
stabilità, con il conseguente effetto di rendere insicura l’intera società, di scaricare sulla famiglia
tensioni molto forti, dal punto di vista non solo del reddito, ma anche dell’incertezza per il futuro.
Esiste quindi un insieme di politiche che vanno impiegate per recuperare il senso della flessibilità,
senza scambiarla per precarietà, confusione di concetti spesso verificatasi in questo paese. La
stabilità nel lavoro aiuta a creare un clima di sicurezza che può pervadere l’insieme della famiglia.
Ci sono poi le politiche fiscali. Anche qui, il piano è costituito da vari tasti: quando trattiamo di
fisco dobbiamo considerare da un lato il concetto di famiglia e dall’altro il concetto di persona, in
un mix che consenta equità ed equilibrio.
Attualmente non sappiamo ancora cosa comporterà la manovra di finanza pubblica di quest’anno.
Ci pare di capire che, sul versante fiscale, si possa rispondere alle esigenze che come sindacato
avevamo posto – ignoro in quale quantità, lo apprenderemo nelle prossime ore – relativamente alla
necessità di redistribuire la ricchezza verso il basso, in considerazione del fatto che tutte le
statistiche dimostrano come in questi anni sia avvenuta una gigantesca redistribuzione delle risorse
in senso inverso. Se venisse restituito il fiscal drag sottratto in questi anni al lavoro dipendente e alle
pensioni, non solo si fornirebbe una cifra superiore a quella stimata, ma si consentirebbe,
comunque, di riaprire un canale di distribuzione del reddito che si era interrotto, anzi invertito nel
passato. Ci pare di capire – ma lo verificheremo nei prossimi giorni – che nel disegno di legge
finanziaria siano contenuti interventi positivi per la famiglia a partire dalla realizzazione dell’idea,
esposta dall’onorevole Bindi in questa Commissione, di una dote per i figli quantificata in 2500
euro, che si otterrebbe dalla revisione degli assegni familiari e da una redistribuzione delle
prestazioni. Certo, il libro dei sogni di cui parlava l’onorevole Gardini, si misura necessariamente
con la realtà attuale dell’economia di questo paese. Forse, ci sarebbe bisogno di una
programmazione che uscisse dalla contingenza di una sola legge finanziaria. Forse, sarebbe giusto
che il Governo e il Parlamento cominciassero, su questi temi, a darsi uno scadenzario che superi
l’annualità, che dia al paese l’idea di un progetto di legislatura, che garantisca certezze sulle cose
che si fanno oggi, su quelle che si possono fare domani e su quelle che si rinviano a dopodomani.
L’idea generale di una equità nel paese, in questo modo, sarebbe di innovazione: perché c’é bisogno
non solo di equità ma anche di innovazione nelle politiche sociali. Oggi, le nostre priorità sono
quelle che ha citato prima il collega Betti: la lotta alla precarietà del lavoro, una redistribuzione del
reddito che garantisca le fasce più deboli, ed è stato anche qui richiamato come tutte le indagini
condotte evidenzino l’aumento degli indici di povertà, l’intervento a favore della non
autosufficienza. Le badanti in questi anni hanno salvato intere famiglie da una condizione disperata,
perché, in loro assenza, la famiglia sarebbe esposta ad un disastro, qualora in una situazione di
basso reddito subentrasse una non autosufficienza. Ovviamente, l’impiego di badanti è anche
correlato ai problemi di garanzia del lavoro, di trasparenza, di emersione dal lavoro nero: sulla non
autosufficienza
loro professionalità. Sarebbe, infatti, positivo che, trattando non autosufficienti, sia pur non da un
punto di vista sanitario, esistesse un livello di formazione professionale di base, in grado di
consentire alle badanti, nell’approccio alla persona che ha bisogno, migliori livelli di qualità di
intervento.
