Esercito di Gheddafi in fuga i ribelli prendono Ajdabiya “Conquistata anche Brega”

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AJDABIYA – È saltato su un camion straripante di altri soldati, ed è sparito. La ritirata è avvenuta di primo mattino. La luce nel deserto era ancora grigiastra. Dovevano essere le sette. Ma i difensori di Ajdabiya avevano già  cominciato a ritirarsi nella notte. Perché quando Tarek, la mia guida, mi ha svegliato per dirmi che i gheddafisti se ne stavano andando era appena l’alba. Tarek è uno shabab, un giovane combattente, e un amico lo aveva avvertito per telefono che lui e i suoi compagni stavano entrando nella città . Così, Tarek ed io, siamo arrivati ad Ajdabiya, che il sangue del montone sgozzato sembrava ancora fresco. Era una città  fantasma. Non una luce accesa. Da giorni non c’era elettricità . E niente acqua. Porte e finestre erano chiuse. Nelle case non c’era segno di vita. La popolazione aveva raggiunto da giorni Bengasi o Tobruk, o si era accampata nel deserto, a qualche chilometro. Non si incontrava nessuno. Gli shabab festeggiavano la presa di Ajdabiya su una strada per Brega, fuori dall’abitato, sparando per aria interminabili raffiche di kalashnikov e persino qualche razzo, che esplodendo faceva un fracasso inquietante. Sporadiche fucilate nei quartieri in cui le case sono più dense rivelavano una caccia all’uomo non troppo affannata. Si è detto poi che erano stati stanati tredici gheddafisti, nascostisi per non seguire i compagni in ritirata. Forse ritardatari. Comunque più disertori che cecchini. (Tra i quali, sembra, un generale). E stato facile capire come sono andate le cose. Come è stata riconquistata dopo due settimana Ajdabiya, davanti alla quale gli shabab si erano insabbiati, incapaci di avanzare. Gli aerei della coalizione hanno cominciato le incursioni venerdì sera. Hanno picchiato duro e preciso. Ho contato almeno venti carri armati squarciati dai missili, non so se sparati da Tornado, Mirages o Rafales. Ma di carcasse di mezzi blindati, nere di fumo, ce n’erano senz’altro molte di più. E poi c’erano automobili e camion accartocciati, con le ruote per aria e i cadaveri, anche loro color carbone, sul fianco. E stato quel lungo attacco aereo a far ritirare i gheddafisti, che bloccavano la strada per Brega, Ras Lanuf, Sirte, Misurata e poi infine Tripoli. Adesso una barriera è caduta. La prima. Ed era importante. Ma restano mille chilometri. Uno degli uomini che raccoglieva i corpi bruciacchiati faceva ad alta voce un’approssimativa, macabra contabilità . Di soldati di Gheddafi morti ne aveva contati una quarantina. Ma ce ne dovevano essere di più. Un centinaio. Quando ci sono passato all’ospedale non c’era un solo civile ferito, e un medico mi ha assicurato che i soldati di Gheddafi feriti erano già  in viaggio per Bengasi, a centosessanta chilometri da qui. Sono dettagli importanti. La città  essendo vuota, o con pochissimi abitanti rimasti, i missili sparati dagli aerei della coalizione non correvano il rischio di fare vittime civili. Poteva però accadere. Ma gli aerei hanno preso in pieno gli automezzi militari, blindati o non blindati. Non hanno sprecato munizioni. Vicino ai bersagli centrati c’erano rarissimi segni di colpi andati a vuoto. Sbagliati. Né se ne vedevano sugli edifici. Sulle case non c’erano neppure i graffi delle pallottole, inevitabili in una battaglia urbana, quando si spara strada per strada, casa per casa. E dunque evidente che dopo le incursioni aeree gli shabab non sono entrati in città  combattendo, ma che i gheddafisti, dopo aver perduto i carri armati, hanno pensato bene di andarsene. Non avevano più la superiorità  di mezzi che gli consentiva di tenere a distanza gli insorti. E quindi con le armi e bagagli che avevano salvato hanno battuto in ritirata. Non deve essere stata una fuga precipitosa perché non hanno lasciato dietro di sé il materiale che una truppa che scappa abbandona. Gli shabab pittoreschi, entusiasti e coraggiosi, ma male armati e disorganizzati hanno potuto riprendere la città  che gli aerei francesi e inglesi avevano reso accessibile. Sono dettagli importanti. Perché rivelano l’efficacia della no-fly zone, la quale, così come è applicata, è di fatto un’operazione d’appoggio ai ribelli della Libia libera, pieni di buone intenzioni ma poveri di mezzi. Gli shabab non ce l’avrebbero mai fatta a riconquistare le città  occupate nelle settimane scorse dai gheddafisti. Quel che è accaduto ad Ajdabiya nelle ultime ore, dimostra che gli aerei della coalizione possono aprire loro la strada. Per Gheddafi la ritirata di Ajdabiya è più di una severa sconfitta. Private dell’aviazione e con i mezzi blindati vulnerabili, le sue truppe sono ovviamente declassate. Inoltre si sono rivelate imprudenti, o male addestrate, perché i carri armati di fabbricazione russa sono stati colpiti quando erano allo scoperto. Sull’asfalto o sul ciglio delle strade, nel deserto, sulle piazze, cioè esposte agli attacchi aerei. Ottimi, facili, bersagli. L’impunità  dei gheddafisti è finita. Non sono più a confronto di ragazzi armati di kalashnikov. E la no-fly zone così come è applicata si è dimostrata efficiente. Nelle ultime ore sarebbe stata occupata anche Brega, città  a un’ottantina di chilometri da Ajdabiya. Se la notizia è esatta, resta Ras Lanuf, a pochi chilometri. La strada è lunga. Ma la Libia libera intanto può respirare. Ha ripreso coraggio. Bengasi non sente più il fiato di Gheddafi sul collo. E finché gli aerei della coalizione volano nel cielo libico si sente sicura.


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