Primo sì alla nuova norma salva-premier la prescrizione breve “taglia” due processi

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ROMA – Prescrizione breve per gli incensurati. Conflitto alla Consulta per far diventare reato ministeriale la famosa telefonata in questura di Berlusconi per liberare Ruby. Due organismi della Camera lavorano un’intera giornata per bloccare i processi di Berlusconi. La maggioranza ha i numeri e vince. Poco importa che la Cassazione già  scriva che, con l’attuale prescrizione, cade l’80% dei processi per corruzione. In futuro ne cadrà  il 90. Con l’ultima convenzione Onu l’Italia si è impegnata ad allungare i tempi della prescrizione per la corruzione. Ora li accorciano. Se lo saranno scordato. Un fatto è certo: il processo Mills, che doveva “morire di prescrizione” a febbraio 2012 perirà  in anticipo di sette mesi e mezzo. Adesso, a maggio. Quello Mediaset, tempo di decesso stimato giugno 2014, muore sei mesi prima, dicembre 2013. Calcoli semplici. Ora la corruzione si prescrive in 10 anni, il massimo della pena più un quarto (per compensare i cosiddetti “atti interruttivi”), con la nuova leggina quel quarto si riduce a un sesto. Si chiuderà  in nove anni e quattro mesi. I reati di Mediaset (appropriazione indebita, reati finanziari) si estinguono in sette anni e mezzo, lo faranno in sette. Alle 17 e 30, dopo cinque ore di lavoro, in commissione Giustizia il Pdl vota e vince. La Lega è con lui. Approva il processo breve (un’indicazione di massima, ma segnalazione al Guardasigilli con possibile azione disciplinare per i giudici con dibattimenti a rilento), contenitore della nuova leggina per il Cavaliere. Ribattezzata “norma Paniz”, dal nome di Maurizio Paniz, l’avvocato di Belluno relatore del ddl e ideatore della proposta. Se ne vanno dall’aula Pd e Udc. La democratica Donatella Ferranti parla di «passo spudorato» e mette in guardia da quelle ambigue segnalazioni che «potrebbero stravolgere l’obbligatorietà  dell’azione penale». Il centrista Roberto Rao è colpito dalla coincidenza di una guerra in corso e di una Camera impegnata «solo per salvare il capo del governo». Antonio Di Pietro resta e si batte per spuntare modifiche a ogni riga del testo. Il capogruppo Pdl Enrico Costa è soddisfatto: «Non vedo lo scandalo, la prescrizione breve è solo una norma che punta riequilibrare un sistema che puniva solo i recidivi». Massimo D’Alema la liquida così: «La destra aveva annunciato che per le riforme avrebbe rinunciato alle leggine: era una bugia». Poi: «Ecco a cosa pensava Berlusconi mentre era a Parigi, mandava sms a qualche suo fedelissimo». Dal quarto al secondo piano di Montecitorio, giunta per le autorizzazioni. Scenario identico. Stessi deputati. Eccoli che corrono da una parte e dall’altra. Paniz, capogruppo Pdl in giunta. Pierluigi Mantini dell’Udc. Le Pd Ferranti, Marilena Samperi, Anna Rossomando. L’Idv Federico Palomba. Costa. Un andirivieni. Anche in giunta Pdl tetragono. Dopo la perentoria richiesta delle opposizioni, si ascolta il parere di quattro costituzionalisti, Alessandro Pace chiesto dal Pd, Stelio Mangiameli dai futuristi, Giorgio Spangher e Ida Nicotra dal Pdl. Cinque ore chiusi a dividersi su chi decide della ministerialità  del reato. Per Pace non c’è storia: la Camera non ha «l’attribuzione costituzionale» per sollevare il conflitto, il suo «interesse di fatto non basta». Idem Mangiameli: «Sono i magistrati, e solo loro, a decidere sulla competenza». Paniz non demorde. Esce non intaccato da dubbi: «I magistrati hanno violato una prerogativa della Camera. L’articolo 96 della Costituzione è di una chiarezza infinita, anche nelle letture di Cassazione e Consulta, Montecitorio può sollevare il conflitto». È contro il finiano Nino Lo Presti, che ha già  depositato il parere per il no al conflitto, già  pubblicato sul sito di Fli: «Non si può fare, non ci sono i presupposti». Poi: «Nessuno dei costituzionalisti ha potuto affermare che quello di Berlusconi è un reato ministeriale. Non s’illudano sugli atti, resteranno in piedi, tutelati dall’articolo 26 del codice di procedura penale». Idem Mantini che firma con Lo Presti il niet al conflitto: «Decide il giudice se il reato è ministeriale e non ha nessun obbligo di avvisare la Camera». Incalza la Rossomando: «Anche i costituzionalisti indicati dal centrodestra non hanno saputo indicare quale norma consente di sollevare il conflitto». Allarga le braccia la Samperi: «Qui ci si occupa solo dei problemi di Berlusconi e si tentano di avallare procedure giuridiche del tutto inesistenti, invece di pensare alle emergenze del Paese». Chiude Palomba: «Nessun conflitto, è solo un mezzo per ostacolare i processi». Ma oggi si vota. Il parere sarà  subito trasmesso a Fini che riunisce la giunta per il regolamento. Come dice il Pdl Antonio Leone: «In aula la prossima settimana? E perché no? Dov’è il problema?».


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