Vicenza, Usa pronti a trattare i dettagli Ma al movimento non basta: “Rinuncino”

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“Questione di pacifismo, territorialità e democrazia: dovevano pensarci prima”

Washington starebbe pensando di fare concessioni sulla logistica della struttura
Il fronte della protesta fa però sapere che non è sufficiente: “Il nostro è un no netto”

<B>Vicenza, Usa pronti a trattare i dettagli<br />Ma al movimento non basta: “Rinuncino”</B>” src=”http://www.repubblica.it/2007/02/sezioni/cronaca/base-usa-vicenza-due/forse-usa-trattano/ansa_9803827_22130.jpg” width=”200″ /> </font></h3>
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La manifestazione di sabato

VICENZA Flebili segnali, mezze parole, piccoli spiragli. Dopo il successo della manifestazione di Vicenza, si fa timidamente strada la possibilità che gli Stati Uniti facciano parziale retromarcia, rivedendo i criteri e le modalità logistiche del raddoppio della base militare Dal Molin. Non per rinunciarvi, ma magari per spostarne la sistemazione, accogliendo alcune delle preoccupazioni espresse dalla popolazione vicentina che si oppone all’installazione.

L’idea che Washington possa correggere i suoi piani per ora è poco più di una suggestione, dettata dalle parole di Massimo D’Alema e Franco Giordano e rilanciata da alcuni indiscrezioni raccolte dal sito Affaritaliani.it. Se Romano Prodi ha ribadito che “le decisioni non si cambiano”, al movimento anti-base il ministro degli Esteri ha concesso qualcosa di più. “L’unica cosa che si può fare – ha spiegato – è provare a concordare lo spostamento di qualche chilometro dal centro della città”.

Ipotesi rilanciata dal segretario di Rifondazione comunista. “Confido nel fatto – ha commentato Giordano all’indomani della manifestazione – che questo movimento possa ottenere ciò che chiede, ovvero lo spostamento della base Usa fuori da Vicenza”. Ma, per quanto tutta da verificare, questa possibilità potrebbe non essere sufficiente a far rientrare malumori e proteste.

“Gli americani pronti a trattare? Non ci crediamo”, ha tagliato corto Giancarlo Albera, uno dei portavoce del Comitati del No. “Forse – ha aggiunto – lo sono sulle mitigazioni ambientali. Ma i 120 mila di sabato non vogliono la nuova base”. Il problema infatti per Albera non è risolvibile con qualche “ritocco” urbanistico. “Non vogliamo la base – ha ricordato – perché siamo contrari alla guerra”.


Ancora più drastico Olon Jackson, un altro leader della protesta vicentina: “Che gli Stati Uniti siano disponibili a qualche concessione per smussare la conflittualità mi sembra molto plausibile, ma il nostro no alla base è netto, non è risolvibile con qualche aggiustamento: è una questione di pacifismo, di democrazia e di uso del territorio. Il movimento va infatti dai noglobal, alle suore, agli autonomisti. In nove mesi nessuno del governo si è preso la briga di venire qui a parlare con la città e capire quale era la situazione. Ora devono fare una scelta netta e decidere se quando saremo davanti alle ruspe in maniera pacifica ci vorranno cacciare a manganellate”.

(Repubblica.it, 19 febbraio 2007)

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