Laboratorio permanente

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GENOVA – Raccontare le ‘princese’ che aspettano i clienti coi tacchi alti all’angolo di certi vicoli. Le famiglie senegalesi che passano coi figli al ritorno da scuola. Un’abitante italiana, ormai l’unica proprietaria rimasta in un condominio affittato al nero, a cifre spropositate, ai marocchini: ecco le sfide dei neofiti video maker di un laboratorio nato nel cuore del Ghetto, un quartiere di un migliaio di abitanti, stretto tra via del Campo e piazza dell’Annunziata. Il laboratorio è una delle strutture ospitate da Ghett Up, una casa di quartiere ristrutturata dal Comune di Genova e data in gestione a un gruppo di associazioni sociali, tra cui Il cesto, l’associazione San Marcellino, l’Arci e la comunità  di San Benedetto al porto. «Sono appassionato di video – racconta Alessandro, impegnato ora nel servizio civile regionale, mentre chiacchiera fuori di Ghett Up e la luce filtra tra i tetti – Ho fatto delle riprese a una manifestazione di senegalesi contro le recenti perquisizioni nelle loro case, ora sto montando ma vorrei costruire un discorso più allargato». Tra i frequentatori del laboratorio, coordinato da un regista genovese di fama Gianfranco Pangrazio e Federico Telari (impegnati ultimamente in una collana sul ’68 a Genova e in Liguria), ci sono anche diversi senegalesi: «il mio sogno è fare il regista o il giornalista. Sto qui per capire quali delle due strade scegliere», commenta entusiasta Medunè. Nel gruppo a scandire scansione delle immagini e montaggio, c’è anche un ricercatore di scienze della formazione che si è occupato anche di aggregazioni di strada giovanili, Massimo Cannarella: «È fondamentale conoscere il montaggio di un video, l’immagine ha colonizzato lo spazio di comunicazione. Oggi riprendo con un telefono, faccio foto con diversi strumenti, filmo ogni aspetto del vissuto. È il nuovo linguaggio». Pensa lo stesso un’abitante della zona, Antonella Canobbio, che dopo aver scritto «Vita da vicoli» ora vuole raccontare a immagini «pezzi di vita degli ultimi quindici anni in questa zona». Ne uscirà  insomma un diario condiviso. «L’idea è far diventare questi due pomeriggi di lunedì e venerdì, un laboratorio permanente – dice Pangrazio – Il tema è la narrazione della città  o meglio la città  che si racconta. Bisogna raccogliere testimonianze precise, agili e veloci». A far riprese c’è anche una trans che racconta la vita delle sue colleghe del quartiere «in chiave leggera». Uno studente rumeno che investiga sulla convivenza e le tensioni legate alla presenza di una sala di preghiera mussulmana e Mustafà , un marocchino, che racconta della sua comunità . Di mezzo ci sarà  la barberia del quartiere, una piazza ancora piena di macerie detta «la piazza senza nome» che si chiamerà  forse «piazza Princesa» (Comune permettendo) e i visi di tanta gente. «Ghett Up è un’esperienza unica – dice Domenico Chionetti, uno dei coordinatori dello spazio – Mette insieme uno sportello Glbt, un corso di pittura, il laboratorio video, un corso di alfabetizzazione gratuito, uno sportello di quartiere con consulenza legale e attività  educative per minori. Tutto questo rivivifica il quartiere, meticcia le culture. Qui le trans per tre anni hanno parlato solo con me, finalmente oggi parlano con assessori e col presidente della Regione». Domenico si riferisce a una recente conferenza, seguita da festa, che ha portato diversi amministratori in zona come l’assessore del Comune Bruno Pastorino che commenta che «spazi come questi promuovono la partecipazione degli abitanti e sono uno stimolo per l’amministrazione». Quello che don Andrea Gallo all’inaugurazione ha chiamato «cantiere delle relazioni». Le contraddizioni non mancano. Lo stesso Pangrazio passa un filmato e sottolinea la frase della vice presidente dell’associazione Transgenere, Regina Satariano, che dice «prima vivevamo in un ambiente più discreto, oggi ci sentiamo un po’ esposte, un po’ più nude», un mezzo rimpianto per i tempi passati quando il Ghetto era una zona off limits per i benpensanti e fuorimano per troppi genovesi. Poi sono arrivate le minacce di sfratto dai bassi (le stanze ai piani terra del centro storico) da parte del Comune, le agitazioni delle trans e delle prostitute dei vicoli, un giro di vite con multe date a prostitute e clienti colti in atto di contrattazione. Le trans si sono riunite nell’associazione Princesa, tre anni fa hanno fatto un calendario e raccolto fondi e hanno pubblicizzato in ogni modo il loro diritto ad esistere. Conquistato quindi almeno il diritto a rimanere a lavorare in zona, non è che tutto fili liscio. La convivenza con i mussulmani non è facilissima. «Passano e mi sputano adosso – dice con rabbia una di loro – non hanno nessun rispetto». Il laboratorio riprenderà  anche le contraddizioni di questo percorso e Pangrazio sogna che alla fine ne esca una tv: «La speranza è di tirar fuori una quindicina di persona che creino una piattaforma per una web tv nel Ghetto. Potremmo ad esempio lanciare un format tipo la mia cucina, con gente di vari paesi che racconta la sua ricetta preferita».


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