Economisti, Ocse e Banca d’Italia a convegno per ‘misurare’ la felicità

by redazione | 3 Aprile 2007 0:00

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L’ateneo romano di Tor Vergata ha promosso due giorni di confronto sulle variabili del benessere individuale diverse dalla ricchezza

di ROSARIA AMATO

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<p><!-- inizio DIDA --><font size=Il direttore delle statistiche Ocse Enrico Giovannini


ROMA – Il reddito, ma non solo: il lavoro, l’inflazione, l’uguaglianza sociale ed economica, il tempo per le relazioni umane. Sono tanti i parametri che contribuiscono alla felicità, intesa non come stato d’animo, questione strettamente privata, ma come categoria allargata di benessere che vada oltre la mera misurazione del reddito. Oggi e domani economisti ed esponenti di importanti istituzioni, dalla Banca d’Italia all’Ocse, si sono dati appuntamenti a Roma, all’Università di Tor Vergata, per dare una risposta alla domanda “La felicità è misurabile economicamente? – Le conseguenze per le scelte di politica economica e sociale”. “L’obiettivo primario – spiegano gli organizzatori – resta quello di costruire nuovi indicatori di benesse ‘onnicomprensivi’, tali da orientare significativamente le scelte di politica economica, nell’ottica della promozione integrale del benessere della persona”.

Preoccuparsi solo della crescita del Pil, infatti, non basta. E non perché, banalmente, i soldi da soli non danno la felicità, ma perché, spiega l’autore di una delle ricerche che verranno esaminate in questi due giorni a Tor Vergata, Leonardo Becchetti, docente di Economia politica nell’ateneo romano, “il grado di felicità è influenzato in maniera decisiva dalle politiche sociali ed economiche”, e quindi “è evidente che la felicità non è soltanto una questione privata e che le scelte di policy possono influenzarla”.

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Ma quali sono gli elementi che incidono sulla “felicità economicamente sostenibile”? Il reddito è il più ovvio, e poi ce ne sono tanti altri di natura eterogenea, la disoccupazione, l’inflazione, l’istruzione, la possibilità di godere del tempo libero. Non tutti i fattori pesano allo stesso modo. Per esempio, dimostrano vari studi che mettono a confronto l’incidenza di disoccupazione e inflazione sulla felicità, la popolazione tra i 29 e i 41 anni dà un peso doppio alla disoccupazione; avere un lavoro è considerato molto più importante rispetto a una bassa inflazione anche nei Paesi a bassa protezione del lavoro.

Inflazione, disoccupazione, sono ancora variabili prettamente economiche. Ma la misura della felicità è data anche da variabili che sfuggono agli orientamenti tradizionali della politica economica: da una ricerca Ceis-Tor Vergata condotta su un campione di oltre 117.000 individui provenienti da 65 Paesi diversi emerge come “il gap di reddito pro capite tra il Nord e il Sud del mondo non si traduce in un eguale gap di felicità, sebbene sia necesario usare molta cautela quando si confrontano livelli di felicità ‘dichiarata’ tra Paesi diversi”.

“Su quasi ventimila individui intervistati – dice Becchetti – il 15,84 per cento si definisce ‘al massimo livello di felicità’ nei Paesi Ocse ad alto reddito, quota di poco superiore a quella degli intervistati nei Paesi meno ricchi (13,47 per cento)”. Inoltre il reddito, hanno accertato vari studi, va correlato a quello del gruppo sociale con il quale ogni individuo si confronta, e, soprattutto, alle “relazioni interpersonali”: al crescere del reddito relativo il tempo speso in relazioni cala significativamente. “Nella stima conclusiva della ricerca – conclude Becchetti – si dimostra come gli individui appartenenti alle fasce di reddito più elevate dedichino molto meno tempo alle relazioni, con effetti negativi sulla felicità individuale”. Sulla base di queste considerazioni, alcuni Paesi africani, con in testa la Nigeria, sono risultati più felici di quelli europei.

Tutte riflessioni, studi, considerazioni che però al momento non hanno portato a criteri “oggettivi” di misurazione della felicità, analoghi a quelli con i quali si misurano il Pil o l’inflazione, e che difficilmente verranno elaborati anche in questa due giorni a Tor Vergata: “Dovremmo fare come in Australia – spiega Enrico Giovannini, direttore delle statistiche per l’Ocse – dove l’istituto di statistica ha chiamato una sorta di concertazione tra le parti sociali per definire un set di indicatori che ora è riconosciuto come una buona approssimazione dell’indice di progresso”. E in Italia, aggiunge l’economista, bisognerebbe “trovare un territorio comune tra destra e sinistra, sindacati e associazioni datoriali, sul quale capirsi e comprendere se il Paese migliora o meno”.

Gli economisti ritengono che qualche suggerimento da dare ai governi sulla ‘ricetta della felicità’ si possa comunque già dare: “L’azione politica – rileva Becchetti – dovrebbe tendere a massimizzare i beni che rendono felici le persone (non solo un reddito più alto, ma anche, per esempio, una istruzione e una vita relazionale migliore). La creazione di valore economico non sarebbe più un fine a cui sacrificare gli ‘altri beni’, ma un mezzo verso una vita più ricca di relazioni”.

(Repubblica.it, 2 aprile 2007)

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