Amnesty: condanne a morte in calo nel mondo, ma non in Cina

by Editore | 30 Marzo 2011 7:47

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Il numero complessivo delle esecuzioni ufficiali registrato da Amnesty International è calato da almeno 714 nel 2009 ad almeno 527 nel 2010, ma l’organizzazione ricorda come la Cina abbia messo a morte migliaia di prigionieri nel 2010 di cui è difficile conoscere il numero esatto perchè “continua a mantenere il segreto sull’uso della pena di morte”. “La minoranza degli stati che continua a usare sistematicamente la pena di morte è stata responsabile di migliaia di esecuzioni nel 2010, sfidando la tendenza globale contro la pena capitale” – ha dichiarato Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International.

“Mentre le esecuzioni paiono essere in declino, un numero di paesi continua a emettere condanne a morte per reati legati alla droga, reati di natura economica, per relazioni sessuali tra adulti consenzienti e per blasfemia, violando il diritto internazionale dei diritti umani che vieta l’uso della pena capitale salvo per i crimini più gravi” – ha proseguito Shetty. Due regioni, Asia e Medio Oriente, sono state responsabili della maggior parte delle esecuzioni nel 2010. La Cina ha usato la pena di morte nei confronti di migliaia di persone per un’ampia serie di reati, anche di natura non violenta e al termine di procedimenti che non hanno rispettato gli standard internazionali sui processi equi.

Un significativo numero di esecuzioni e condanne a morte nel 2010 ha riguardato reati legati alla droga in Arabia Saudita, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Iran, Laos, Libia, Malesia, Thailandia e Yemen. Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Pakistan e Sudan hanno ignorato i divieti internazionali e hanno emesso condanne a morte per reati commessi a un’età  inferiore a 18 anni.

Il rapporto di Amnesty International mette in evidenza una serie di passi indietro: nel 2010, sei paesi e territori hanno eseguito condanne a morte dopo un intervallo nelle esecuzioni e un paese ha esteso ad altri reati l’applicazione della pena capitale. “Nonostante i passi indietro, gli sviluppi del 2010 ci hanno ulteriormente avvicinato all’abolizione globale. Il presidente della Mongolia ha annunciato una moratoria sulla pena di morte, un passo importante in un paese dove la pena capitale è ancora un segreto di stato. Per la terza volta e con un sostegno ancora più ampio, l’Assemblea generale dell’Onu ha chiesto una moratoria globale sulle esecuzioni”- ha sottolineato Shetty.

Dal 2003, meno della metà  dei paesi mantenitori ha eseguito condanne a morte. Meno di un terzo di essi ha eseguito condanne a morte ogni anno nell’ultimo quadriennio. “Ogni paese che continua eseguire condanne a morte sfida le norme sui diritti umani e gli organismi delle Nazioni Unite, entrambi affermano che l’obiettivo finale di ogni paese dovrebbe essere l’abolizione della pena capitale. Un mondo libero dalla pena di morte non solo è possibile, è inevitabile. La domanda è quanto ci vorrà ” – ha concluso Shetty.

La tendenza mondiale verso l’abolizione della pena di morte ha conosciuto negli anni ’90 una decisa accelerazione, sostenuta dai principali organi internazionali come la Commissione sui diritti umani dell’Onu. Nel 2007, nel 2008 e nel 2010, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che chiede una moratoria sulle esecuzioni e impegna il Segretario generale dell’Onu a riferirne l’effettiva implementazione e a riportare tale verifica nelle successive sessioni dell’Assemblea. Tali risoluzioni, sebbene non vincolanti, portano con sé un considerevole peso politico e morale e costituiscono uno strumento efficace nel persuadere i paesi ad abbandonare l’uso della pena di morte.

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