Brusca: bisognerebbe uccidere De Benedetti

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PALERMO – Da sei mesi è tornato a riempire pagine di verbali. Il pentito Giovanni Brusca parla adesso di un argomento che aveva sempre scansato in quattordici anni di collaborazione con la giustizia, quello degli investimenti che negli anni Settanta Cosa nostra avrebbe fatto nelle attività  imprenditoriali di Silvio Berlusconi. «Non ne ho parlato prima – si è giustificato con i magistrati di Palermo – perché non mi andava di chiamare in causa persone che ci avevano aiutato, Vito Ciancimino e Marcello Dell’Utri». Per dimostrare che adesso dice il vero, Brusca ha invitato i magistrati ad ascoltare i suoi ultimi dialoghi intercettati: «Dopo aver saputo che questa estate ero sotto controllo, durante i miei permessi premio, non voglio più nascondere nulla», ha messo a verbale. Grazie a quei dialoghi, i pm di Palermo hanno scoperto che Brusca nascondeva un tesoretto di 180 mila euro. E hanno potuto scoprire anche qualcosa di più. L’uomo che oggi accusa Berlusconi e Dell’Utri di contatti con uomini di mafia è un sincero fan di Berlusconi. «Lui è sempre il più forte», dice il pentito parlando con i cognati Gioacchino e Salvatore Cristiano. È il 19 agosto 2010. Nessuno di loro sospetta davvero di essere intercettato. «Berlusconi è sempre il più forte – ribadisce Brusca – non c’è nessuno capace di questo, che c’è sempre questo Montezemolo e chissà  cosa gli passa per la testa». La risposta del cognato Gioacchino è a tono: «Berlusconi è troppo benvoluto. Lo vogliono bene… Io voto sempre Berlusconi, compare». Brusca incalza: «Al mio avvocato, che è un comunista doc, gliel’ho detto, io comunista non ci diventerò mai». Uno dei cognati accenna alle vicende giudiziarie del premier. Ma Brusca lo blocca: «Alla fine, che Berlusconi fa tutto quello… pure i cazzi suoi, gli ho detto, fa bene». Ed è la premessa per parlare di politica. Uno dei cognati gli chiede di Di Pietro. Lui spiega: «Volevamo ucciderlo, per creare confusione». Era un progetto del ’92. Brusca ricorda quel periodo con una parola: «Guerra». E dice: «Avrei motivo di uccidere no Di Pietro, ma a De Benedetti…quello che era quindici anni, vent’anni fa è ancora oggi… la guerra non è fra Berlusconi e questi della sinistra. La guerra è tra Berlusconi e De Benedetti con Repubblica e tutto il resto». I discorsi tornano sui mesi drammatici del ’92-93. Adesso, non è il fan di Berlusconi a parlare, ma il pentito. Brusca confessa ai cognati che all’epoca Berlusconi era sotto «ricatto».


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