“Il piano italo-tedesco per il dopo Gheddafi”
ROMA – Un asse italo-tedesco per la soluzione diplomatica della crisi libica. Destinato inevitabilmente ad affiancarsi all’iniziativa annunciata da Sarkozy e Cameron. Il governo italiano non cederà il testimone alla cabina di regia franco-britannica, insomma, ha un suo piano e sta lavorando perché possa tradursi in una proposta. Un vero e proprio documento da mettere a punto con la cancelleria Merkel e presentare al vertice della coalizione martedì a Londra. Una way out politica che il ministro degli Esteri Franco Frattini anticipa a Repubblica nelle sue linee guida e che dovrebbe passare – qui sta la svolta – attraverso l’esilio del colonnello Gheddafi. «In questi giorni difficili l’Europa forse ha perso dei pezzi – è il ragionamento del capo della Farnesina – noi non vogliamo perdere la Germania e un’evoluzione verso il cessate il fuoco ne renderà più facile il rientro. Noi lavoriamo per percorrere insieme con loro l’ultimo tratto di strada, cerchiamo di tenere insieme l’Europa». Da domani la Nato assumerà il controllo delle operazioni. Almeno questo successo la diplomazia italiana può rivendicarlo. Ministro Frattini, cosa cambierà sullo scenario libico? «Fino ad oggi, in questa fase iniziale segnata dell’emergenza, sono esistiti tre comandi distinti delle operazioni. Quello italiano e americano a Napoli, un secondo britannico e un terzo francese. Da lunedì, il comando sarà nelle mani di un’organizzazione sovranazionale, la Nato, che si muoverà in base alle direttrici di un comitato militare e politico. Abbiamo fatto valere le nostre buone ragioni. A onor del vero, americani e inglesi si erano detti d’accordo fin dal primo momento». Meno la Francia. I vostri rapporti con Parigi sono ormai gelidi. Colpa del protagonismo di Sarkozy? «I rapporti con Parigi restano immutati. Diciamo che non abbiamo condiviso la scelta della coalizione dei volenterosi. Vi abbiamo partecipato in quanto misura urgente e temporanea. Trasformarla in una soluzione permanente non era accettabile». La tensione è cresciuta anche in vista del vertice di Londra di martedì. Si profila un asse franco-britannico per una soluzione diplomatica, ci sarà un loro direttorio sulla crisi? «Intanto, martedì si insedia un gruppo di contatto sulla Libia che coinvolge più di quindici paesi chiamati a discutere l'”end game”. Quel che è certo è che non ci sarà una cabina di regia, tanto meno a due». L’Italia ha le sue idee sulla “fine dei giochi”, lei ha annunciato. Quali? «Abbiamo un piano e vedremo se si potrà tradurre in una proposta italo-tedesca. Magari da elaborare in un documento congiunto da presentare martedì». Quali sarebbero i passaggi della Road map alla quale state lavorando? «Il cessate il fuoco, innanzi tutto. Che dovrà essere verificato e monitorato dalle Nazioni unite. E l’istituzione di un corridoio umanitario permanente, al quale stiamo già lavorando col governo turco». Questo per gestire l’emergenza. E sul piano politico-diplomatico? «Chiederemo intanto un impegno forte dell’Unione africana e della Lega araba, soprattutto al fine di coinvolgere le forze di opposizione di Bengasi. Le quali vogliono una Libia unita, si rifiutano di trattare con Gheddafi, intendono rispettare i trattati internazionali stipulati dal loro paese, anche quelli commerciali. Occorrerà coinvolgere i gruppi tribali, quantomeno i più rappresentativi. Tutti insieme lavoreranno quindi a una costituzione per la Libia, della quale il paese finora è stato sprovvisto. D’accordo. Ma che ne sarà di Gheddafi? Tutto dipende da quello. La vostra proposta? È vero che il premier Berlusconi sarebbe disposto a mediare? «Dopo che tutta Europa e l’Onu hanno ripetuto che il Colonnello non è interlocutore accettabile, non si può pensare ad una soluzione che contempli la sua permanenza al potere. Chiaro, altra cosa è pensare a un esilio per il Gheddafi, l’Unione africana si è già fatta carico di trovare una soluzione». Peccato che lui non ne voglia sapere. «Sta di fatto che anche nel suo regime c’è chi sta lavorando per favorire dall’interno questa via d’uscita». Lei ha avuto contatti con esponenti del governo provvisorio. Li ritiene affidabili? «Ho avuto un colloquio in questi giorni con Ibrahim Jebril, capo di quel governo. Ha insegnato all’università della Pennsylvania, viaggia, parla fluentemente inglese. Ha idee, proposte. Si tratta di figure che hanno la possibilità di rappresentare degnamente il loro paese». Fronte interno. Lampedusa al collasso. Lei e Maroni avete siglato un importante accordo a Tunisi. Per Bossi gli immigrati vanno «cacciati e basta». Come la mettete? «Quel che forse al ministro Bossi è sfuggito è che il fondo al quale si attinge per favorire il rimpatrio assistito dei migranti con i circa 1.500 euro a testa, è stato già istituito dall’Ue quando io ero commissario. Al più le somme vengono anticipate dall’Italia. Serve a consentire a ciascun immigrato di avviare un’attività in Tunisia ed evitare che dopo qualche mese torni su un barcone. Ma ricordo che c’è un secondo ordine di intervento, per chi non accetta il rimpatrio assistito, che è quello previsto dalla Bossi-Fini: l’espulsione». Ammesso che il flusso venga arginato in Tunisia, c’è il rischio di un esodo biblico dalla Libia in fiamme. «L’ammassarsi di profughi ai confini terresti della Libia è per noi segnale di grande preoccupazione. Non possiamo accogliere neanche temporaneamente più dei 50mila di cui ha parlato il ministro Maroni. L’Unione europea ha confermato, per la verità in modo un po’ vago, la propria disponibilità a una “concreta solidarietà “. È bene che ne dia subito prova, cominciando ad elargire subito i fondi per i rimpatri assistiti».
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