“Ora serve una coalizione snella per non impantanarci nel caos”

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«Di cosa ha paura l’Italia? Crede davvero che grazie alla Nato potrà  nascondere il suo impegno militare in Libia?». Bernard Kouchner esordisce con una battuta, molto poco diplomatica. Poi l’ex ministro degli Esteri, fondatore di Medici senza frontiere, passa ai consigli. «Sarebbe un peccato se l’Italia decidesse di ritirare le basi così generosamente offerte. Al mio amico Frattini vorrei dire di rimanere lucido, e di ragionare insieme su cosa è meglio per tutti». Perché la Francia ha atteso tanto prima di accettare il coinvolgimento della Nato. È un ritorno al vecchio gollismo? «Lasciamo stare il passato. Ormai facciamo parte dell’Alleanza Atlantica. La posizione della Francia è dettata dall’esperienza: le guerre Nato sono più lunghe e complesse perché la catena di comando è più burocratica. Con una coalizione di pochi, selezionati Paesi ci sono più chance di non impantanarsi». Ma allora perché Gran Bretagna e Stati Uniti hanno premuto sin da subito per l’impegno dell’Alleanza? «A dire il vero, non penso che gli americani vogliano veramente prendere l’intero comando, come accadrebbe se tutto passasse alla Nato». Il consenso intorno alla risoluzione 1973 sembra intanto svanito, con Russia e Lega Araba di nuovo critiche. «Le critiche russe fanno parte di una dinamica interna tra Putin e Medvedev. Quanto ad Amr Moussa, le sue parole erano rivolte all’opinione pubblica del suo Paese dove sarà  candidato alle presidenziali. Bisogna rimetterle nel contesto». Nessuno ha ancora capito il punto d’arrivo di questa guerra. È l’eliminazione di Gheddafi? «La risoluzione dell’Onu non parla di regime change, anche se dopo 42 anni forse un cambio di regime sarebbe auspicabile. Nessuno dei Paesi impegnati in Libia vuole entrare in una guerra civile, e difatti è escluso ogni intervento a terra». Ma se il raìs rimane al suo posto non sarà  un fallimento? «Non anticipiamo i tempi. I raid sono incominciati solo da quattro giorni e già  abbiamo evitato ulteriori stragi a Bengasi. Ovvio che sul lungo periodo ci debba essere una soluzione politica». Sta dicendo che la Francia vuole rilanciare una trattativa con Gheddafi? «L’intervento militare non significa escludere una via d’uscita diplomatica. Sono convinto che potremmo trovare un accordo per pacificare la Libia insieme al Consiglio di transizione, agli amici arabi e all’Unione africana». Intanto, però, si continua a bombardare. Fino a quando? «Questo intervento è un fatto straordinario. È l’effetto di quella globalizzazione della sofferenza per la quale mi batto da una vita. Ho sempre cercato di far capire che non si può rimanere indifferenti se accade un massacro in Bosnia o in Guinea. Finalmente, grazie alla lungimiranza dell’Onu, siamo riusciti ad affermare questo principio. È una svolta delle relazioni internazionali che segnerà  tutto il XXI secolo».


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