Legge-bavaglio, Fini frena sui tempi “Discutere ancora, non c’è fretta”

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ROMA – Calma, non c’è fretta. «Dopo due anni di discussione perché correre forsennatamente prima dell’estate?». Sulla legge-bavaglio Gianfranco Fini tira forte il freno e provoca una reazione rabbiosa nei berlusconiani. Il ragionamento del presidente della Camera – che ritiene prioritario l’esame parlamentare della manovra economica – è svolto con fredda pacatezza a Benevento, nel corso di un’intervista pubblica con Virman Cusenza del Mattino: «Se si conoscono il Regolamento di Montecitorio e la Costituzione non si possono avere dubbi nel rispondere su quale sia la priorità : l’intervento per tenere a bada i conti pubblici deve essere discusso al massimo in 60 giorni, impossibile la reiterazione». Una precisazione che porta Fini a ipotizzare lo slittamento del disegno di legge sulle intercettazioni almeno a fine luglio, se non addirittura a settembre: «Nel calendario del mese di giugno non c’è. Non se ne discuterà , quindi nel mese di giugno, ma è prevedibile verso fine luglio o in un periodo ancora successivo».

Ma quello che manda in tilt i berlusconiani sono le obiezioni di merito del “cofondatore” del Pdl. Secondo Fini infatti nel ddl sono previste delle «misure» che «hanno sollevato molte proteste, rispetto alle quali occorre riflettere, senza dare l’impressione di una fretta dannata». Insomma, sui punti più contestati della legge-bavaglio, «degli approfondimenti non farebbero male: perché dobbiamo correre tanto, come se ci fosse qualche nemico da combattere?». Fini mette poi il dito nella piaga, sposando appieno le obiezioni di tanti investigatori. Il provvedimento, insiste, deve «essere posto al riparo dal sospetto di voler indebolire la lotta delle istituzioni alla criminalità ». Inoltre «va meglio definito il confine tra il diritto all’informazione e quello alla privacy».
La linea insomma è quella di lasciare al dibattito parlamentare tutto il tempo necessario. Una posizione che era stata già  anticipata da Fini in una risposta al capogruppo del Pd Dario Franceschini, che gli aveva chiesto formalmente di evitare «inaccettabili forzature». Le opposizioni non si preoccupino, aveva risposto il presidente della Camera per lettera, visto che sarà  garantita una «approfondita istruttoria del provvedimento». Interviene anche il segretario Bersani, per polemizzare direttamente con il capogruppo del Pdl: «Cicchitto dice che si fa tutto entro agosto…Ma cosa intende, che dobbiamo solo alzare la mano? Non sa a cosa vanno incontro. Minacciano una reazione dura anche i deputati dell’Idv. «Faremo le barricate alla Camera», annuncia il capogruppo, Massimo Donadi.
Il Pdl, di fronte all’altolà  del presidente della Camera, medita una controffensiva. «In materia di intercettazioni – sottolineano in una nota congiunta i due capigruppo, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri – il dibattito ed il confronto durano da molti anni». Adesso basta, intendono dire i due esponenti del Pdl, ora le nuove norme «riteniamo debbano finalmente entrare in vigore». Anche il leghista Roberto Calderoli non condivide il calendario stilato da Fini e puntualizza: «La manovra è in Senato. Spetta quindi a palazzo Madama a decidere i tempi, non alla Camera». Ad affondare il colpo è Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati del Pdl, spesso in prima linea contro Fini: «Temo che si sia confuso. Un Parlamento che, dopo un confronto durato due anni, avesse ancora bisogno di approfondimenti viene a trovarsi delegittimato agli occhi dei cittadini». Insomma la fragile “tregua” tra Fini e Berlusconi appare compromessa. Secondo Giorgio Stracquadanio, berlusconiano doc, la responsabilità  maggiore la portano però i colonnelli di An che sabato scorso hanno organizzato una convention a Roma di chiara impronta anti-finiana: «È stato un errore politico, una provocazione di cui si poteva fare a meno in un momento così delicato».


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