No al ricatto su Pomigliano

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ROMA. Benvenuti negli anni 50. O forse anche peggio. C’è qualcosa di surreale, in viale dell’Astronomia, sede di Confindustria, mentre scendono le delegazioni sindacali che hanno accettato il «documento Fiat» sul futuro dello stabilimento di Pomigliano.
La pioggia afosa comincia a scendere convincendo i poliziotti a rifugiarsi sotto il portico, mentre davanti passeggiano le prostitute e le auto si fermano indifferenti. Solo la Fiom Cgil ha detto «no» a una proposta indecente che impone di scambiare diritti costituzionali e tutele legali in cambio di un’occupazione a ritmi di lavoro infernali. È toccato a Enzo Masini, responsabile del settore auto (il segretario generale, Maurizio Landini, non si era presentato all’incontro perché la Fiat aveva «invitato» la Fiom con la formula «per conoscenza») il compito di alzarsi dal tavolo mentre gli altri segretari di Fim Cisl, Uilm, Ugl e Fismic firmavano tutti i fogli del diktat padronale.
L’unico cambiamento «ottenuto» dai firmatari è esemplare: è stata aggiunta una «clausola di raffreddamento» per i casi in cui l’azienda riscontra una violazione dell’accordo da parte di un sindacato (art. 14). In quel caso si riunisce una «commissione paritetica di conciliazione» (azienda e sindacato) per risolvere il contenzioso; se entro sei giorni non «delibera» all’unanimità , l’azienda è libera di fare come meglio crede. Nulla è cambiato invece per la sanzione nei confronti dei singoli lavoratori, che restano «licenziabili» se l’azienda ritiene abbiano scioperato in violazione di questo accordo. È il punto che la Fiom – e alcuni costituzionalisti che si sono già  espressi a caldo ieri – ritiene in contrasto con la Carta e quindi non sottoponibile né a una firma né a referendum. È infatti peggiorativo delle condizioni preesistenti.
Non si può dire che ai «complici» della Fiat questo punto sia invece sfuggito. Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, al momento di entrare nella sede aveva anticipato chiaramente che avrebbe firmato qualsiasi testo che può «ridurre anche i diritti, ma mantiene in piedi una fabbrica». L’altro punto contestato è invece semplicemente «illegale». Il Lingotto pretende di non pagare più a tutti i dipendenti i periodi di malattia, qualora il tasso di assenteismo risulti superiore a una «media».
La Fiat, per sbloccare davvero l’investimento, non si accontenta comunque della firma apposta ieri. Vuole un «referendum» tra i dipendenti che «approvi» il suo documento. Mercoledì 22 i lavoratori di Pomigliano verranno dunque sollecitati a dire se vogliono essere licenziati oppure lavorare senza fiatare («come orologi svizzeri», aveva detto Sergio Marchionne appena due giorni prima). Messa così – «con una pistola alla tempia» – l’esito appare scontato.
«È un ricatto, non un referendum» spiega Landini. E in ogni caso «è illegittimo, perché non si possono mettere al voto deroghe alla Costituzione». «Singolare – aggiunge poi – che Fim e Uilm abbiano firmato un contratto separato con Federmeccanica appena sei mesi fa senza sottoporlo a referendum; ora, perché lo chiede la Fiat, lo accettano per derogare al loro stesso contratto». Oggi a Pomigliano ci sarà  un’assemblea di iscritti e simpatizzanti Fiom per decidere il da farsi. Il no della Fiom, aggiunge, «significa che non accettiamo il principio che per investire in Italia bisogna derogare dalle leggi»; è un messaggio in «difesa dei lavoratori di Pomigliano, ma che arriva subito a tutti i lavoratori italiani». Una ragione in più, in definitiva, «per lo sciopero generale di 8 ore del 25 giugno).
Siamo agli anni ’50 perché le aziende – Fiat in testa, oggi come allora – pretendono di riprendersi il diritto di licenziare ad libitum, cominciando naturalmente dai delegati «non complici». Ma è anche peggio, si diceva, perché nemmeno negli anni ’50 si era tentato di metter mano – con un accordo di stabilimento! – a un diritto costituzionale individuale. Sarà  un futuro difficile, ma con il suo «no» la Fiom mantiene in campo un soggetto sindacale autonomo. Ed era probabilmente questo uno degli obiettivi non secondari della «spallata» Fiat.


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