Ferrero a Parigi per rilanciare due proposte alla famiglia Besnier

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MILANO – La famiglia Ferrero non molla la presa su Parmalat. Prima mossa: una trasferta lampo a Parigi di Giovanni, co-amministratore delegato del gruppo, per verificare i margini di un’intesa con l’azienda della famiglia Besnier, appena salita al 29% di Collecchio. Un incontro a sorpresa in cui l’ad della società  italiana avrebbe messo sul tavolo due proposte: l’acquisizione secca della quota rastrellata da Parigi (valore circa 1,5 miliardi) o un armistizio simile a quello raggiunto con Telefonica su Telecom grazie a Telco. Ferrero potrebbe muoversi da sola oppure varare una sorta di “Latco” assieme alle banche pronte a sostenere l’operazione – oltre a IntesaSanpaolo sono alla finestra Unicredit e Mediobanca, storico advisor di Alba – per poi dividersi con Lactalis la governance di Parmalat salvaguardando un briciolo di italianità . I soldi non sono un problema. Ferrero International Sa, la holding lussemburghese della dinastia piemontese, ha chiuso i conti ad agosto 2010 con 347 milioni di utili, distribuendo 280 milioni di dividendi ai soci. Dal 2000 ad oggi la cassaforte del Granducato (che nel 2008/2009 ha pagato 1 milione di tasse) ha girato alla famiglia 1,5 miliardi di cedole e a bilancio ha ancora 1,3 miliardi di riserve disponibili che possono essere distribuite agli azionisti in ogni momento e un “debito” verso i soci di altri 1,3 miliardi. Il vero problema sarà  convincere Lactalis a vendere la sua quota o a spartirsi il controllo. Mettendo sul tavolo la pistola fumante del decreto del governo. I francesi sono determinatissimi come dimostra il clamoroso blitz con cui lunedì, soldi alla mano, si sono portati a casa in 12 ore il 15,3% dei fondi. MacKenzie, Skagen e Zenit avevano convocato in Italia lunedì i loro vertici da Canada e Scandinavia. In agenda c’era un appuntamento con IntesaSanPaolo che avrebbe dovuto portare alla cessione della quota a un partner italiano (appunto Ferrero). Cà  de Sass però – in attesa del via libera da Alba – si sarebbe presentata senza un’offerta concreta. Nelle stesse ore Emmanuel Besnier – fiutata l’imboscata – è salito al volo sul suo aereo privato, è atterrato a Linate e si è presentato davanti ai tre fondi con la proposta indecente: 2,8 euro subito, cash. Offerta valida sino alle 24 di lunedì sera, dopodichè Lactalis avrebbe iniziato a cercare azioni sul mercato. Lasciando in sostanza i fondi con il cerino in mano. Skagen & C. con le spalle al muro, non hanno avuto alternative. Senza un’offerta italiana credibile hanno gettato alle ortiche tutti i loro buoni propositi di gestione industriale di Collecchio e di salvaguardia dell’italianità  e, rammaricati ma con le tasche piene, hanno detto sì. Besnier invece è tornato a Parigi con 750 milioni di euro in meno ma con la certezza di aver fatto saltare il banco nella partita a scacchi sulla Parmalat. La quota del 29% rastrellata da Lactalis le consente oggi di controllarla – a meno di un’improbabile Opa in contanti da 5 oltre miliardi – di nominare un cda “amico” alla prossima assemblea del 14 aprile e di trattare con i Ferrero, se mai volesse trattare, da una posizione di assoluta forza. Parigi continua nel frattempo a lanciare segnali di fumo a Enrico Bondi, il manager che ha salvato Collecchio dalla voragine di 14 miliardi aperta dalla gestione Tanzi, candidandolo al ruolo di presidente. Ma l’ad continua informalmente a far sapere di non voler ricoprire alcun ruolo in una Parmalat targata Lactalis. Alla finestra, ma destinati comunque a giocare un ruolo da comprimari, sono gli altri potenziali partecipanti alla cordata italiana. Granarolo ha ribadito ieri la sua disponibilità  a partecipare all’operazione. Non investendo soldi ma conferendo le sue attività  («al netto del debito valiamo circa 370 milioni», ha calcolato il direttore finanziario Filippo Marchi) e ritagliandosi un ruolo industriale. Magari a fianco degli altri bracci operativi della cooperazione. La società  guidata dal presidente Gianpiero Calzolari ha ammesso ieri di aver esaminato il dossier Parmalat per una possibile acquisizione nel 2005 quando Collecchio (prima delle cause miliardarie) valeva «qualcosa come 2,5 miliardi». La metà  di oggi. La stessa Ferrero aveva valutato l’acquisto un paio di anni fa quando il titolo viaggiava attorno agli 1,6 euro. Ma non se n’è fatto niente. E oggi il sistema Italia rischia di pagare un conto salatissimo per salvare il tricolore su Collecchio.


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