Agnelli, il dilemma Usa primo socio con il 22% ma niente soldi nell’auto

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TORINO – «Con la decisione che avete preso l’anno scorso, la Fiat torna a fare automobili, solamente automobili». Sulla scelta John Elkann non sembra avere dubbi, anzi appare compiaciuto del risultato dello spin off che ha riposizionato l’auto al centro degli interessi del gruppo, questa volta in un mercato mondiale. Dunque una Fiat concentrata, rispetto al passato, su meno mestieri ma nel mondo e forte di un’alleanza con Chrysler che è destinata a trasformarsi entro quest’anno nella conquista del 51 per cento della società  americana e successivamente in una fusione anche se al momento non sono state prese decisioni su questo passaggio. E’ possibile che in queste operazioni la famiglia Agnelli che attualmente detiene il controllo attraverso Exor sia costretta a mettere mano al portafoglio? E, soprattutto, è pensabile che debba farlo in funzione del mantenimento di una quota di controllo nella nuova entità  Fiat-Chrysler? Attualmente Exor dispone di 1,3 miliardi cui si potrebbero aggiungere un altro miliardo (al consiglio è stata data la delega di procedere a un prestito obbligazionario fino a un massimo appunto di un miliardo in diverse tranches e non solo in euro) e altri 220 milioni derivanti dalla vendita di Alpitour. Che questo serva agli Agnelli per conservare il controllo di un gruppo insediato nella top ten mondiale dell’auto può anche non essere vero per la ragione che essi hanno preso in considerazione l’idea di diluirsi. E poi perché sanno che, a conti fatti, anche senza metterci un euro o un dollaro, possono ritagliarsi il ruolo di azionista di riferimento anche in Fiat-Chrysler. Oggi un quarto dei 9 miliardi del Nav Exor è rappresentato dall’auto. E’ certo che gli Agnelli non intendono incrementare la loro partecipazione nel settore auto avendo scelto di effettuare diversificazioni strategiche in altri campi. In questo caso il loro peso potrebbe assottigliarsi attorno al 22 per cento dopo la fusione e dunque in una società  più grande senza che questo impedisca loro di essere azionisti di riferimento. Anche perché gli altri azionisti di peso sarebbero i fondi pensione dei lavoratori americani i quali hanno interesse a vendere la loro partecipazione. Quanto al 16 per cento di Chrysler che dovrebbe essere acquistato per raggiungere quota 51 per cento, è un problema che Marchionne potrà  risolvere con le banche che già  sono all’opera. In ogni caso una decisione in materia da parte della famiglia Agnelli non ci sarà  prima dell’assemblea Exor di fine aprile e sempre che non si debba attendere che altre tessere del mosaico vadano a posto. Non ci sono invece dubbi sul fatto che quella di cui si parla sarà  una Fiat sempre più americana. E anche questo gli Agnelli lo hanno messo in conto. «Per fare automobili nel mondo di oggi» ammette infatti John Elkann «è importante essere presenti in più mercati e con un maggior numero di prodotti. Un’eventuale spostamento della sede in Usa non cambierebbe molto per i lavoratori. Da sempre la Fiat ha guardato all America come al mercato con cui poter fare accordi. Il mio trisnonno, il senatore Giovanni Agnelli, andò per la prima volta a Detroit nel 1906». Se questo sarà  lo scenario a fine 2012 resta da vedere come sarà  finanziato lo sviluppo del nuovo colosso di Detroit. E’ possibile, come lascia intendere Marchionne, che per fare questo sia sufficiente l’autofinanziamento di un gruppo completamente risanato. In caso contrario la strada obbligata sarebbe quella dell’aumento di capitale che, da quanto sembra di capire gli Agnelli non sottoscriverebbero. Ciò imporrebbe la ricerca di altre soluzioni e probabilmente anche un ruolo diverso e più importante per Marchionne nell’azionariato.


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