Asili nido, tre le sfide

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Su lavoce.info l’analisi di Del Boca e Vuri. La Finanziaria stanzia 10

Riorganizzare gli orari, migliorare i servizi e superare le diffidenze delle famiglie

ROMA – “Ma fa paura l’asilo nido?”. Se lo chiedono su “lavoce.info” Daniela Del Boca (professore di Economia Politica presso l’ Universita di Torino e Visiting professor alla New York University) e Daniela Vuri.

Affermano nell’articolo le due studiose: “La Finanziaria prevede lo stanziamento di 100 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2007-2009 per finanziare un piano straordinario per i servizi socio-educativi per la prima infanzia (articolo 193). L’obiettivo è fare un primo passo verso il raggiungimento della soglia fissata dall’Agenda di Lisbona (33%). Al di la dei limiti dello stanziamento – si precisa -, non viene prevista una sperimentazione della politica che permetta di stabilirne l’efficacia sia in termini di utilizzo che in termini di incentivo dell’offerta di lavoro femminile”.

Ed allora, per Del Boca e Vuri le domande da porsi sono: “un aumento del numero di posti asili nido porterebbe le famiglie italiane a utilizzarli effettivamente? E se sì, ciò renderebbe più facile per le donne restare sul mercato del lavoro dopo la nascita dei figli? E che effetti ha tale utilizzo per i bambini?”.

L’articolo ricorda la situazione italiana. “I dati mostrano che gli asili nido in Italia sono pochi, costano molto e sono disponibili solo nelle Regioni del Centro Nord. I sussidi agli asili nido pubblici sono più bassi rispetto a quelli offerti in altri paesi. L’Italia si posiziona all’undicesimo posto nell’Europa a 15. Il numero di posti in asili nido (sia pubblici che privati) è tra i più bassi d’Europa: meno del 10 per cento contro più del 50 per cento in Danimarca, e 35-40 per cento in Svezia e Francia. Nelle Regioni del Sud la disponibilità di asili nido è quasi inesistente, circa l’1-2 per cento contro il 15 per cento del Nord”. Infine, “gli orari degli asili pubblici sono più limitati di quelli offerti in altri paesi, poco coerenti con gli orari di lavoro full time prevalenti in Italia”.

Citando poi alcuni studi empirici che hanno analizzato gli effetti di variazioni nei costi e accessibilità del child care sul suo utilizzo e sull’offerta di lavoro femminile, e le preferenze delle famiglie, l’articolo invita ad alcune riflessioni.

“I costi degli asili pubblici sono più alti che in altri paesi. In Italia, il finanziamento pubblico è circa l’80 per cento dell’intero costo, mentre in Svezia, Finlandia, Norvegia, Regno Unito è tra il 90 e il 100 per cento. I costi dei nidi privati sono più alti dei pubblici specie nelle Regioni del Nord. Le stime mostrano che un aumento dei sussidi al child care ha un effetto sull’utilizzo degli asili e sull’offerta di lavoro delle madri solo nelle zone dove questi sono più diffusi”.

Quanto agli effetti sull’offerta di lavoro delle madri, “i risultati di questi studi sono utili per ragionare sulle recenti proposte di aumento dell’offerta di asili. Le nostre simulazioni mostrano che per arrivare a un livello di partecipazione femminile al mercato del lavoro del 60 per cento, come fissato tra gli obiettivi di Lisbona, l’incremento dell’offerta degli asili nido dovrebbe essere ben più elevata del 33 per cento suggerito dalla Commissione europea e superare il 40 per cento. Per avere effetti importanti sull’offerta di lavoro femminile – continuano -, un aumento del numero di asili pubblici dovrebbe essere accompagnato da una riorganizzazione degli orari, per rendere i servizi più utili e flessibili. L’aiuto dei genitori nella cura dei figli è ancora infatti un fattore molto importante, sia come sostituto all’asilo che come sostegno alle rigidita’ degli orari”.


L’articolo ricorda che una recente indagine della Fondazione De Benedetti ha mostrato che un’elevata proporzione di famiglie non usa l’asilo perchè scarsi e costosi ma anche perche li considera di bassa qualità. “Nella maggior parte delle famiglie prevale comunque l’idea che i figli piccoli crescano meglio in ambienti familiari. Senza contare che, secondo quanto riportato dalla World Values Survey, in Italia un numero più alto di famiglie rispetto ad altri paesi europei ritiene che i bambini piccoli soffrano se stanno all’asilo e la madre lavora”. E si ricorda anche che “nonostante i recenti cambiamenti le donne italiane sono oggi quelle in Europa che dedicano più tempo al lavoro familiare, inclusa la cura dei figli, e tra le ultime per il lavoro retribuito, mentre l’opposto vale per gli uomini”

Dunque? “I risultati delle nostre ricerche mostrano che l’elasticità dell’offerta di lavoro femminile a fronte di una variazione del numero degli aisli non è elevata – concludono -, mentre ci sono ancora forti resistenze al suo uso. Date le limitate risorse previste dalla Finanziaria, è importante dunque valutare a priori gli effetti attraverso una sperimentazione. E’ importante inoltre implementare indagini longitudinali che permettano di seguire i bambini da 0 a 3 anni in poi per valutare gli effetti dell’asilo sul loro benessere psico-fisico e sul successo scolastico negli anni seguenti”.


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