E’ poi un punto cruciale la lotta alla povertà. L’onorevole Burtone segnalava la stranezza del nostro
paese, in cui si avviano delle sperimentazioni, e poi si cancellano senza avere effettuato una
valutazione. L’aver cancellato il reddito minimo di inserimento senza aver tracciato una riga sulla
sperimentazione, per sostituirlo con un altro strumento (reddito di «ultima istanza»), che non ha
avuto esiti positivi, ha reso impossibile la realizzazione di quella soluzione alternativa al reddito
minimo di inserimento. Abbiamo chiesto al ministro Ferrero che si valuti la sperimentazione sul
reddito minimo di inserimento, facendo chiarezza sull’accaduto. In tal modo, si scoprirà che in un
comune come quello di Catania – non voglio usarlo ad esempio, perché so cosa è stato fatto lì – il
reddito minimo di inserimento ha messo in moto processi che hanno portato ad un buon lavoro
sull’inclusione, che non ha rappresentato puro assistenzialismo, cambiando anche la struttura
burocratica di quel comune.
Esiste, poi, il fondo per le politiche sociali. Non sappiamo cosa succederà nella legge finanziaria.
Abbiamo visto che con la «manovrina» di giugno sono stati reintrodotti 300 milioni rispetto al
taglio dell’anno precedente. Ne mancano ancora 200 per arrivare alla situazione del 2004, non so se
sarà possibile reperirli. Chiedo anche alla Commissione di aiutarci in questa partita del fondo per le
politiche sociali.
ma auspichiamo che si possa intervenire anche su questo versante, perché senza politiche sociali
che aiutino davvero, che promuovano inclusione e socialità nelle famiglie, poiché rischiamo che un
mero trasferimento monetario verso i nuclei familiari crei una condizione di solitudine delle
famiglie stesse. Infatti in questi anni c’è stato un trasferimento monetario, sia pure esiguo, ma un
tale intervento rivolto ad un nucleo familiare privo di strumenti culturali significativi – penso alle
fasce basse – determina una condizione di assoluta solitudine. In altri termini, un mero
trasferimento monetario non risolve i problemi, perché le politiche sociali sono i servizi, le strutture,
le professionalità che siano di sostegno alle famiglie. Certo, è meglio di niente, ma è evidente che si
tratta di un’altra politica, che non si esclude ma che deve essere integrata: è necessario un mix delle
due cose, trasferimenti e politiche sociali. La priorità per noi è la costruzione di strutture sociali che
aiutino la famiglia nei momenti di povertà.
Infine, mi preme sottolineare la centralità dei LIVEAS perché, sulle politiche sociali, questo paese
ha bisogno di certezze, di diritti, che ancora mancano. Oggi, nella politica sociale, i diritti si
chiamano «assistenza» che questo o quel comune, di destra o di sinistra, decide di erogare secondo
criteri propri. Non esiste la certezza di quale diritto una famiglia o una persona in condizione di
disagio, di esclusione o di povertà possa avere. Questa, quindi, è una priorità per la garanzia dei
diritti individuali delle persone: esistono nella sanità, ma sinora non nelle politiche sociali, e
speriamo che nei prossimi cinque anni ci siano novità.
Come ho già accennato precedentemente, sulle politiche fiscali e di lotta all’esclusione e
all’evasione, occorre intervenire la rotta con grande vigore e attenzione: inasprendo alcune politiche
e disincentivandone altre. Non so se i 70 mila euro, di cui si legge sui giornali, costituiranno la
nuova soglia di riferimento, abbassata rispetto a quella attuale, su cui applicare l’aliquota massima;
e non so dire se questo incentiverà il lavoro nero: immagino che una fascia di alti professionisti
potrebbe essere indotta ad evitare di certificare la prestazione. Ma il punto può non essere questo,
perché il problema dell’emersione dal lavoro nero è ormai a livelli altissimi in rapporto al PIL. Sono
necessarie politiche che incentivino l’emersione: non serve solo la repressione. Certo, la repressione
serve, così come servono gli ispettori che sono pochi, ma occorre realizzare anche una politica di
incentivazione all’emersione. Su questo terreno abbiamo avanzato una proposta, con una
piattaforma CGIL,CISL e UIL, ed il Governo ha dimostrato sensibilità. Mi permetta però di dire che
le notizie apprese sui giornali sui tassi di evasione del lavoro autonomo, che arrivano a livelli
intollerabili e ingiustificabili, non entrano – a mio parere, ma posso anche sbagliare – in rapporto
con gli studi di settore, perché a studi di settori bassi corrisponde evasione alta. Comunque, forse, in
tale ambito, sarebbe necessaria qualche riflessione in più.
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