L’azione quotidiana

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Forse la novità  sta nella consapevolezza che quel che ci hanno insegnato, da bambini, a chiamare “rispetto dell’ambiente” è fatto di tante cose legate tra di loro. Oggi parliamo di sostenibilità , un concetto importante legato a un’idea antica, il tempo. Ovvero il “quanto a lungo può reggere”. È una bella parola con una bella origine: si riferisce a un pedale del pianoforte, detto in inglese “sustain”, quello che serve per allungare le note, farle durare nel tempo. Non per niente i francesi traducono con “durabilité”, capacità  di durata. La consapevolezza che quel che ci proponiamo di intraprendere, a livello di comportamenti privati o pubblici o imprenditoriali deve poter durare nel tempo e a tanti livelli (sociale, economico e ambientale) è uno degli elementi chiave dell’ambientalismo di oggi. Quello di quarant’anni fa diceva che l’Italia doveva puntare sul turismo e non sulla siderurgia. Ma poi non controllava la devastazione di territorio che derivava dall’interpretare il turismo come pura ricezione alberghiera. Rapinare le risorse naturali, farne profitto privato e non pensare al futuro. Oggi al futuro ci si pensa, perché nell’idea di sostenibilità  c’è anche la consapevolezza che il futuro non è roba nostra, così come non lo sono le risorse naturali. Sono patrimoni condivisi, che tocca alle generazioni in vita preservare per quelle che verranno. Ma c’è di più. Per proteggere tutto quello di cui vogliamo godere e tramandare non c’è un solo livello di azione: servono le grandi impostazioni dei governi e le leggi. Ma servono, allo stesso modo, i gesti quotidiani e le scelte individuali, i quali non sempre danno la precedenza al guadagnare tempo e risparmiare denaro. Un crescente numero di cittadini, infatti, considera il tempo speso nella scelta del cibo, come tempo investito nella cura della propria salute e dell’ambiente, e i soldi utilizzati per acquistarlo come una partecipazione a un mestiere, quello dell’agricoltore, che va remunerato per i molti servizi che rende alla società  e non solo per i prodotti che immette sul mercato. Come, ad esempio, il modello dei Gas, i gruppi di acquisto solidale. Certo, c’è un lato meno luminoso, dove la parola “neo-ecolgismo” suona come un rimprovero verso la politica “ufficiale”. Proprio loro, che dovrebbero guardare lontano, pianificare e proteggere, sono i primi a non vedere le connessioni che risultano chiare a un numero crescente di famiglie. Perché il livello degli individui è uno dei tanti, e oggi è certamente il più attivo. Mentre il livello della politica, in particolare nel nostro paese, è quello più svagato, più assente. Ecco perché oltre ai movimenti per promuovere saggi comportamenti quotidiani si affiancano quelli contro il nucleare, il consumo del territorio, o la privatizzazione dell’acqua. Non siamo più nell’ambito privato: il movimento arriva dove la politica e le istituzioni chiaramente falliscono. Si tratta di inediti protagonisti, quasi sempre giovani, volti nuovi e sensibili al bene comune. Sarebbe auspicabile che il palcoscenico dei media guardasse a queste persone, specie in occasione dei prossimi referendum. Sono preparati, parlano linguaggi accessibili e non sono inclini alle insopportabili risse televisive di una casta che ormai bivacca nelle nostre televisioni. È un ruolo importante quello assunto, in tanti modi e in tante forme, dai neo-ecologisti: crescere come individui e come società  e al contempo cercare di limitare i danni creati da una politica inadeguata al momento e agli obiettivi.


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