Segio: “Crisi, passata la paura tutto è tornato come prima”

by Sergio Segio | 24 Maggio 2010 14:04

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A pagare gli effetti delle crisi sono invece i lavoratori di tutti i paesi e le aree più deboli del mondo globalizzato, mentre aiuti massicci sono stati indirizzati dai governi – in primis da quello statunitense –verso quegli stessi sistemi finanziari responsabili di “un crac che ha bruciato come fossero foglie secche 50 trilioni di dollari”. Come se non bastasse, la Banca mondiale stima che entro 2015 moriranno dai 200 mila ai 400 mila bambini in più all’anno per malnutrizione e aggravamento dei problemi sanitari connessi. E ancora: nel 2009 le stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro parlavano di 34 milioni i nuovi disoccupati rispetto al 2007 per un totale, che la rete del Social watch considera fortemente approssimata per difetto, di 212 milioni di persone prive di occupazione.

Le cose non vanno certo meglio nel nostro paese dove, scrive Segio, “il pervicace azzeramento dei diritti sociali e lavorativi conquistati negli anni Settanta da lavoratori, studenti e cittadini è stato nobilitato quale nuovo riformismo”. Così mentre “la crisi brucia utili e ricchezza, impoverendo il convento, i frati sono sempre più pasciuti”. Fuor di metafora – spiega il curatore del rapporto – nel 2009 le 270 società  quotate a piazza Affari hanno conseguito un utile aggregato di 20 miliardi di euro, contro i 33 miliardi del 2008 e i 55 del 2007. Eppure, nonostante le perdite, “i manager hanno portato a casa stipendi e bonus milionari”. Nel frattempo i lavoratori perdono il proprio posto di lavoro. “Secondo l’Istat – ricorda Segio – tra il quarto trimestre del 2008 e il quarto trimestre del 2009 si sono persi 428mila posti di lavoro, di cui 253 mila di lavoratori dipendenti e 175 mila di autonomi”. Mentre un’elaborazione del Censis rileva come, nei primi nove mesi del 2009, abbiano chiuso ben 300 mila imprese, di cui oltre 30 mila nel solo settore manifatturiero. Sullo sfondo una politica ormai priva di qualsiasi dimensione progettuale e “ridotta a mero strumento di affermazione di interessi leciti e, sempre più spesso, illeciti”. Da parte della destra, attualmente al governo, aggiunge il curatore del Rapporto, “si esprime un disegno organico e una cultura coerente” che vede “il lavoratore quale singolo individuo che vende all’impresa il proprio tempo di lavoro e le proprie abilità  e competenze sulla base di un libero accordo tra sé e il datore di lavoro”. Un disegno, quest’ultimo, che Segio considera figlio di una cultura ormai “diventata dominante e che ha come suo eminente valore, appunto, l’individualismo”.

Ma l’Italia viene definita anche come il paese in cui alla bulimia delle merci corrisponde l’anoressia dei diritti. Diritti umani che quando si parla di migranti diventano diritti globali. E da noi la condizione dei migranti “ci parla di un grado zero dei diritti”. Quello stesso grado di assenza di diritti “che abbiamo visto in opera a Rosarno”, commenta Segio, definendo i tristi fatti avvenuti nella cittadina calabrese come “una ferita che costituisce un discrimine, un punto di separazione tra il prima e il dopo”. Tuttavia, avverte il coordinatore del Rapporto, la persona immigrata rimane spesso prigioniera di una visione che ne percepisce solo l’identità  di lavoratore, se non addirittura di “braccia”. “Mentre la vera questione in campo – precisa – è quella del migrante come cittadino globale, portatore di diritti globali, che prescindono dalla collocazione, dall’identità  e dall’utilità  economica, essendo che i nuovi diritti umani sono quelli che coinvolgono il cittadino mondiale ai tempi del biocapitalismo e del biopotere”. (ap)

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